sabato 23 giugno 2012

PD siciliano: come uscire dal governo senza farsi vedere.

LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO 23 GIUGNO 2012
Pag. I
E il PD si allontana fischiettando
Francesco Palazzo

A un certo punto, uno potrebbe chiedersi chi glielo ha fatto fare. Perché, quando ti impegni in un’azione, puoi perderci da quasi tutti i lati, ma almeno qualcosa la guadagni. Perché pensavi, guardando la parabola del Partito democratico siciliano, a una strategia, un piano B. Un qualcosa che permettesse a questa formazione politica di non schiantarsi al suolo. Avevi scartato, quindi, l’ipotesi estrema. Cioè che quelli del Pd, catapultatisi al governo dall’opposizione come si entra in un bar, pretendessero di uscirne fischiettando come se nulla fosse accaduto. Sta andando proprio così. A una a una sono cadute tutte le subordinate. In principio avevi ritenuto che lo facevano per portare voti al partito. Operazione cinica quanto si vuole, ma tutti i partiti hanno come missione fondamentale quella di aumentare i consensi per la propria ditta. Le elezioni palermitane ci hanno invece consegnato un Pd ai minimi termini. E già si annuncia un’ecatombe sulla percentuale che i bersaniani prenderanno alle regionali. Poi c’era il discorso delle riforme che il Pd voleva promuovere per cambiare la Sicilia. Anche quelle, per bocca degli stessi leader siciliani del partito, sono rimaste, nella maggior parte dei casi, delle chimere. Un libro dal titolo altisonante con molte pagine bianche. Proseguendo nella lista delle intenzioni, sostenevano di voler allargare il perimetro del centrosinistra alle forze moderate e autonomiste. Pure in questo caso, molto fumo e poco arrosto. L’unica opzione in campo adesso rimane l’Udc, che però è stata la prima a uscire dalla maggioranza regionale e non viene accolta con entusiasmo dalle altre componenti del centrosinistra. Pure per quanto riguarda quest’ultimo, una parte del partito si è sempre detta disponibile a muovere da questo perimetro. Tuttavia, a pochi mesi dalle elezioni, questo centrosinistra ha pochi tratti in comune e non molti voti. È facile, infatti, prevedere che Sel e Italia dei valori dovranno parecchio faticare, e usiamo un eufemismo, per superare lo sbarramento del cinque per cento. E lo stesso Pd dovrà impegnarsi per evitare di rimanere sotto tale soglia, visto che a Palermo, test molto significativo, è andato oltre per uno sputo e che molta parte del suo elettorato è data in uscita. Resta da dire qualcosa su quello che era l’argomento principe dell’operazione alla Regione. Ci hanno detto che lo facevano per scompaginare il centrodestra e ci hanno fatto credere di esserci riusciti alla perfezione, prima ancora che nel resto d’Italia. Ora, a parte il fatto che il berlusconismo era già in caduta libera prima ancora che iniziassero le grandi manovre siciliane, non importa tanto fare qualcosa prima degli altri, ma quanto il farla bene, senza incomprensibili pasticci. Il Pd, a livello nazionale, ha operato con criterio e continua a essere il primo partito in tutti i sondaggi. In Sicilia il percorso è stato scriteriato e il Pd politicamente ed elettoralmente è entrato in una specie di coma da cui difficilmente si risveglierà. Ma almeno sono riusciti nell’intento? Ossia, è vero che il centrodestra in Sicilia si è disintegrato? Se fossero attendibili le cose che leggiamo, le probabilità che il centrodestra, memore della lezione palermitana, riesca a ricompattarsi, esprimendo un unico candidato alla presidenza della Regione, non sono basse. Quindi alla prossima tornata elettorale, ossia tra pochi mesi, potrebbe addirittura essere più forte di quello che nel 2008 scompaginò il centrosinistra e la sua candidata per Palazzo d’Orleans. Perché l’hanno fatto allora i democratici, se non ne hanno azzeccata una da quando, in previsione delle regionali anticipate del 2008, si sbarazzarono senza pensarci due volte della Borsellino, iniziando un’avventura che li sta portando dritti a sbattere al muro? Non riusciamo proprio a capirlo. E questo è il meno. La cosa più grave è che non lo capiscono più neppure loro. Dal fidanzamento in casa con gli autonomisti si preannunciava un matrimonio. Potremmo, al contrario, assistere molto presto al funerale delle pur tante fondate ragioni del riformismo siciliano.

venerdì 22 giugno 2012

Regionali come fotocopia delle amministrative? Penso di no.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 24 del 22 giugno 2012 - Pag. 7
Ma in autunno peserà l'effetto di trascinamento delle liste
Francesco Palazzo

Se si intende capire come e se le ultime amministrative, soprattutto il risultato di Palermo, condizioneranno il voto regionale del prossimo autunno, occorre valutare con attenzione alcuni aspetti. La nostra ipotesi è che tale competizione assomigli molto più al voto delle elezioni politiche generali, che favoriscono i blocchi più corposi, e molto meno a quello riguardante gli enti locali, dove si può sperare ragionevolmente di prevalere da posizioni non maggioritarie contando sulla frammentazione del sistema politico. Innanzitutto, c'è la presenza del voto di trascinamento dalle liste ai candidati che concorrono per la poltrona di governatore. Negli enti locali, come sappiamo, tale meccanismo è scomparso. Pompando aria nelle vele dei candidati a sindaco forti anche se con coalizioni complessivamente deboli. Mettendo zavorra nelle candidature poco rappresentative che invece hanno totalizzato, come coalizioni a supporto, risultati non trascurabili. E' facile immaginare che senza questa modifica della modalità di voto, cioè se fosse rimasto in vigore il trascinamento delle liste, Orlando non sarebbe sceso in campo e il centrodestra sarebbe confluito su due candidature a sindaco e non su tre come è avvenuto. Presentando sicuramente nomi più di peso e diverso appeal elettorale, come probabilmente accadrà alle prossime regionali. Molto sarebbe cambiato e verosimilmente oggi ci racconteremmo un'altra storia. Che è molto vicina a quella che potrebbe essere la trama del voto regionale. Da aggiungere anche un accenno, abbastanza scontato, ma non di secondaria importanza. Il voto in una città, grande per quanto possa essere il capoluogo siciliano, è una cosa. Un'altra è misurarsi sullo sterminato territorio regionale. In questo caso si stemperano le leadership e gli approcci carismatici, d'altronde non vediamo in campo chissà quali trascinatori e in pochi mesi è molto improbabile che ne sorga qualcuno. Prevarranno, perciò, i muscoli delle liste, che faranno il loro dovere di trascinamento, nel caso di coalizioni forti, e di rimorchi nel caso di schieramenti deboli. E' quanto già accaduto del resto alla regione nel 2001, nel 2006 e nel 2008. A questo punto, per inciso, sorge spontanea la domanda. Chissà perché il legislatore siciliano, visto che riteneva ottima la riforma elettorale per gli enti locali, non ha pensato di trasferirla anche sul voto regionale, mandando all'altro mondo anche in questo caso i consensi a strascico. C'è da considerare, infine, la soglia di sbarramento del 5 per cento. Che è la stessa in vigore adesso per i comuni, ma che a livello regionale amplifica il suo effetto escludente. Ancora più complicato, per tutti, superare l'asticella se ci si confronta con l'intero corpo elettorale siciliano. Basta andare a vedere quanto accaduto alle regionali del 2008. Già a Palermo abbiamo visto che gli stessi PD e PDL non l'hanno superata certo di slancio. Molti altri, esattamente diciassette liste su ventisei, sono rimasti invischiati sotto le macerie di un consenso non proprio plebiscitario. La stessa IDV, che a Palermo, unico partito tra quelli in campo, ha più che raddoppiato lo sbarramento, andando oltre il 10%, potrebbe franare sotto il 5% ai seggi autunnali. Quindi, probabilmente, la più che velata minaccia di andare da soli alla regione, per i dipietristi, o per altri che volessero tentare la fuga solitaria, non avrà lo stesso effetto che ha avuto a Palermo. Per tutti questi motivi, quella delle regionali si annuncia, a meno che non ci si consegni a sicuri suicidi politico-elettorali, ma pensiamo che per molti la lezione di Palermo sia bastata, come una sfida con non molti candidati alla presidenza e concentrazioni sotto le stesse insegne di più sigle minori per tentare di balzare sul muro dello sbarramento. Se così sarà, poter scegliere tra poche e ben delineate proposte, evitando di doversi barcamenare tra una miriade di candidature alla presidenza e tante liste caricate a salve, non sarebbe poi un male per i siciliani e le siciliane.

domenica 17 giugno 2012

Don Puglisi, quel colpo alla nuca e l'oggi.

LiveSicilia

La profezia di Don Pino e gli errori 

(cliccando sul titolo di sopra è possibile leggere tutti i commenti postati su LiveSicilia). 

Domenica 17 Giugno

Francesco Palazzo

Difficile restare fedeli alla memoria e all'azione di una vittima di mafia. Questo Cosa nostra lo sa, e quando uccide, insieme a una vita seppellisce molto di più. Le polemiche sulle eredità di uomini e donne ammazzati per il loro impegno concreto antimafia sono abbastanza comuni. L'ultima, ma sempre penultima storia, riguarda don Pino Puglisi. Il cui lascito, a quanto leggiamo, si trova in mezzo a una diatriba che vede in campo la Curia di Palermo, il Centro Padre Nostro, e coloro i quali, sino al 15 settembre del 1993, giorno in cui venne fatto fuori, collaborarono più strettamente con Puglisi. Qui si tratterebbe di capire, al di là della attuale contrapposizione, che traccia volle lasciare Don Pino nel territorio di Brancaccio, nel quale consumò gli ultimi tre anni della sua vita, e quali atti conseguenziali prese la curia palermitana affinché continuasse quel progetto dopo la sua scomparsa. E' un pezzo importante di ragionamento, che vale per questo come per altri casi simili. Perché proseguire un percorso rispettandolo nella sua radicalità, o deviare da esso, significa avanzare o meno in territori importanti per il contrasto alle mafie. Sicuramente si può dire che il presbitero intendeva rimanere lontano dalle prebende, talvolta anche assai sostanziose in termini monetari, che cadono dal tavolo della politica. Legittime quanto si vuole, ma che costituiscono un altro versante rispetto alla profezia di 3P. Che si può riassumere con un esempio abbastanza indicativo. Per comprare le sede del Centro Padre Nostro, di fronte la Parrocchia di S. Gaetano, che egli voleva legata strettamente al Centro, ricorse ai soldi della curia, a delle donazioni private, a un sorteggio e ad un prestito pagato anche con il suo misero stipendio. Avrebbe potuto bussare alla porta di qualche potente e quei denari sarebbero spuntati senza faticare più di tanto. Ma questo era proprio il segno che intendeva dare a Brancaccio e a tutta la città. La politica deve fornire servizi, non alimentare clientele. E quando non lo fa occorre alzare la voce. Ma per farlo, e ottenere risultati, non devi essere ricattabile, cioè non devi esserti mai presentato con il cappello in mano a chiedere soldi facili per dare solo il pesce a qualcuno e per non insegnare a pescare a tutti gli altri. Che è un po' quello che fa la politica malata. Che si rafforza quando trova sul territorio agenzie sociali che perseguono fini simili. Questo Puglisi lo aveva capito e si era perciò legato al Comitato Intercondominiale Hazon. Che reclamava, anche a muso duro, e costruiva, diritti per tutti. Anche la presenza delle suore come animatrici del Padre Nostro era un tratto dirompente, rivoluzionario, semplice e gratuito. Povero e ricco nello stesso tempo. In un quartiere dove, ancora oggi, se qualcuno tende la mano è perché spesso ci sono fondi pubblici da utilizzare. La potente cosca mafiosa di Brancaccio capì perfettamente tutto questo e risolse la cosa a modo suo. La curia, questo possiamo dire a quasi diciannove anni dall'omicidio del sacerdote, non comprese sino in fondo che doveva assicurare la continuità al lavoro di Puglisi, proprio a Brancaccio, prima che altrove. Assicurando, subito, alla Parrocchia e al Centro, guide sicure. Ma vi fu una retromarcia. Molti degli originari collaboratori furono, di fatto, allontanati. Le suore andarono via. La parrocchia si allontanò progressivamente dal centro. Lo possiamo dire, la chiesa, all'indomani dell'uccisione di Puglisi, mostrò paure e incertezze. Anche non presentandosi come parte civile al processo contro i mandanti e i killer di quel colpo di pistola alla nuca che aveva steso uno dei suoi figli migliori. C'è un episodio che mi è stato raccontato, credo sconosciuto ai più, che ciascuno può interpretare come vuole. Uno dei più vicini sostenitori di don Pino, la sera dell'omicidio accorso al Buccheri la Ferla, dove il parroco morente venne accompagnato, si senti dire, così riferisce, da un alto grado della diocesi di Palermo se erano contenti, visto come era finita. Quasi a voler incolpare, per quanto accaduto, anche loro, l'ostinazione con la quale insieme al sacerdote volevano rendere Brancaccio vivibile, e non soltanto la mafia. Ora la Curia, in vista della beatificazione di Puglisi, con notevolissimo ritardo, vuole tornare protagonista. E' probabile che riesca a salvare la forma. Ma la sostanza di quella profezia sarà molto difficile recuperarla.

lunedì 4 giugno 2012

Malvestiti, peccatori e concubini: tutti a Mondello.

LiveSicilia - Lunedì 04 Giugno 2012
Francesco Palazzo

Frequento poco le chiese cattoliche, sono cresciuto in una comunità parrocchiale di periferia, quella dove Padre Puglisi svolse gli ultimi anni di presbiterato. Poi le strade con quel mondo si sono divise. Capita a tanti. Ho bei ricordi. Tranne qualche volta nelle festività più sentite, adesso mi capita di assistere alla messa solo in occasioni che riguardano affetti e amicizie. Battesimi, matrimoni, cresime, funerali e prime comunioni. Il minimo sindacale. Il mio osservatorio è, perciò, abbastanza limitato e sporadico, per quanto segua con attenzione i dibattiti che agitano il mondo cattolico. Passiamo ai fatti. Qualche giorno addietro, durante la cerimonia di prima comunione di una ventina di bambini e bambine, ho avuto un'altra conferma, magari errata, se ne può discutere, del perché i giovani, non appena assolti gli “obblighi” di leva legati ai sacramenti che imprimono nella vita personale e familiare un certo status sociale, non ne vogliono più sapere della fede. Ed è una grande lacuna che si crea nelle loro vite, perché spesso ignorano questa importante dimensione senza aver avuto la possibilità di approfondirla. Il giovane parroco, in un quartiere di Palermo ad alta densità mafiosa, come dicono gli esperti, pronuncia un'omelia che non sfiora minimamente la vita di questi piccoli. Santissima trinità con annessi e connessi e neanche l'ombra di un sorriso. Ma questo è solo l'inizio. Ad un certo punto si lancia in una sorta di reprimenda contro chi farebbe meglio ad andarsene a Mondello visto come è vestito. Perché spesso è dai vestiti, aggiunge, che si vede la persona. Parla da padrone. Sa che nessuno si alzerà per dire qualcosa che possa mettere in discussione ciò che esce dalla sua bocca. Quasi sempre si è sudditi, pure in chiesa, soprattutto lì, non fedeli del dio che fa meraviglie, come recita il salmo. Chissà cosa ne pensano i bambini. Nel vangelo, durante gli anni di catechismo, avranno forse letto quel passo di Matteo in cui è scritto di non preoccuparsi di quello che si indossa, essendo la vita molto più importante del vestito. Messa così, se chi predica si ricordasse ciò di cui è testimone, e non desse fiato alla proprie paure e carenze psicologiche, probabilmente i ragazzi converrebbero che vale la pena di andare a vedere cosa è questo cristianesimo a cui all'inizio sono costretti. Ma se prima devono scrutare l'abito e non le persone, già trovano in altri luoghi tali insegnamenti. Tuttavia, questo, per il nostro parroco, è solo il prologo. Non quello dell'evangelista Giovanni, a cui segue il passo che il verbo si fece carne. Prima della comunione, intima, con fare ieratico e solenne, che quanti vivono in condizione di peccato non possono comunicarsi e che ci si può depurare soltanto confessandosi con un sacerdote, vincendo il peccato imperdonabile di chiarirsi con se stessi e con simili i propri percorsi di vita. E questo è solo il carico. Perché dopo cala l'asso di briscola, o, se volete, mette sul tavolo la scala reale. Non si permetta, chiunque si trovasse in condizioni di convivenza e divorzio, di prendere l'ostia consacrata, commetterebbe un gravissimo sacrilegio. C'è, mi chiedo, tra i bambini comunicandi qualcuno che vive situazioni di questo tipo in famiglia? E che importanza ha. Lui va dritto col caterpillar ed entra a gamba tesa stritolando sentimenti e sofferenze. Proprio mentre a Milano, il pur ultra conservatore pastore tedesco Ratzinger, sta balbettando qualche parola distensiva sull'argomento. E i mafiosi della zona che magari portano i figli all'altare per la prima comunione, e possibilmente ce n'è qualcuno in chiesa? Per loro non c'è problema. E qui ci viene in aiuto Leonardo Sciascia. Il quale, nel romanzo a “Ciascuno il suo”, fa dire all'oculista Roscio: “Dico cattolici per modo di dire, mai conosciuto in vita mia, qui, un cattolico vero, e sto per compiere novantadue anni. C'è gente che in vita sua ha mangiato magari una mezza salma di grano maiorchino fatto ad ostie, ed è sempre pronta a mettere la mano nella tasca degli altri, a tirare un calcio alla faccia di un moribondo e un colpo di lupara alla reni di uno in buona salute”. Ma forse è troppo presto per parlare di Sciascia a un bambino di nove anni e troppo tardi per farlo col giovane, vecchio, vecchissimo, parroco.

venerdì 1 giugno 2012

Orlando contro Falcone. Sciascia contro Orlando e Borsellino. Grillo contro tuttii. Una proposta ragionevole.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 21 del 1 giugno 2012 - Pag. 46
Mafia e punti di vista
Francesco Palazzo

Quando si parla di mafia, che differenza c'è tra il politico, il giudice, lo scrittore e l'artista? Sono figure che hanno ruoli diversi e possono utilizzare differenti punti di vista. Ad esempio. Quando il 23 maggio di quest'anno, tutta la politica, a cominciare dalla Presidenza della Repubblica e da quella del Consiglio, chiede ai magistrati di andare sino in fondo nella ricerca della verità circa i tanti lati oscuri dello stragismo del biennio 92-93, forse intende affermare che la magistratura non ha svolto sinora per intero il proprio lavoro? La politica sa che vi sono stati, e vi sono, inconfessati intrecci tra mafia e politica che portarono alla stagione stragista e chiede a gran voce che vengano svelati. Chi indaga e giudica, tuttavia, potrà muoversi in tal senso quando avrà solide prove per perseguire questo o quel politico, questo o quel pezzo dello Stato eventualmente infedeli. Lo schema è abbastanza comprensibile. Non ci sarebbe molto da aggiungere. Senonché, oltre che in tutta la campagna elettorale per le amministrative, e pure nel giorno del ventesimo ricordo di Falcone, della moglie e degli agenti della scorta, si è rispolverata la polemica dolorosa che vide protagonisti Giovanni Falcone e Leoluca Orlando, proprio in relazione alle responsabilità politico-mafiose. Si è chiesto al sindaco di porgere le scuse. E non ci si è accorti che, contemporaneamente, proprio dal massimo livello delle istituzioni repubblicane, giungeva la richiesta alle toghe di andare avanti e ridisegnare scenari che possano avere il marchio della verità. Certo, le parole pronunciate allora da Orlando furono formalmente molto più brusche e non è un aspetto secondario. Ma il clima che in quel periodo si viveva era tale che da più parti i toni risultavano esasperati e talvolta lontani dal rispetto umano. Ma, nella sostanza, la richiesta del sindaco della città del tempo, e del nuovo sindaco che adesso si dichiara pronto a reiterarla nei contenuti, speriamo non più nella forma, della quale egli stesso si rammarica, somiglia molto alla odierna impellente domanda di verità e giustizia che giunge chiara e forte un po' da tutte le parti. Senza per questo, ripetiamo, che il lavoro della magistratura, che forse il alcuni frangenti, vedi la vicenda di Via D'Amelio, poteva essere svolto in maniera più oculata, se ne possa sentire discreditato o messo alla berlina. L'importante è che le parole e le eventuali critiche, a cui tutti gli umani dobbiamo essere sottoposti, nessuno escluso, siano pronunciate alla luce del sole. Utilizzando, cioè, la stessa procedura che nel 1987 fu propria di Leonardo Sciascia. Che con l'articolo sui professionisti dell'antimafia investì sia il politico, Orlando, che il giudice, Borsellino. Che magari, soggettivamente, avevano mille motivi per prendersela, ma oggettivamente il grande scrittore e intellettuale si esprimeva sul registro espressivo che gli era proprio e si doveva leggere oltre le parole e le personalizzazioni in quel contesto utilizzate. Recentemente abbiamo avuto una dimostrazione ulteriore di come è necessario tenere separati ruoli e funzioni e consentire a tutti libertà d'espressione. Beppe Grillo, durante la sua puntata elettorale a Palermo, ha proferito una frase provocatoria e paradossale su mafia e Stato,venuta fuori più dalla sua vena artistica che non da un ragionamento su dati effettivi. Apriti cielo. Il politico, il giudice, lo scrittore, stavolta uniti e parlanti con medesima voce, l'hanno fatto nuovo. Ma come si è permesso di affermare che lo Stato strozza e invece la mafia non lo fa? Presa alla lettera la cosa sorprende, ma l'artista si può permettere una simile sintesi, ardita e fuorviante quanto volete, senza far volare in aria gli stracci. Siccome, quindi, a giro, i protagonisti della vita pubblica, quando si parla di mafia, perdono di vista il fatto che ciascuno utilizza contenuti e tonalità del mondo di appartenenza, si discuta pure intorno alle dichiarazioni di chicchessia. Ma non si trasformino i confronti e i dissapori in guerre infinite, dove la pace può essere raggiunta soltanto con la marcia indietro del peccatore di turno.