domenica 28 marzo 2010

Quei frati troppo moderni

LA REPUBBLICA PALERMO - DOMENICA 28 MARZO 2010
Pagina XII
QUEI PICCOLI FRATI MESSI ALL´INDICE
Francesco Palazzo

La curia di Caltanissetta, dopo averli accolti in alcuni locali adiacenti alla cattedrale, ha allontanato i "Piccoli frati e suore di Gesù e Maria", ordine religioso nascente e ancora non ufficializzato dalla Chiesa. Le forme di comunicazione che predilige sono leggermente diverse da quelle in uso normalmente nelle chiese cattoliche. Basta dire che il fondatore ha assunto il nome di Fra´ Volantino. E sono proprio questi modi innovativi di rapportarsi con l´esterno che hanno creato problemi. Alcuni fedeli hanno scritto al vescovo, e la storia delle comunità cristiane è piena di fedeli che scrivono anonimamente ai vescovi, lamentando la modernità di questi sei francescani. L´accusa viene da lontano. Il modernismo fu una corrente culturale e religiosa negli ultimi due decenni dell´Ottocento e nei primi due del Novecento. Il tentativo era quello di portare il cristianesimo alla sua essenza originaria e di conciliarlo con il mondo moderno. I principali esponenti furono scomunicati o sollevati dagli incarichi di insegnamento. Ovviamente i tempi sono così diversi che è ardua ogni comparazione. Anche se era da tempo che non sentivamo affibbiare il rimprovero di modernità a qualcuno. Ma cosa si contesta ai giovanissimi religiosi? Pare che cerchino di avvicinare i giovani frequentando discoteche e pub. Tali approcci, evidentemente, sono stati ritenuti eccessivamente disinvolti e poco consoni all´abito che indossano i giovani religiosi. Leggiamo che si è intimato ai frati (ci sono anche suore?) di cambiare atteggiamento e di attenersi a «disposizioni inderogabili» che non vengono specificate. Solo che Fra´ Volantino, a nome della piccola comunità cristiana di stanza a Caltanissetta, non le ha accettate, e la questione si è chiusa con la fuoriuscita dei religiosi dall´alloggio curiale. La notizia ci permette di fare alcune considerazioni sui rapporti tra i giovani e la Chiesa cattolica. Come ben sappiamo, prima da neonati, con il battesimo, poi da bambinetti con la prima comunione, quindi con la cresima, ci si trova intruppati in un´esperienza religiosa che si vive come un´imposizione o con indifferenza. O, addirittura, senza consapevolezza alcuna quando si hanno pochi giorni o mesi di vita. Ai genitori, più che l´intimo convincimento dei figli e delle figlie, interessa aggiungere al medagliere dei pargoli alcune medagliette, qualche festa con i parenti, regali e così via. Il risultato è che i ragazzi e le ragazze, non appena varcano la soglia dei tredici anni e approdano alla scuola superiore, ma spesso anche prima, non vogliono più saperne della dimensione religiosa. E dobbiamo dire che è una grossa perdita nella loro vita. Non già perché le chiese si svuotano, ma perché rinunciano troppo presto a qualcosa senza avere avuto la possibilità di conoscerla veramente. Per tenersi almeno i bambini, alcuni parroci attuano forme di controllo incredibili e ossessive. Come fornire una tessera da bollare ogni qual volta si va a messa la domenica. Ora, non sappiamo se andare nei pub per incontrare i giovani sia il modo migliore per tentare di riallacciare il discorso religioso e affrontare tematiche diverse dal bere come spugne o dal possedere l´ultimo palmare. Ma la scelta dei "Piccoli frati e suore di Gesù e Maria", anche a un non credente, può apparire di un qualche significato, proprio perché agita, speriamo con discrezione, nei luoghi privilegiati dai giovani per socializzare. Non capire questo, e tacciare di modernità, intesa come un disvalore, una semplice azione di approccio verso le fasce giovanili, significa davvero condannarsi a ospitare nelle chiese bambini presenti per costrizione e adulti che rischiano di essere né moderni né antichi. Ma semplicemente banali.

giovedì 11 marzo 2010

Palermo, una violenza che viene da lontano

LA REPUBBLICA PALERMO
Giovedì 11 Marzo 2010 – Pagina XIX
Ma Palermo non è mai stata una città senza violenza
Il delitto di Enzo Fragalà non segna affatto una discontinuità criminale, isolabile, folle e improvvisa
Francesco Palazzo

Dopo l´omicidio di Enzo Fragalà, che è difficile inquadrare nella vendetta di un singolo, visto che la missione di morte è stata perseguita con lucida e criminale determinazione, hanno colpito le dichiarazioni di coloro che non riconoscono più Palermo dopo un fatto così grave. Si è anche parlato di una città serena prima della mortale aggressione. Si tratta di reazioni che vorremmo condividere. Poiché, però, dobbiamo fare i conti con ciò che viviamo oggi, e abbiamo vissuto nel passato, e non con quelli che possono essere i nostri desideri o il legittimo orgoglio di una città nuovamente ferita, ci troviamo costretti a fare un´analisi diversa sul capoluogo siciliano. Quando, negli ultimi decenni, Palermo è stata una città serena, pacificata? Potremmo partire dal 1959, quando venne abbattuta, in una sola notte, Villa Deliella, che possiamo prendere come simbolo di quello che fu il sacco di Palermo. Ossia il deturpamento violento del territorio cittadino. Negli stessi anni si svolgeva la prima guerra di mafia, che vedeva la mafia di campagna di Ciaculli, alleata già con i corleonesi, combattere contro le cosche del centro di Palermo. Decine di morti e giuliette al tritolo. Una mafia, quella, che se ne uscirà assolta da ben due processi, alla fine degli anni Sessanta. Non cominciarono con minore ferocia gli anni Settanta, con l´assassinio, nel 1971, del procuratore Scaglione e con una mafia che diventava sempre più ricca e sottovalutata. Non è il caso di fare il lungo elenco di morti violente che ognuno di noi conosce bene. Sono stati uccisi preti, magistrati, figure istituzionali, segretari di partito, giornalisti, bambini, imprenditori. Città serena? Ma di cosa stiamo parlando? Possiamo solo dire che era mafia, ma non solo mafia. Ossia che questa città ha prodotto, e continua a produrre, veleni, compromissioni, connivenze, silenzi, che hanno aumentato il tasso di imbarbarimento della vita pubblica. Cosa sono state, infatti, le biografie di due uomini come Falcone e Borsellino, se non il risultato di un tessuto urbano dove ha prevalso la violenza? E non parliamo di quella mafiosa, abbastanza visibile, ma di quella, sia dei colletti bianchi che della cultura popolare, che ha consentito ai due magistrati di restare isolati e, forse, consegnati ai boia di cosa nostra. Il modo in cui sono morti, ancora coperto di misteri per quanto riguarda i mandanti esterni, le cointeressenze che portarono a quelle stragi, rimandano infatti a un mosaico omertoso e criminogeno, di cui l´esercito criminale mafioso è solo un tassello, abbastanza visibile a chi abbia occhi per vederlo. Negli ultimi due decenni il potere mafioso ha trovato nuovi equilibri e rapporti con la politica. E non ci riferiamo alle sentenze di condanna, che pur ci sono state insieme a quelle di assoluzione. Ma a un giudizio politico e storico, su cose e persone, che è abbastanza evidente a tutti noi. Non c´è stata solo la criminalità politico-mafiosa a rendere angosciata Palermo. C´è stata anche la politica, intesa come pura gestione dell'amministrazione. Cosa è oggi, questa, se non una città disgregata, che ha perso, se mai l´ha avuto, un minimo senso comune di cittadinanza condivisa, che permette di riconoscere l´altro come appartenente alla mia stessa comunità? Oggi ognuno di noi ha la sue idee, e soprattutto la sue pratiche, di Palermo. Le periferie sono lande desolate, il centro è composto da mille egoismi che, proprio perché tali, vanno ognuno per proprio conto. La politica, nel luogo istituzionale dove è rappresentata in conseguenza di libere elezioni, dovrebbe fornire questo riferimento comune. Ma è a tutti evidente che non ce la fa. No, questa non è una città serena. Non lo era ieri, non lo è oggi. Il delitto di Enzo Fragalà non segna affatto una discontinuità criminale, isolabile, folle e improvvisa. Non sappiamo se sia vera la frase attribuita a un politico palermitano di lungo corso, il quale avrebbe dichiarato che questa è la Palermo di sempre, una città di accoltellatori. Siamo però abbastanza convinti che l´uccisione di un brillante avvocato e uomo politico, avvenuta di fronte a uno dei palazzi di giustizia più presidiati d´Italia, non ha a che fare esclusivamente con la ricerca di una vile mano assassina. Ma pone i palermitani, ancora una volta, di fronte a tutta la loro storia recente.

venerdì 5 marzo 2010

Palermo città serena?

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 9 del 5/3/2010
Pag. 2
Fragalà e l'inferno Palermo

Francesco Palazzo

Dopo l'omicidio di Enzo Fragalà, che è difficile inquadrare nella vendetta di un singolo, visto che la missione di morte è stata perseguita con lucida e criminale determinazione, hanno colpito le dichiarazioni di coloro che non riconoscono più Palermo dopo un fatto così grave. Si è anche parlato di una città serena prima della mortale aggressione. Si tratta di reazioni che vorremmo condividere. Poiché, però, dobbiamo fare i conti con ciò che viviamo oggi, e abbiamo vissuto nel passato, e non con quelli che possono essere i nostri desideri o il legittimo orgoglio di una città nuovamente ferita, ci troviamo costretti a fare un'analisi diversa sul capoluogo siciliano. Quando, negli ultimi decenni, Palermo è stata una città serena, pacificata? Potremmo partire dal 1959, quando venne abbattuta, in una sola notte, Villa Deliella, che possiamo prendere come simbolo di quello che fu il sacco di Palermo. Ossia il deturpamento violento del territorio cittadino. Negli stessi anni si svolgeva la prima guerra di mafia, che vedeva la mafia di campagna di Ciaculli, alleata già con i corleonesi, combattere contro le cosche del centro di Palermo. Decine di morti e giuliette al tritolo. Una mafia, quella, che se ne uscirà assolta da ben due processi, alla fine degli anni sessanta. Non cominciarono con minore ferocia gli anni settanta, con l'assassinio, nel 1971, del procuratore Scaglione e con una mafia che diventava sempre più ricca e sottovalutata. Non è il caso di fare il lungo elenco di morti violente che ognuno di noi conosce bene. Sono stati uccisi preti, magistrati, figure istituzionali, segretari di partito, giornalisti, bambini, imprenditori. Città serena? Ma di cosa stiamo parlando? Possiamo solo dire che era mafia, ma non solo mafia. Ossia che questa città ha prodotto, e continua a produrre, veleni, compromissioni, connivenze, silenzi, che hanno aumentato il tasso di imbarbarimento della vita pubblica. Cosa sono state, infatti, le biografie di due uomini come Falcone e Borsellino, se non il risultato di un tessuto urbano dove ha prevalso la violenza. E non parliamo di quella mafiosa, abbastanza visibile, ma di quella, sia dei colletti bianchi che della cultura popolare, che ha consentito ai due magistrati di restare isolati e, forse, consegnati ai boia di cosa nostra. Il modo in cui sono morti, ancora coperto di misteri per quanto riguarda i mandanti esterni, le cointeressenze che portarono a quelle stragi, rimandano infatti a un mosaico omertoso e criminogeno, di cui l'esercito criminale mafioso è solo un tassello, abbastanza visibile a chi abbia occhi per vederlo. Negli ultimi due decenni il potere mafioso ha trovato nuovi equilibri e rapporti con la politica. E non ci riferiamo alle sentenze di condanna, che pur ci sono state insieme a quelle di assoluzione. Ma a un giudizio politico e storico, su cose e persone, che è abbastanza evidente a tutti noi. Ma non c'è stata solo la criminalità politico-mafiosa a rendere angosciata Palermo. C'è stata anche la politica, intesa come pura gestione dell'amministrazione. Cosa è oggi, questa, se non una città disgregata, che ha perso, se mai l'ha avuto, un minimo senso comune di cittadinanza condivisa. Che permette di riconoscere l'altro come appartenente alla mia stessa comunità. Oggi ognuno di noi ha la sue idee, e soprattutto la sue pratiche, di Palermo. Le periferie sono lande desolate, il centro è composto da mille egoismi che, proprio perché tali, vanno ognuno per proprio conto. La politica, nel luogo istituzionale dove è rappresentata in conseguenza di libere elezioni, dovrebbe fornire questo riferimento comune. Ma è a tutti evidente che non ce la fa. No, questa non è una città serena. Non lo era ieri, non lo è oggi. Il delitto di Enzo Fragalà non segna affatto una discontinuità criminale, isolabile, folle e improvvisa. Non sappiamo se sia vera la frase attribuita a un politico palermitano di lungo corso, il quale avrebbe dichiarato che questa è la Palermo di sempre, una città di accoltellatori. Siamo però abbastanza convinti che l'uccisione di un brillante avvocato e uomo politico, avvenuta di fronte a uno dei palazzi di giustizia più presidiati d'Italia, non ha a che fare esclusivamente con la ricerca di una vile mano assassina. Ma pone i palermitani, ancora una volta, di fronte a tutta la loro storia recente.