mercoledì 26 gennaio 2011

PD in Sicilia, se può fare più buio di mezzanotte.

mercoledì 26 gennaio 2011
Pd, mezzanotte e dintorni
Francesco Palazzo


Ma qualcuno ha capito a cosa è servita la riunione dei circoli del PD che si è svolta domenica a Catania? Era stato annunciato come un evento di importanza fondamentale nella vita del partito. Un momento di chiarimento sulla linea da seguire rispetto al governo Lombardo dopo i referendum di Enna, Caltagirone e Gela. Non c’è stato alcun chiarimento, le divisioni all’interno del partito si sono acuite. Il tutto si è risolto, ancor prima di iniziare l’incontro, con una dichiarazione della segreteria regionale. Le decisioni nel partito le prendono gli organismi preposti a ciò. Dunque, se ne riparlerà nell’assemblea regionale del partito convocata a febbraio. Ma per dire questo c’era bisogno di convocare seicento persone in un albergo? Non bastavano un sms o una mail? Nel partito si è ormai insinuato il sospetto reciproco che divide le due fazioni pro e contro il sostegno al governo regionale. Da una parte, i più fedeli credenti a questa operazione di entrare in maggioranza alla regione, delegittimano i referendum che hanno bocciato con numeri indiscutibili la linea intrapresa dal partito e dalla maggioranza del gruppo parlamentare, due pezzi che a questo punto è molto difficile distinguere. Dall’altra parte, coloro che si oppongono tenacemente alla svolta, che ha disatteso il risultato delle primarie del 2009, gridano allo scandalo e parlano di un’assemblea, quella di domenica appunto, pilotata e senza alcun reale confronto.Nel frattempo, accadono alcune cose. La prima, in realtà, è una specie di mantra ripetuto sino alla noia dai dirigenti del PD nell’ultimo anno. Il governo regionale è carente nella sua azione amministrativa, appannato nell’azione riformista, occorre un cambio di passo, una scossa. Siccome queste esortazioni sono ribadite in continuazione, non riusciamo più a capire a chi il PD le rivolga, visto che numericamente è l’azionista di maggioranza della coalizione che all’ARS sostiene Lombardo. Chi deve imprimere questo cambio di passo, se non il partito che consente al governatore di continuare a sopravvivere politicamente? Anche nei confronti degli stessi assessori tecnici non c’è una parola chiara, un punto fermo. Sono gente capace, dice Giuseppe Lupo, ma ancora devono dimostrare di saper lavorare. Ma come si fa a dire che un assessore è capace se ancora deve dimostrare di saper svolgere bene il proprio compito? Mistero. L’altra cosa che è accaduta si riferisce alle alleanze per le amministrative che si svolgeranno in primavera. Il terzo polo, ossia il partner con il quale il PD va a braccetto alla regione, ha detto chiaramente che presenterà ovunque propri candidati al primo turno e poi vedrà per i ballottaggi. Per la verità, il coordinatore regionale dei finiani ha detto di più, cioè che il terzo polo è equidistante dal PD e dal PDL. Rispondendo con un gelido silenzio al segretario regionale del PD, che ha perlomeno chiesto un’accoppiata sicura nei ballottaggi. Non si tratta di un aspetto secondario. L’accordo strutturato per le amministrative sta proprio alla base del sostegno al quarto governo Lombardo. Almeno questo pensavano in casa PD. Tanto che, per bocca del presidente del gruppo parlamentare all’ARS, hanno minacciato di porre fine all’esperienza lombardiana. Solo parole, per il momento. Ma può un partito che si ritiene il faro della politica siciliana, farsi strapazzare in tal modo limitandosi a minacciare ritorsioni senza prendere alcuna iniziativa concreta? Può permettere al leader dell’MPA di ridicolizzare i referendum democratici? La terza, e per il momento ultima questione, riguarda il rapporto con IDV, Sinistra e Libertà e Federazione della Sinistra. Gli esponenti regionali di questi partiti hanno risposto picche alla proposta, proveniente dal segretario regionale del PD, di formare in Sicilia una larga coalizione aniberlusconiana. Riepilogando. Il PD è un partito frantumato al proprio interno, non è per niente contento dell’azione amministrativa regionale che pur contribuisce a tenere in vita, non sa bene se gli assessori a lui più vicini riusciranno a fare bene il proprio lavoro, viene strapazzato dal terzo polo in vista delle amministrative, permette al segretario di un altro partito di entrare dentro i propri meccanismi decisionali ed è ai ferri corti con quei partiti (IDV, SEL e Federazione della Sinistra), che dovrebbero essere i suoi naturali compagni di viaggio e che vengono, anch’essi, presi di mira dal governatore, che li accusa di essere la ruota di scorta del berlusconismo. Un bel modo, quest’ultimo, di agevolare il dialogo tra il PD e chi sta alla sua sinistra. Può fare più buio di mezzanotte per i democratici?



Palermo: cuscini e politica.

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 26 GENNAIO 2011
Pagina XIII
QUEI CUSCINI SPARITI DAL FORO ITALICO
Francesco Palazzo


La misura della decadenza di una città passa dalla conta delle piccole cose. Il fatto è che c´erano cinquantasei cuscini e ora ce ne sono soltanto ventitré. Dove, vi starete chiedendo. Se ve lo domandate vuol dire che non andate quasi mai sul prato del Foro Italico. Oppure ci andate spesso. Però ormai, da palermitani pur sensibili alle cose belle della città, vi siete abituati alle piccole cose che spariscono. Alla città che sta scomparendo lentamente con esse. Perché quei bei cuscini blu, luccicanti, di una tonalità davvero azzeccata, di ceramica e non di gommapiuma, erano all´inizio messi proprio sulle panchine, piastrellate e allegramente colorate, poste proprio a due passi dal mare. Quello che purtroppo dal centro città possiamo solo guardare, facendo con la manina ciao ciao ai turisti che con le grosse navi da crociera arrivano e partono. I cuscini non sono spariti tutti insieme in una notte. A uno a uno sono stati strappati a forza dalla loro sede. Al loro posto è rimasto il cemento con il quale erano stati fissati. E sino a quando erano i primi a scomparire, i palermitani, che sovente lì passeggiano, corrono, portano cuccioli animali e cuccioli umani, compulsano quotidiani e libri, potevano fare anche finta di non vedere. Ma da un certo momento in poi sarà stato impossibile non accorgersene. Il Comune di Palermo però non se n´è accorto lo stesso. La struttura che è addetta al controllo del prato avrebbe dovuto comunicarlo, non appena spariva il primo cuscino, all´ufficio addetto, che doveva subito preoccuparsi di rimpiazzare il pezzo mancante. Ma non è successo. Ora, neanche i ventitré cuscini blu rimasti, dei cinquantasei originari, stanno in salute. Sono quasi tutti con scritte varie, e lo smalto brillante che li ricopriva è un lontano ricordo. Sia chiaro, sulla contabilità non ci impicchiamo. Può essere che, mentre scriviamo, ne sia sparito ancora qualcuno. I trentatré cuscini potrebbero già essere trentaquattro o trentacinque. I restanti andrebbero dunque protetti, prima che la conta precipiti, come una specie in via d´estinzione. Tutte le cose belle rimaste a Palermo, dopo dieci anni di deserto politico e amministrativo, si dovrebbero catalogare e adottare. Prima che una alla volta, come i cuscini del Foro Italico, ci vengano sottratte alla vista senza che ce ne accorgiamo. E ai palermitani viene facile non rendersi conto delle sottrazioni di vivibilità che patiscono, e contribuiscono a creare con il silenzio o la partecipazione attiva, giorno dopo giorno. I cuscini del Foro Italico sottratti, in fondo, sono come la politica che piano piano ha abbandonato questa città. Centrodestra e centrosinistra, tra loro e al loro interno, si interrogano e litigano, restando però immobili e catatonici, su come iniziare una nuova stagione nel capoluogo. Ma questo è un altro discorso.

domenica 23 gennaio 2011

Le parole che processano il potere.

domenica 23 gennaio 2011
Le parole dei magistrati
Francesco Palazzo


Il potere politico e della politica in Sicilia avvolge tutto. Tutto comanda e tutto decide. Se riesci a toccare il suo mantello, sei salvo. La condanna severa del potere, pertanto, colpisce e quasi tramortisce. Possiamo metterla, se volete, anche così. Oppure possiamo parlare di quell’altro potere, impersonato dalla magistratura, che è ormai l’unico soggetto in grado di condizionare la politica e la pubblica opinione. Se la magistratura non interviene, non succede niente. Si continua a coprire, ricoprire, attendere, far finta di non capire. Sino a quando si può. Sino a quando è possibile. E non parliamo solo di ieri, ma anche di oggi, lo sapete molto bene. Si è capaci di ripetere lo stesso copione infinite volte. In queste ore, del tutto umanamente, si manifesta solidarietà al condannato. Non si spende, tuttavia, neanche un aggettivo per i magistrati antimafia che hanno lavorato duramente a Palermo per arrivare alla verità, almeno quella giudiziaria. Mi pare corretto, invece, che il sostegno vada esclusivamente a questi stipendiati dello stato. I quali, pur vivendo in un sistema giustizia povero di risorse e giornalmente attaccato dal governo di questo paese, sono riusciti a tenere la barra dritta facendoci pervenire a un punto fermo. Non è la prima volta e non sarà l’ultima. La Cassazione ha solo preso atto del buon lavoro fatto a Palermo. Lavoro fatto di parole scritte e parlate, di prove. Il potere e le parole. Il potere delle parole. Le parole che processano il potere. E vincono, qualche volta. Le abbiamo contate. Sono soltanto quarantasette quelle utilizzate dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo per commentare la sentenza di condanna emessa ieri dalla cassazione. Sono del Procuratore capo Francesco Messineo. LiveSicilia ha postato la dichiarazione alle 15 e 15, alle 23 e 45 non c’era ancora alcun commento e nessuno aveva cliccato sul “mi piace”. Cosa significa questo, cari attenti e loquaci lettori di questo giornale? Le riduciamo ancora quelle quarantasette semplici parole. L’ufficio, dichiara Messineo, non commenta le sentenze, prende solo atto che è stato confermato l’impianto accusatorio sostenuto dalla Procura. Punto. Messe così, sono solo diciassette le parole. Un vero servitore dello Stato sa che le parole sono importanti e non le spreca. E lo sappiamo pure noi giornalisti, anche se spesso ne facciamo un uso smodato. E, perciò, questa volta, non aggiungiamo molto altro. Possiamo solo esprimere l’auspicio, ingenuo, lo sappiamo, che la politica siciliana possa sempre più riempiersi, a tutti i livelli di rappresentanza, di servitori delle istituzioni che parlano poco e lavorano tanto. Davvero. Senza ricorrere alla facile e becera propaganda. Lavorino per il bene di tutti, utilizzando correttamente, per il vantaggio massimo della collettività e dei singoli, le risorse pubbliche. Perché questo deve fare la politica. Il resto sono solo chiacchiere e distintivo. Oppure potere piegato ad interessi di parte. O criminali. O tutte e due le cose.

sabato 22 gennaio 2011

La mafia fa (ceva) schifo.

Repubblica Palermo
Dietro lo slogan rimane l' intreccio

16 novembre 2005 — pagina 1
Francesco Palazzo


«La mafia fa schifo». Lo slogan della presidenza della Regione intende rappresentare la voglia diffusa di liberarsi dal dominio mafioso, dando per scontato che tale aspirazione è ormai patrimonio dei siciliani. Inoltre vorrebbe comunicare che pezzi significativi della classe dirigente regionale si sono affrancati da legami, connivenze e collusioni. L' operazione potrebbe avere un fondamento se gli assunti fossero, per così dire, riscontrabili. E' quindi il caso di verificare se la doppia certezza abbia dei presupposti certi o se invece sia solo un grande abbaglio. Intanto occorre dire che l' iniziativa denuncia una visione folcloristica della mafia. La si considera come un oggetto esterno, piovra o cancro che sia, e su di essa ci si diletta a esprimere tutte le considerazioni di questo mondo. Può fare schifo e ribrezzo solo ciò che non ti appartiene, che non fa parte della tua cultura, un qualcosa che puoi guardare dall' alto in basso con commiserazione. Dal punto di vista culturale e storico sostenere che la mafia fa schifo è come affermare che gli scarafaggi fanno venire il voltastomaco o che quel particolare quadro è orribile. Ma la mafia è alla stessa stregua di un animale indesiderato e non voluto o di un opera artistica appesa a una parete, che si possono guardare e giudicare scrollandosi le spalle così come si fa con la forfora? La mafia, Cosa nostra, è sempre stata in Sicilia un fatto di classi dirigenti, che l' hanno pasciuta e fatta crescere, con rapporti bilaterali consenzienti e sistematici, che hanno visto coinvolti le istituzioni, i partiti, le professioni, l' economia. Allora più che dire la mafia fa schifo, occorrerebbe assumersi le responsabilità di eventuali errori o sottovalutazioni. Forte del benestare trovato in questi settori la mafia, ieri come oggi, ha cercato e trovato il consenso presso le fasce popolari. Basta ricordare le utenze pagate in silenzio a Cosa nostra da alcuni stabili dello Zen o è sufficiente farsi un giro nelle periferie palermitane, per verificare che non è proprio lo schifo il sentimento che il popolo prova nei confronti della criminalità organizzata. Il primo assunto, quindi, e cioè che il popolo siciliano provi schifo verso la mafia, è molto lontano dal verificarsi. Tale moto di ripugnanza appartiene solo a un esiguo spaccato di società isolana. Se tale minoranza si avviasse a diventare maggioranza, noteremmo tutti i segni quotidiani evidenti di tale inversione di tendenza. Che non ci sono. Il secondo assunto, ossia che la classe dirigente si è liberata da contiguità con il mondo criminale è ancora più indimostrato del primo. Proprio i fatti più recenti, come l' arresto ieri di un deputato, sono un segno evidente. La sensazione è che la mafia continua a prosperare proprio in quanto non si riesce a sciogliere il nodo che la lega alla politica. Le cronache giudiziarie, giornalistiche, il senso comune e ciò che sappiamo, ci dicono che la politica è ancora fortemente condizionata e condizionabile da Cosa nostra. Si badi bene, non si tratta solo di vicende personali, ma di un sistema forte, strutturato, del quale vediamo solo gli aspetti che giungono agli onori della cronaca. I partiti non sono ancora riusciti a darsi un codice etico di autoregolamentazione. Un insieme di regole condivise, in grado di dare autonomia decisionale alla politica rispetto all' azione repressiva e giudiziaria. Se non avverrà ciò, da un lato avremo la mafia come corpo esterno che fa schifo, dall' altro ognuno se la vedrà con il tribunale della propria coscienza e il cerchio si chiuderà. Ma poi, cosa significa affermare che la mafia fa schifo come fenomeno generale? Bisognerebbe restringere il cerchio e vedere se, allo stesso modo, facciano schifo anche i mafiosi in carne e ossa, gli affari legati alle loro attività e il consenso elettorale che sono in grado di determinare. I rapporti, le contaminazioni, gli affari si svolgono non con la «mafia» entità astratta, ma con specifici segmenti del mondo criminale. Da questi ultimi ci si deve emendare pronunciando parole precise, nei tribunali e davanti all' opinione pubblica. Per tutti c'è l' esempio di Peppino Impastato: lui scriveva che la mafia è «una montagna di merda», ma, poiché aveva la coscienza pulita non si limitava a un' accusa generica: combatteva i mafiosi in carne e ossa, anche a costo di pagare un prezzo altissimo verso gli affetti familiari. Che la mafia faccia schifo i mafiosi lo sanno già. è proprio questo schifo che vendono e che moltissimi ancora acquistano, facendo pagare a questa terra un prezzo altissimo.

mercoledì 5 gennaio 2011

Autista, bussola!

LA REPUBBLICA PALERMO – 5 Gennaio 2010
Pag. XIII
Quelle regole sui nostri bus che nessuno fa rispettare
Francesco Palazzo

Alle società che funzionano bastano poche norme, rispettate da tutti e fatte rispettare, per far andare le cose nel giusto verso. Una volta che una disposizione viene emanata, semplicemente si applica. Sempre. Da noi, invece, i regolamenti funzionano come le grida manzoniane. Tanti, minuziosi, ripetuti e poi, sistematicamente, dimenticati. Basta andare sui giornali ed è come se la cosa fosse fatta. Ma da quel momento scatta come un tacito patto tra controllati e controllori, i primi fanno finta di non capire, i secondi fanno finta di non vedere. Prendete, a esempio, l´annuncio dell´Amat datato 20 aprile 2010. Lo trovate ancora nella homepage del sito aziendale, c´è pure un bel disegnino di un autobus. Nella bussola anteriore c´è scritto salita, nella altre discesa. Tutto chiaro. A partire da quella data, dunque, a bordo dei mezzi pubblici si poteva salire solo dalla porta anteriore. L´unica obliteratrice sarebbe stata posta proprio dalla parte della salita, gli abbonati avrebbero dovuto mostrare subito il tesserino. Lo scopo era quello di abbattere significativamente il plotone, assai cospicuo, dei passeggeri abusivi. Bene. Anzi, male. Perché, dopo qualche settimana, tutto è tornato come prima. Se è possibile, anche peggio. Basta che prendiate qualsiasi autobus, ma potete limitarvi al 101, il bus più frequentato della città, per rendervi conto che si sale e si scende da qualsiasi bussola. Con buona pace degli adesivi, discesa e salita, incollati sulle bussole e con l´evidente fallimento della politica di riduzione dei viaggiatori non paganti. Sempre l´annuncio di aprile prevedeva un rafforzamento dei controlli. Da trentadue verificatori si sarebbe passato a cinquantadue, numero quest´ultimo che per la verità appare del tutto inadeguato per una rete di trasporto pubblico molto estesa come è quella palermitana. Ma siccome i verificatori devono essere sempre in coppia, il numero delle unità di verifica - chiamiamole così - sarebbe stato comunque di ventisei. Ventisei coppie di verificatori che, secondo quanto affermato dall'AMAT, dovevano stazionare nella parte anteriore degli autobus per controllare le timbrature. Per la verità, se ogni tanto si vedono a bordo le coppie, di questi singoli e attenti scrutatori dei titoli di viaggio se ne sono visti ben pochi. Ancora meno abbiamo potuto ammirare le guardie giurate le quali, in via sperimentale, dal 20 aprile, avrebbero dovuto garantire sicurezza. Non sappiamo se, come preventivato, siano stati utilizzati per qualche ora pure gli ausiliari del traffico. Insomma, si prevedevano mezzi pubblici pieni di supervisori, ma il risultato è stato il solito buco nell´acqua. Tanto che, possiamo ipotizzare, l´Amat forse non è riuscita neanche a recuperare, in termini di biglietti in più obliterati, il costo dei depliant con i quali contava di presentare le nuove norme agli utenti. Sul sito dell´Amat si legge che un vecchio studio stima intorno al 35 per cento il totale dei non paganti. Forse lo studio andrebbe aggiornato. Ad occhio e croce quella percentuale ci sembra molto ottimista. E pensare che basterebbe poco per affrontare la questione. Niente di fantascientifico. Lo fanno normalmente a Londra, a New York e chissà in quanti altri posti. Chi guida il mezzo, senza altri supporti umani - pertanto facendo pagare alla collettività un solo stipendio - si accerta che tutti salgano dalla parte giusta. Se qualcuno trasgredisce, il guidatore ferma il bus e invita, con decisione, il trasgressore ad accedere dalla porta anteriore esibendo un valido documento di viaggio o pagando il biglietto direttamente a lui. Troppo complicato? Si potrebbe provare. Magari affiancando ai guidatori, all´inizio, giusto il tempo che i palermitani si abituino, oltre che il personale dell´azienda, anche una parte degli ex Pip, distribuiti attualmente senza criterio alcuno negli uffici pubblici. Di sicuro, stabilire norme di comportamento e poi non attuarle non serve a nulla, se non a peggiorare, ancora di più, la vivibilità di una città già abbastanza sofferente.