CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
22 7 2011
Pag. 46
La lezione di Paolo Borsellino
Francesco Palazzo
“L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice che quel politico era vicino al mafioso, però la magistratura non l'ha condannato quindi quel politico è un uomo onesto. E no, questo discorso non va”. Sono le parole di un giustizialista, di un esponente di estrema sinistra, di un forcaiolo, di un antimafioso da salotto? Era il 26 gennaio 1989, doveva ancora cadere il muro di Berlino. Un'altra era. Paolo Borsellino, è sua la frase, si rivolgeva così agli studenti di Bassano del Grappa. Il giudice proseguiva. “La magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, però siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri poteri dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituivano reato, ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati dati perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza”. Sono trascorsi più di ventidue anni da quella conferenza, diciannove da Via D'Amelio, eppure siamo sempre allo stesso punto. Queste riflessioni di Paolo Borsellino, non un giustizialista, non un forcaiolo, non un esponente di estrema sinistra, ma un uomo delle istituzioni, alle quali ha consegnato consapevolmente la propria vita, sono ancora più che mai valide. Dovrebbero ormai costituire solo memoria. Come mai, da allora, nei fatti, oltre la retorica, non si è fatto alcun passo in avanti, anzi si è, per certi versi, come tornati indietro? I partiti sono ancora lì, trepidanti e afasici, che discettano, ogni volta che se ne presenta l'occasione, sui tre gradi dell'ordinamento giudiziario, sui rinvii a giudizio. Mai che riescano ad intervenire prima. Salvo poi mischiare, confusamente, politica e giustizia. Spaccando in quattro, a secondo di come conviene, il capello della cronaca e dei fatti, per trovare un cantuccio, sempre più piccolo e buio, dove ripararsi e aspettare che passi la piena. In attesa che il giudice entri in aula per leggere la sentenza, che una procura compia un atto, in un verso o in un altro, che si vada o meno a processo. Ecco qual è il vero uso politico della giustizia. Non sono le toghe che invadono il campo, ma è la politica che vuole utilizzarne, per propria interna incapacità ad autodeterminarsi, l'operato. Troppi, al cospetto della parole limpide e senza sconti di Borsellino, che ogni anno viene osannato il 19 luglio, tanto ormai è morto e non può più ridire quelle frasi, ma chissà quanti attacchi riceverebbe ancora se fosse vivo, sembrano tanti azzeccagarbugli del fatuo. Che affogano, nel bicchiere del potere, le parole semplici che dovrebbero pronunciare e che non sanno o non possono dire, se non quando è ormai troppo tardi per evitare gli schizzi di fango. E cioè che non importano i giudizi dei tribunali sui singoli, ma i loro comportamenti sulla scena pubblica e privata. Che talvolta emergono da circostanze acclarate e dalle stesse dichiarazioni dei protagonisti. Ma, insomma, si può ancora sostenere in buona fede, nel 2011, che si possono stringere tutte le mani e che non ci s'impiccia più di tanto della caratura criminale delle persone con le quali si viene a contatto? Chi non è in grado di distinguere tra una crocerossina e un criminale, seppure incravattato e profumato, non può ambire ad occupare ruoli istituzionali. Dobbiamo forse credere che, così come si paga una prostituta per non farla più andare sulla strada, si frequentino mafiosi per redimerli e portarli sulla buona via della legalità? Lasciamo che a rispondere sia Paolo Borsellino, con un altro passaggio del discorso rivolto sempre agli studenti di Bassano del Grappa. “Ma tu non ne conosci gente che è disonesta ma non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto, che dovrebbe indurre soprattutto i partiti non soltanto a essere onesti ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti?”.