sabato 10 dicembre 2016

I siciliani e la sinistra radicale che votano no in massa. Ma si sono fatti bene i conti?


La Repubblica Palermo
9 dicembre 2016

Se alla sinistra piace solo perdere
FRANCESCO PALAZZO

In Sicilia il NO al referendum ha dilagato. Era difficile ribaltare il risultato atteso, ma non impossibile contenerlo. Soprattutto nelle due grandi città siciliane, Palermo e Catania. Ma da una parte si è mossa probabilmente meglio che altrove la sinistra esterna ai democratici, che ogni volta ha pure accolto per strada il presidente del Consiglio come una specie di usurpatore. Con una vigoria e un’acrimonia che non si era vista nemmeno quando a Palazzo Chigi c’era la destra. Lo schema è sempre quello di colpire ciò che è più vicino. Si era fatto con i due governi Prodi, 1998 e 2008. E magari ci guadagnassero più consenso, si potrebbe capire. Invece, ad esempio nel 2008, dopo la caduta di Prodi, la Sinistra Arcobaleno non entrò neppure in parlamento in occasione del voto anticipato. Che vide vincere l’altra squadra alla grande. Ora c’è il solito richiamo all’unione di questi frammenti, la proposta dell’ex sindaco di Milano, Pisapia, non è da buttare. Ma già sono partiti, anche dall’isola, a poche ore dal lancio del Campo Progressista, distinguo e anatemi. Dall’altra parte, almeno guardando a Palermo, città nella quale si giocava molto del risultato siciliano, non ci è sembrato che nel Pd ci sia stato un impegno massiccio per il SI. Nel gazebo allestito al centro ho visto sempre le stesse poche facce di volontari. Per il resto, a parte la funerea rappresentazione grillina a favore del No, non mi pare che i 5 Stelle nel capoluogo si siano spesi più di tanto, ma neppure le altre forze del No. I leader del movimento hanno disertato Palermo, così come i capi della Lega e di Forza Italia. Eppure, questo voto di massa per il No, escludendo impennate di Forza Italia, della destra e della Lega nell’isola, e ipotizzando che come sempre la sinistra esterna al Pd poco si gioverà di questa “vittoria”, dovrebbe essere di marca grillina, un consenso ormai evidentemente molto esteso. Certamente c’è stata anche in Sicilia un’opposizione nel merito alla riforma. Ma è chiaro che nel sud, e in Sicilia in misura maggiore insieme alla Sardegna, che però ha un peso diverso nel panorama elettorale, lo spoglio ha registrato un voto politico a prescindere dal quesito posto. Al centro del mirino Il governo Renzi. Che pure in tre anni, certamente con errori e sottovalutazioni, non ha proprio promosso delle cose così improponibili. Pensiamo al sociale, alla scuola, ai diritti civili, all’immigrazione, agli interventi sul mondo del lavoro, alla stessa riforma costituzionale, ai dati macroeconomici che migliorano. Ma ha avuto il sopravvento la ventata antigovernativa. Il classico schema siciliano di Roma che non pensa a noi. A ciò si aggiunga che ha prevalso chi ha parlato di sconvolgimento della costituzione, di democrazia in pericolo, creando paure slegate dal contesto referendario ma di sicuro effetto. Basta pensare che su uno dei due pilastri della riforma, il rapporto stato-regioni, si toccava non l’impianto dei padri costituenti, ma una modifica apportata nel 2001. E che peraltro non riguardava immediatamente la Sicilia in quanto regione autonoma. E che sul ruolo del senato c’è un dibattito ultradecennale tutto nello stesso verso, quindi niente di sorprendente. Ma alla fine con questo plebiscito cosa ci ha voluto dire la Sicilia rispetto ad altre regioni dove il no ha prevalso con percentuali più ragionevoli? Sicilia ancora laboratorio? E di cosa? Forse questo rifiuto di massa è la premessa di altri plebisciti, questa volta in positivo, da attribuire non appena sarà data l’occasione di votare per le elezioni? Questo lo scopriremo. Ma una domanda finale dobbiamo farcela, dando per scontato che nelle urne siciliane sono stati versati, più che altrove, disagi di tutti i tipi, che poco avevano a che fare con la riforma. Ma in una società politica che non riesce ad innovarsi, che rimane chiusa nelle proprie paure, che non cambia, che resta nel ‘900, alla fine, chi ci guadagna di più, coloro che hanno più difficoltà o quelli che sono già in qualche modo garantiti dal sistema? Le regioni più forti o quelle più deboli? Insomma, i siciliani si sono fatti bene i conti? Oppure, come probabilmente succederà alla sinistra dura e pura, alla fine da questo voto non avranno altro che da perderci?

mercoledì 23 novembre 2016

Le vie dei tesori a Palermo. Eccellenza o normalità?

Repubblica Palermo
22 novembre 2016
Come mangiare con la cultura
Francesco Palazzo

Si è conclusa a fine ottobre la manifestazione Le vie dei tesori. Per tutti i fine settimana del mese il menù proponeva di tutto. Novantadue luoghi da visitare con persone che fornivano spiegazioni, sessantotto passeggiate guidate, ventiquattro attività per bambini, otto eventi tra concerti e incontri e la notte bianca Unesco. Quasi duecento appuntamenti che sono stati presi d’assalto. E che non erano neppure gratuiti. A testimonianza del fatto che si possono promuovere i beni materiali e immateriali anche facendo pagare. In questo caso si trattava quasi di un esborso simbolico (un euro per i novantadue luoghi), ma siamo sicuri che i tantissimi visitatori che hanno fatto le code avrebbero sborsato anche di più. Ovviamente, tale movimentazione di persone ha provocato un effetto indotto. Hanno lavorato di più, in diverse zone della città, tutti gli esercizi commerciali, soprattutto bar e ristoranti. I numeri parlano da soli. 210 mila presenze con una ricaduta di ricchezza turistica di quasi 2 milioni e mezzo di euro. Ed è un esempio di cosa si dovrebbe fare per promuovere strade, penso a via Roma, ma non soltanto, altrimenti destinate al declino, che magari la ZTL rende evidente e amplifica, ma che è già iniziato da anni. Durante le visite faceva piacere parlare con i tuoi concittadini, scambiarsi informazioni sulla bellezza di questo o quel luogo. Insomma, una bella esperienza. Che in altri luoghi, dopo dieci anni di svolgimento, avrebbe trovato una sistemazione istituzionale, attirando sempre più “turisti” non solo palermitani, ma da tutta la Sicilia e provenienti dal resto della penisola e del mondo. Tra l’altro, Palermo è così ricca di luoghi che i siti da visitare si potrebbero almeno raddoppiare. Poiché noi sappiamo essere bravi, ma spesso solo quando ci esprimiamo in singole eccellenze e in determinati periodi, ma non riusciamo ad essere competitivi alla lunga distanza, non sarebbe male che questa bella pagina entrasse nei programmi elettorali dei candidati a sindaco. Senza fermarsi tra la polvere dei fogli, perché, lo sappiamo, di mirabilie preelettorali è pieno il mondo, di cose che poi hanno trovato concreta realizzazione dopo l’elezione ci sono pochi esempi virtuosi. Tanto che non sarebbe male inserire dentro la scheda in cui l’elettore appone il proprio voto, almeno dieci punti di cose da fare. Tutte. Con tempistica precisa, e se non fatte in toto o nei tempi previsti prevedere la sanzione delle dimissioni o l’impossibilità di una ricandidatura. Cosa, dunque, potrebbe fare il prossimo sindaco con Le vie dei tesori? Non bisognerebbe inventarsi nulla, ma emulare, adattandola a noi, qualcosa che funziona bene. Viene praticata a Trieste e si può prenotare anche online (www.turismofvg. it/FVG-Card). È una card che, con un costo molto contenuto, consente di entrare gratuitamente in decine e decine di siti turistici sparsi in questo caso in tutta la regione, di fare diverse esperienze turistiche, di avere agevolazioni o gratuità sui mezzi di trasporto e sconti in alcuni negozi. Perché non trasformare Le vie dei tesori in qualcosa del genere destagionalizzando l’offerta? Con la Friuli Venezia Giulia card c’è anche la possibilità di girarsi il centro di Trieste con una semplice audioguida o con un accompagnatore in carne e ossa. Vi immaginate cosa potrebbe significare farlo a Palermo con un centro storico, con tutto il rispetto per quello di Trieste, che è una vera e propria miniera. Certo, occorrerebbe dotare i luoghi dei dovuti presidi. Per esempio, ogni volta che entro in quello che è il pantheon laico di Palermo, la chiesa di San Domenico, mi chiedo come mai nessuno ha pensato di fornire un’audioguida che spieghi i personaggi e la storia contenuti in quel luogo. Insomma, si può vivere e mangiare di turismo. Ma occorre che le istituzioni, coinvolgendo privati, associazioni e singoli preparino la tavola. Altrimenti si rimane digiuni o ci si nutre solo per poche settimane l’anno. C’è qualche candidato a sindaco (ma potrebbe valere pure per i candidati a Palazzo D’Orleans visto che la FVG card copre tutta una regione) che vuole mettere, concretamente, nel suo programma per Palermo 2017-2022 una cosa di questo tipo?

giovedì 27 ottobre 2016

I ristoranti spagnoli che non digeriamo e i nostri souvenir di mafia.

La Repubblica Palermo 
26 ottobre 2016
I souvenir col marchio mafia venduti sotto casa
Francesco Palazzo

La notizia è che in Spagna più di quaranta ristoranti con il logo mafia dovranno cambiare, su forte richiesta dell’Italia e su decisione dell’Europa, marchio. Non si può lucrare, questo era il senso della richiesta italiana, che è stata corredata dalle immagini delle stragi del 1992 e da quelle dell’assassinio di Piersanti Mattarella, su una cosa terribile come Cosa nostra. Ora però, visto che ci siamo, dovremmo spiegare all’Europa, e agli spagnoli, perché mai in Sicilia, terra che ha fondato la casa madre di mafia spa, ci sono migliaia di negozi, anche cinesi, che smerciano souvenir inneggianti alla mafia. Che, ovviamente, poiché è molto improbabile che un siciliano possa comprarne uno, visto che ha l’originale sotto casa, sono rivolti al mercato dei turisti. Che non so se li acquistano, ho chiesto più volte ai commercianti e ho avuto risposte evasive, ma intanto se li trovano un po’ dappertutto. Da Taormina a Cefalù, da Erice e a Palermo, da Catania a Modica. Anche nell’isoletta più sperduta trovi un negozietto che ti vende il mafioso e la mafiosa, le tre scimmiette che non sentono, non vedono e non parlano, tazzine, magliette con la foto del protagonista de il Padrino, statuine con lupare a tracolla, apribottiglie, magliette. Insomma, un po’ di tutto. Molto probabile che gli spagnoli, visitando la nostra isola, si siano portati dietro questi souvenir collocandoli nelle loro case. E poi magari siano andati in questi ristoranti spagnoli. Vivendo il souvenir siciliano e il menù legato alla strage americana di San Valentino del 1929 con sagome di mafiosi annesse, come un’unica esperienza folcloristica. Come la mettiamo allora? Come spieghiamo cioè all’Europa che non digeriamo, visto che si tratta di cibo, i ristoranti con il marchio mafia e poi lo vendiamo in migliaia di esercizi commerciali sparsi per tutta la Sicilia? Dovremmo impedire forse la produzione e la vendita di questa oggettistica? E a chi dovremmo avanzare istanza, nel caso ci decidessimo, all’Europa? Non sarebbe bizzarro? Ci potrebbero rispondere come mai, prima di chiedere la sanzione per i ristoranti spagnoli, non abbiamo guardato dentro casa nostra e dentro la cosa nostra che vendiamo ai flussi turistici italiani e internazionali. Ma forse la domanda che dobbiamo farci è un’altra. È possibile intervenire, o quanto meno ha senso farlo, perché visto il caso dei ristoranti spagnoli è possibile, sul mercato per fermare le sue espressioni più o meno eccentriche e certamente criticabili? Cioè, la critica deve coincidere con la censura. Si potrebbe rispondere di sì, se con l’attività censoria si potessero combattere le mafie. Ma sappiamo che così non è. E, anzi, quando un tempo, da ragazzino a Brancaccio, mi si diceva sottovoce di non parlare di mafia non significava certo che la stessa non esisteva solo perché mi proponevano di eliminarla dal mio pensiero e dal mio lessico. Allora, più che inseguire questo o quel particolare uso della mafia a fini commerciali, e quello dei ristoranti iberici è l’ennesimo caso e certamente non l’ultimo, potrebbero giovare percorsi alternativi. Ad esempio, mi trovavo ad Erice e, in un negozio accanto a quello che vendeva questi orribili souvenir pro mafia, ce n’era un altro dove si proponeva l’opuscoletto, edito dall’editore trapanese Di Girolamo, “La mafia spiegata ai turisti” (autore Augusto Cavadi), che già conosce una miriade di traduzioni in diverse lingue, pure in cinese e giapponese. Siccome è un testo che mi risulta essere molto venduto, e che viene proposto in diversi siti turistici in Sicilia, è possibile che tanti viaggiatori spagnoli lo abbiano comprato, sistemato nelle loro librerie e leggendolo si siano tenuti lontani dai ristoranti “La mafia se sienta a la mesa (La mafia si siede a tavola). Magari in questo modo, rispetto al proibire e basta, ci stiamo un po’ di più a creare una coscienza e, soprattutto, una conoscenza antimafia. Ma andremo molto più lontano.

giovedì 13 ottobre 2016

Ponte sullo stretto. La coperta di Linus dei siciliani.

La Repubblica Palermo - Pag. I
13 ottobre 2016
Se il ponte è un alibi
Francesco Palazzo

Il dibattito riguardante il ponte sullo stretto celebra sempre la sua penultima puntata. Ora le acque si stanno calmando dopo l’ultima presa di posizione favorevole del presidente del consiglio Matteo Renzi. Ma state certi che il battaglione dei siciliani, che sanno dalla a alla z di cosa è priva la nostra regione, sparerà sempre come un sol uomo. Le risposte negative dei siciliani sulla questione sembrano essere due. Ma la sentenza è sempre la stessa. Al fondo, come cercheremo di argomentare, c’è una ragione consistente quanto una balla di zucchero filato. Ci sono i siculi che esordiscono: premetto che sono d'accordo. Ed è come quando il tuo interlocutore inizia con l'excusatio non petita di avere un sacco di amici gay, che tu ti allarmi subito e fai bene. Dopo la premessa ti sciorinano una serie interminabile di cose che mancano nella nostra regione e che andrebbero fatte prima. Tanto che non capisci più cosa voglia dire quel sì. Poi ci sono i no da cui ottieni ragioni tecniche e ambientaliste, che sono però soltanto un preambolo per dipingere, che ve lo dico a fare, la solita lista della spesa di ciò che non c'è in Sicilia. Non vogliamo accennare ai risvolti tecnici e ambientalisti della grande opera. È un ginepraio dal quale è difficile uscire in buona salute. Basta dire che altri ponti simili, o più sfidanti dal punto di vista delle condizioni ingegneristiche o ambientali, sono stati innalzati in altre parti del mondo senza mettere in tavola tragedie da cavalleria rusticana. Per fare un solo esempio, ma potrebbero essere diversi, potremmo riferirci alla grande opera che collega la Svezia alla Danimarca. Realizzata con l'ingegno italiano e che un'amica ci descriveva entusiasta di ritorno da un viaggio. Chiedendosi perché in altri posti sì e da noi no. Altrove le cose semplicemente si fanno o non si fanno, qui ci ubriachiamo da tempo immemore di parole, chiacchiere e distintivi. Che se ci fanno il ponte test in qualche posto di blocco ci ritirano macchine, patenti e salvagenti. Ma il punto su cui vogliamo riflettere è un altro. Ed ha la forma della consueta litania, prima descritta, che si alza alta in cielo ogni volta che qualcuno pronuncia la parola ponte. Ma come, in Sicilia manca tanto e voi ci volete costruire il ponte sulla testa? Scherzate o dite vero? Il punto è capire perché quello di cui siamo sprovvisti non si è fatto nei 70 anni di autonomia speciale. Chi lo ha impedito? Probabilmente la dea bendata, o il destino cinico e baro, hanno reso vani gli sforzi. Eppure sono passati e passano sotto il nostro naso miliardi provenienti dallo stato e dall'Unione Europea. In altri posti hanno utilizzato questi fondi per progredire e tenersi i giovani che da noi fuggono, come riportato da questo giornale citando dati recenti della Fondazione Migrantes. In realtà, e lo sappiamo bene, questo contrapporre quello che non c'è all'idea del Ponte è solo una grande ipocrisia. Diciamolo chiaramente, allora. I soldi per fare altro in Sicilia in questi sette decenni repubblicani sono arrivati a fiumi e ne continuano ad arrivare. Se non si sono fatte le cose che ci servirebbero, ma anche qui si potrebbe discutere, perché non tutto in Sicilia è con il segno negativo, l'innocente ponte non c'entra assolutamente nulla. La questione del ponte richiama dunque non le colpe di Roma su quanto non ci ha concesso, ma le responsabilità di tutti noi abitanti di questa regione. Quello che siamo o non siamo, che abbiamo o che non abbiamo rappresenta la biografia di un intero popolo. Una decina di anni addietro venni invitato da un'associazione di sinistra a discutere di alcuni argomenti. Tra questi il ponte. Dissi, di fronte ad un uditorio che si aspettava parole diverse, che quel no al ponte era una battaglia ideologica di retroguardia e che avremmo fatto bene a guardare le nostre eventuali disattenzioni su tutto il resto. Fui redarguito e si guardarono bene dall'invitarmi una seconda volta. Molti siciliani da quella posizione di retroguardia non si sono più mossi invecchiando insieme ad essa.

Buco Amat non paganti. Non bastano gli agenti.


La Repubblica Palermo
5 ottobre 2016
Le inutili misure antiportoghesi
Francesco Palazzo

Potremmo iniziare così. Volete tenervi il servizio di trasporto locale pubblico finché morte non vi separi? Sì, lo vogliamo. Basta che copra tutta la città, soprattutto le periferie, con un numero adeguato di vetture, che non costi un botto e che la fruizione dei mezzi venga fatta pagare a tutti. Lasciamo al lettore il giudizio su come siano servite le periferie dai mezzi Amat, su quanti bus vi siano in giro e soffermiamoci sui costi, ovvero sulle perdite. Il servizio di trasporto deve gravare, anche, sulla fiscalità generale. Che non sono soldi vinti al superenalotto. L’amministrazione di un ente pubblico, prima di ricorrere ai contribuenti, deve fare l’impossibile per prendere il dovuto dal servizio che eroga. Altrimenti un cittadino corretto paga due volte. La prima rispettando le regole, la seconda quando una parte delle sue tasse vanno a foraggiare lo stesso servizio anche per colpa di chi non paga. Rovesciando la medaglia, c’è la possibilità che coloro i quali fanno i furbi, siano poi gli stessi che si distraggono quando c’è da pagare le imposte. Non pagando due volte. Ma quanti sono, e quanto ci costano, quelli che viaggiano gratis? Facciamo due calcoli partendo da un articolo di Sara Scarafia (Repubblica del 21 settembre). Nello stesso la dirigenza Amat dichiara che nei bus non paga uno su due. Ma anche nei tram, sempre a sentire la dirigenza, siamo a quote alte di evasione. Tra bus e tram ogni anno vi sono circa 26 milioni e 400 mila utenti. Stando alle percentuali condivise dall’azienda, 11 milioni e 880 mila non pagano. Visto che il prezzo del biglietto è un euro e quaranta, la perdita annuale di Amat, ossia della collettività, è più di 16 milioni e mezzo di euro. Con la quale si potrebbero coprire i costi annuali del tram, che arrivano a 15 milioni. Dalla vecchia ZTL si presumeva di ricavare 30 milioni da destinare al trasporto pubblico. Ipotesi che molto difficilmente avrebbe trovato riscontro nella realtà. Mentre con la nuova e piccola ZTL, partita male in quanto a ricavi, non sappiamo quanto ci prenderà il Comune. Ma, pure contenuto, l’incasso potrebbe potenziare il servizio dei bus, a patto che però si facciano pagare i quasi dodici milioni all’anno che viaggiano senza scucire un centesimo. Cosa metterà in campo Amat per combattere questo fenomeno? Da ottobre utilizzerà i vigilantes sulle due linee di tram e bus più affollate. Ci sembra una misura quattro volte inefficace. Sarà limitata nel tempo, sia come durata della convenzione che come presenza nelle ore della giornata, visto che saranno coperte solo le ore di punta. Riguarderà soltanto due tratte di tram e bus. Non si metterà in atto nessuna modifica organizzativa, tipo fare entrare dalla bussola davanti. Regola introdotta sulla carta ma rimasta lettera morta. Infine, questa vigilanza armata avrà un costo, mentre si potrebbe utilizzare parte del personale che già c’è in azienda e altro da prendere nelle sacche di precariato creato ad arte (ex PIP?) per fornire tutte le vetture di bigliettai. Allo stato c’è sotto il naso, senza che si riesca ad afferrarla, una montagna di denaro e, contemporaneamente, con un’improbabile ZTL, si tenta di far pagare i palermitani. Ma come, non gli fai pagare un servizio che eroghi e attendi il babbo natale della ZTL? Si può sostenere la gestione pubblica dei trasporti a fronte di un quadro simile? Visto che non si tratta di scuola o sanità, è un’eresia il ricorso al privato? Già avviene con i trasporti regionali su gomma, sinora non è morto nessuno, la gente si sposta tranquillamente da una parte all’altra della Sicilia, in orario e su mezzi discreti. Nessuno sale a bordo senza ticket. Il privato non può permettersi queste licenze poetiche. A maggior ragione non dovrebbe concedersele il pubblico. Sabato e domenica abbiamo preso quattro volte il 101. Quasi tutti non hanno pagato senza che dovessero rendere conto a nessuno. Ragazzotti che ti sbeffeggiavano e adulti che pontificavano sui massimi sistemi senza avere in tasca nessun titolo di viaggio. Per affrontare tale far west occorrono non quattro agenti. Ma una dirigenza che sappia affrontare alla radice, sistematicamente e definitivamente il problema.

lunedì 19 settembre 2016

Come reagire al pizzo che paghiamo per strada.

La Repubblica Palermo - Pag. I
18 Settembre 2016

Sono estorsori, trattiamoli come tali
Francesco Palazzo

La proposta al parlamento del sindaco di Palermo, circa un provvedimento che disponga l’arresto da sei mesi a un anno, aumentato da uno a tre se coinvolti minori, dei posteggiatori abusivi che vengano pescati una seconda volta in flagranza di reato, anche se non colti in atti di violenza, fa discutere. Ci sono almeno due aspetti che possono far convergere verso tale proposta. Innanzitutto, va detto senza infingimenti, si tratta di “pizzo”. La richiesta di obolo ha le caratteristiche dell’estorsione classica nei confronti di esercizi commerciali e imprese. Se non vuoi che qualcuno attenti alla tua tranquillità e ai tuoi beni, che poi quel qualcuno sono io che ti minaccio, così si presenta il mafioso, devi scucire dei soldi. Lo stesso meccanismo entra in gioco quando il tizio si avvicina al nostro mezzo per chiederci denaro. Se esiste l’arresto per chi compie l’estorsione classica, anche senza mettere in atto gesti espliciti di violenza, non si capisce perché debba essere trattato diversamente questo tipo di approccio estorsivo esercitato alla luce del sole in tante piazze e strade. L’altro versante a favore è l’ombra di Cosa nostra che potrebbe stare dietro questo tipo di attività. Più volte gli investigatori hanno riferito che quella mafiosa dietro ai parcheggiatori abusivi è più di un’ombra. Nel 2015 un’indagine con arresti ha fatto emergere la perorazione di un parcheggiatore verso una cosca per conservare il posto di “lavoro” nei pressi di una discoteca. Leggemmo che i mafiosi fecero in modo che il tizio conservasse il posto. Ci guadagnava una quota parte dagli incassi la cosca? Non è fuori luogo pensarlo per questo come per altri casi. Ma è sicuramente vero che queste persone sono potenzialmente delle vedette in grado di riferire alla criminalità organizzata tutto ciò che si muove sul territorio. Chi si oppone alla richiesta di carcerazione rileva quanto sia difficile che la repressione possa determinare la scomparsa di un reato, ma che ci vuole prevenzione. Sarà così, ma aiuta. Altrimenti potremmo dire che non vale la pena arrestare i mafiosi perché la mafia non scompare con le manette e il carcere duro. Invece è meglio che stiano nelle patrie galere. Tuttavia, da questo punto di vista, va detto che per una lotta contro tale azione estorsiva, ma vale anche per le mafie, ci vuole un forte contributo dei cittadini. Non è difficile vedere il professionista, per citare una categoria che ha tutti i mezzi per reagire, socializzare e solidarizzare con il parcheggiatore abusivo che ha sotto casa o nel parcheggio fuori dal lavoro. Altri riterrebbero più efficace togliere ai parcheggiatori presi in castagna i vantaggi assistenziali e fiscali che vanno ai nullatenenti, come quasi sempre questa gente è, non pagando per tale motivo le multe comminate loro per l’attività abusiva. Questa potrebbe essere una pena accessoria, definitiva, da sommarsi al carcere. Ma, intanto, per dirla tutta, ci sono occasioni in cui le istituzioni potrebbero iniziare ad agire senza attendere provvedimenti parlamentari. Tantissimi palermitani sanno cosa accade nei pressi del Barbera quando gioca il Palermo. Decine di posteggiatori estortori “guardano” moto e auto. Lo fanno non in una landa desolata. Ma in una parte della città in quelle occasioni blindata dalla polizia municipale e dalle altre forze dell’ordine. Cosa impedisce, ad esempio ai vigili urbani, visto che la proposta di carcerazione per gli estortori con fischietto parte dal comune, di controllare rigidamente una parte non sterminata di territorio ed allontanare i parcheggiatori abusivi? In tal modo si manderebbe ai cittadini tifosi, che fanno parte di tutte le categorie sociali, un doppio segnale positivo, che varrebbe molto più di mille parole. In primo luogo si comunicherebbe che la forza pubblica è padrona di quel territorio e che la sicurezza dei mezzi privati viene da essa garantita. Inoltre, si darebbe più coraggio ai cittadini che volessero non pagare più, nella quotidianità, questo pizzo. Insomma, va bene la proposta di carcerazione. Ma vogliamo iniziare concretamente a mettere insieme l’autorevolezza della forza pubblica e la buona volontà dei cittadini per combattere questo odioso fenomeno?

sabato 10 settembre 2016

Il cocco, la pannocchia e la libertà in Sicilia.

La Repubblica Palermo 9 settembre 2016

Anche in riva al mare l'illegalità distorce il libero mercato 

Francesco Palazzo 


È difficile, in Sicilia, sfuggire a certi meccanismi. Sei disteso sotto un ombrellone e ti pare che un po’ di natura trattata bene possa generare un minimo di sviluppo libero. Non fai in tempo a pensarlo che vieni investito dal controllo millimetrico del territorio, arenile o asfalto che sia. La storia riguarda due venditori siculi e ha come titolo “Il cocco contro la pollanca”. Si può obiettare che sono due alimenti molto diversi, che possono coesistere pacificamente. Non è così. Devi prendere atto che il libero mercato non ce la può fare contro un assetto sociale opprimente che arriva a bagnare pure le assolate spiagge siciliane. Quello della pollanca, con uno slogan accattivante («Me la puoi pagare a rate»), aveva venduto alcuni esemplari della sua mercanzia. A un certo punto arriva il tipo del «cocco bello-cocco fresco», anche questo uno slogan efficace. Il coccoinomane scruta qualcuno che non dovrebbe esserci e lo manda a chiamare: «Ma che ci fai qui?». «Ero di passaggio, ora me ne vado», risponde lo spacciatore di mais. «Fai un altro giro e poi sloggia». E sin qui potrebbe sembrare la lotta tra un prepotente e uno che subisce. Ma a quel punto quello della pollanca, sbiancato in viso per la paura, vuole essere rassicurato prima di farsi un altro giro. «Mi dai la garanzia, non è che poi ci sono problemi?», chiede a quello del cocco. Cioè, sei in grado di darmela o mi crei problemi con altri? Un riferimento a chi gestisce la zona? Più che probabile. «No problem», dice il cocchista. Invece, dopo pochi secondi il fu commerciante di pannocchie pubblicizza il cocco con il suo megafono e passa a venderlo tra gli ombrelloni. Questo episodio è metafora della nostra terra? Possiamo dire che questa Sicilia non è certo una piccola minoranza. Una Sicilia dove abbiamo celebrato il venticinquesimo anniversario dell’uccisione per mano mafiosa di Libero Grassi, morto per aver voluto vivere la normalità della libertà d’impresa, e il trentaquattresimo dell’omicidio del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, fatto fuori perché voleva affrontare a viso aperto, sottraendole territorio e potere, Cosa nostra. E dove ci apprestiamo a ricordare il ventitreesimo del colpo alla nuca che fece fuori don Puglisi. Lui riteneva che a Brancaccio si potesse agire liberamente scendendo nelle strade e ciò gli fu impedito dalla malapolitica e infine dalla mafia. Il mercato, il territorio, le strade non sono liberi in Sicilia. Talvolta lo dimentichiamo ma accade qualcosa, grande o piccola che sia, che ci riporta alla realtà. Attenzione, il pollanchista e il ras del cocco sono due poveri cristi. Ma l’indigenza che cerca espedienti per sbarcare il lunario non è un’esclusiva delle nostre latitudini. Tuttavia, solo in Sicilia c’è questo controllo asfissiante, pur con una Cosa nostra in crisi (?), di ogni lembo di terreno. Escludiamo che una storia come questa possa accadere lungo la riviera adriatica, ma pure in molti tratti di costa delle altre regioni del Sud. Anche il privato con le carte in regola in Sicilia può muoversi secondo logiche di mercato anomale. In un villaggio non trasportano in stanza il cibo che porti da fuori, devi portarlo a piedi sotto il sole, perché, dice un addetto, vogliono che ti serva presso il market interno. Che però fornisce quasi nulla e a prezzi esosi. Quindi, prima ancora di offrirti una valida alternativa, facendoti trovare un posto assortito e a prezzi concorrenziali, si mette in atto un fastidiosissimo intralcio. Dimenticandosi della cosa più importante. Sincerarsi che gli appartamenti siano in buone condizioni. Devi litigare mezza giornata per fare riportare il tuo in uno stato appena decente, rischiando di finire in ospedale per il cedimento del vano doccia. Per non parlare di quel ristorante vista mare. Lavorava bene a prezzi non alti, ora li ha aumentati ed è scaduto come qualità. Anche questo ci dice molto della nostra Sicilia. Dove il turista, molto spesso, è solo un pollo da spennare. 

domenica 28 agosto 2016

Storia di manette e Vucciria. Ovvero. Palermo senza regole.

La Repubblica - Palermo
27 agosto 2016 - Pag. I

Quella insopprimibile insofferenza alle regole

FRANCESCO PALAZZO

A febbraio 2014, alla Vucciria, abbattendo un muro, che non era quello di Berlino, messo dal comune dopo la caduta di un rudere, più che la libertà politica la movida palermitana intese difendere un prosecco e un’olivetta. Ad agosto 2016, sempre alla Vucciria, si sono fatti molti passi in avanti. Uno scippatore, già in manette, è stato favorito nella fuga dalla folla indifferente o complice. Queste reti di protezione in genere riguardano altri contesti e comunque vedono in scena familiari o amici stretti dei rei. Ma quando poi scattano le manette neanche il più incallito mafioso riesce a divincolarsi. Alla Vucciria si è superato questo limite. Nei luoghi della movida si fuma, e dunque si spaccia, un po’ di tutto e ciò viene ritenuto normale. I controlli sono visti come un disturbo da una platea di gente formata dalle più diverse classi sociali. Il sottrarsi alle regole minime è la quotidianità a Palermo. Per dire, è difficile, in tantissimi esercizi commerciali, che gli scontrini vengano emessi, anche perché non sono neppure chiesti. Appena tu rompi la prassi, vieni guardato male. Altro scenario. Viale Regione Siciliana. Ci sono cartelli che indicano il limite di velocità. Ma questo asse viario rimane una grande pista da corsa. Se qualcuno cerca di non superare il limite, si prende gestacci e insulti. Per ultimo quello che, dopo avere strombazzato sul clacson, mi ha superato a destra l’altra mattina, tirato fuori il braccio in un certo modo, come solo i palermitani sanno fare, e lanciato improperi di ogni tipo. Come se fosse un comportamento normale, e in effetti lo è diventato in Viale Regione, non rispettare sistematicamente un semplice limite. I panormiti si lamentano del mondo intero, politica compresa. Ma sono i primi a mettersi sotto i piedi elementari regole di convivenza. Che altrove, durante le vacanze estive, ammirano e onorano. Tipo aiutare le amministrazioni sul fronte immondizia. A Carini, vista la cosa dalla zona estiva di Villagrazia, ci stanno provando. Hanno tolto i contenitori e installato delle telecamere di sorveglianza. Prelevano l’immondizia, differenziata, davanti le abitazioni. Le strade sono sgombre dalle montagne di sacchetti che facevano bella mostra. Ma ciò non scoraggia tanti palermitani che costituiscono quasi tutta la popolazione estiva da quelle parti. Cercano zone sprovviste di telecamere per implementare nuovi letamai. Ma il capolavoro lo fanno di mattina presto. Quando lanciano il sacchetto di rifiuti qualche metro prima di immettersi nell’autostrada che li porterà al lavoro a Palermo. Anche in spiaggia vedi tanti palermitani refrattari alle regole e al buon senso. Da quelli che ti fumano tipo ciminiera a due passi dal naso e poi sotterrano le cicche, e se glielo fai notare ti guardano storto, a coloro che giocano, cosa vietata, con i palloni sulla battigia come fossero al Maracanà. Colpendo pure, è accaduto a Magaggiari (Cinisi), due ragazzi immobilizzati sulle sedie a rotelle. Potremmo dire di altre abitudini malsane, come il parcheggiare dappertutto o buttare quella che capita dai finestrini delle auto. Ma ci vorrebbe un saggio. Il vivere in una società in cui ciascun fa ciò che gli pare, coniugato alla mancanza di lavoro, dovuta anche ai ranghi pubblici che si riempiono di assistenzialismo senza merito, porta i giovani universitari palermitani, mi è capitato di sentirne molti sull’argomento, ad attendere impazienti la fine del primo triennio di studi per andarsene a fare la specialistica altrove. Tanto sanno che solo fuori troveranno lavoro e società che si basano, oltre che sul rispetto delle regole, sulla meritocrazia. Ci troviamo a pochi mesi dall’elezione del sindaco di Palermo. In campo con le scarpe chiodate le consorterie politiche, non i bisogni della comunità cittadina. Ma pure se dovessimo trovare un Giorgio La Pira, e allo stato non intravediamo neppure lontanamente tale possibilità, il destino del capoluogo rimane nelle mani degli adulti. Che, nove volte su dieci, danno pessimi esempi alle nuove generazioni. Quando poi si arriva, ma è l’epilogo lungo una linea di inciviltà diffusa, a sottrarre alle forze dell’ordine uno già ammanettato, significa che si è passato un punto dal quale è forse difficile tornare indietro.

giovedì 25 agosto 2016

La ZTL a Palermo. Quando manca il coraggio.


La Repubblica Palermo - 24 agosto 2016 - Pag. I

Consenso e paura intorno al traffico

Francesco Palazzo
Per fare le cose, sostiene la giunta che amministra Palermo a proposito delle zone a traffico limitato, ci vuole il consenso. Ma si potrebbe anche dire che il consenso, che certo in politica non è un aspetto secondario, puoi anche crearlo avendo il coraggio di scelte nette. La primavera di Palermo, negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, si è nutrita più del secondo aspetto che del primo.Invece, il comune di Palermo, spostando sempre più verso il basso l'asticella, ha varato la ZTL della paura. Paura degli elettori, da una parte, a pochi mesi dalle elezioni, e paura delle associazioni di commercianti, dall'altra, che pressavano per un provvedimento con un minimo impatto sulle loro attività. Il risultato, rispetto a quanto coerentemente annunciato dal comune dopo la sentenza del CGA, e cioè che si sarebbe andato dritto facendo partire le due ZTL e che si eliminava per i non residenti l'abbonamento annuale sostituito con accessi giornalieri (come avviene ovunque), è un ripiego verso qualcosa che si fa fatica a comprendere. Innanzitutto, per le vie principali interessate. Se consideriamo, infatti, che il primo segmento di questa ZTL impalpabile va dal Teatro Massimo ai Quattro Canti, dobbiamo constatare che trattasi della prima parte di Via Maqueda, già di fatto isola pedonale. Sostanzialmente, quindi, si sta puntando sull'ultima parte di Via Maqueda che comincia dal Palazzo delle Aquile, ossia una zona commercialmente molto desertificata. Anche considerando l'altro asse di questa ZTL della paura, ossia corso Vittorio Emanuele, a parte che anche qui non ci pare che il commercio pulluli, trattasi di una strada già per metà, da Porta Nuova ai Quattro Canti, oggetto di restrizioni che vanno verso la pedonalizzazione. Se, poi, poniamo attenzione sulle vie interne a questi assi principali, che ricadono in questa zona a traffico limitato, sono dedali di strade in cui oramai il traffico veicolare è davvero scarso, dunque non si capisce perché farne il bersaglio di tale provvedimento. Insomma, la percezione è che oramai, visto che ci si era esposti con parole anche non leggere verso i resistenti, cascasse il mondo, si doveva tenere il punto. Facendo partire, o annunciando, perché ancora non sappiamo dovrà andrà a cadere alla fine il ragionamento del comune, un'ordinanza che non è né carne né pesce, assomiglia tanto ad una ritirata, non serve alla città e non sposterà di molto le abitudini degli automuniti. Soprattutto perché, sul versante delle sanzioni, non ci saranno i previsti controlli con le telecamere sino a fine anno. Insomma, per dirla alla palermitana, " un ci fu nienti, pigghiamunni u cafè". Per dirla, meno efficacemente, in lingua italiana, tanto rumore per nulla. A volte, in politica, l'alternativa a un progetto che ormai si ritiene spuntato, per diversi motivi, non è trovare un timido e inutile ripiego. Ma l'ammettere che ci si è provato seriamente e che si rimanda il tutto, se rieletti, alla prossima legislatura. Perché è chiaro che i cambiamenti radicali sulla mobilità vanno decisi e attuati ad inizio mandato. In modo che se ne possa misurare compiutamente e con calma l'efficacia, sottraendo la tematica al dibattito elettorale. Cosa poteva fare, invece, su questa area adesso interessata, il comune a pochi mesi dal voto? Poteva proseguire nella cosa che forse, con tutti i limiti che l'hanno caratterizzata, gli è riuscita meglio dal 2012 a oggi, ossia le pedonalizzazioni. Estendendo quella già esistente nel primo tratto di Via Maqueda a tutta la strada e quella già in nuce nel pezzo alto di Corso Vittorio Emanuele sino a Porta Felice. Del resto, in tal senso, se abbiamo ben capito, diverse sono già le richieste, non sol su queste vie ma anche su via Roma. Se si cercava il consenso e se si voleva fare qualcosa di utile ci si poteva cimentare in questo. Anche se, quando si cominciano a temere gli elettori è probabile che si sia già cominciato a perdere.

venerdì 12 agosto 2016

Sicilia, nuova legge elettorale sindaci. Un passo in avanti per gli elettori.

La Repubblica Palermo
11agosto 2016 - Pag. I

Ma quella riforma elettorale può dare stabilità ai comuni

Francesco Palazzo

Conosciamo la Sicilia laboratorio politico che anticipa quanto poi succede a livello nazionale. Viste le condizioni in cui versiamo, c‘è chi ha qualche dubbio su questo precorrere. Intanto, perché anticipare non vuol dire porre in essere cose positive. Bisognerebbe, poi, riuscire a dimostrare tale virtuosità anticipatrice. In terzo luogo, anche se si ha un’intuizione nuova, non è raro che tutto rimanga impantanato nel capitolo delle occasioni perse. Basta ricordare l’istituto autonomistico. Volevamo essere speciali e fatichiamo a essere normali. Tuttavia i precedenti non devono farci velo quando ci troviamo davanti un provvedimento interessante. Ci riferiamo alle modifiche, votate all’Ars, riguardanti le elezioni dei sindaci, la sfiducia nei loro confronti e la composizione delle relative maggioranze, per i comuni sopra i 15 mila abitanti. Il punto principale prevede che il candidato sindaco che supererà il 40 per cento sarà eletto al primo turno. Partiamo da una considerazione che non si deve perdere di vista quando si parla di leggi elettorali. Queste, più che al ceto politico, servono a chi elegge. Ogni dispositivo elettorale va guardato per ciò che permette, o nega, al corpo elettorale. Vanno esaminati due aspetti: se si consente alle urne l’espressione della democrazia rappresentativa e se si creano, chiusi i seggi, governabilità e veloce gestione della cosa pubblica. Non ci serve sapere altro. Se democrazia in entrata, che non vuol dire permettere polverizzazione del consenso, e governabilità in uscita vengono promosse, possiamo archiviare i mal di pancia provenienti in queste ore da settori del ceto politico.Partiamo dalla democrazia rappresentativa. Gli elettori potrebbero eleggersi il sindaco senza dover attendere due settimane per la celebrazione dei ballottaggi. Che servono più a riposizionare gli apparati che gli elettori. Certo, se si fosse abbassata ancora l’asticella, questa opportunità poteva verificarsi con più facilità. Alcuni avrebbero voluta portarla al 35 per cento, altri eliminarla del tutto. Non c’era da scandalizzarsi. I presidenti di Regione vengono eletti con qualsiasi percentuale e a novembre, in un solo turno, si eleggerà il presidente degli Stati Uniti. Inoltre gli elettori, secondo questa modalità di voto, possono legare la maggioranza dei Consigli comunali ai sindaci. Nel senso che questi, per ottenere il premio al primo turno, dovranno avere al seguito una compagine politica consistente (40 per cento). Cosa del tutto normale, visto che i processi democratici e i governi si devono fondare non sull’uomo solo al comando, ma su un percorso condiviso del tessuto politico che affronta le elezioni. E qui passiamo al secondo corno del problema, cioè cosa accade dopo il voto, la governabilità delle cose concrete, quella per cui esiste la politica, che sovente viene messa in secondo piano da leader, populismi e forze politiche che pensano più a litigare che a praticare soluzioni che facciano andare avanti le comunità. Nel caso della legge appena modificata, con un sindaco che avrà una sua maggioranza forte e determinata da una vera rappresentanza delle forze presenti nella comunità, non più tanti consiglieri che entrano al suo seguito ma che rappresentano ben poco, come accaduto a Palermo nel 2012, si avrà una governabilità basata su un consenso ampio. Anche il discorso della decadenza del sindaco se il Consiglio non approva il bilancio, che deve essere meglio interpretata secondo la nuova normativa, non pare uno sproposito. Il bilancio è lo strumento principe delle amministrazioni, serve non al ceto politico ma alle città. Se come primo cittadino non ho i numeri per farlo approvare, è giusto che vada a casa. Qualsiasi riforma deve sempre servire alla democrazia e al governo della cosa pubblica. Questi due aspetti interessano esclusivamente coloro nei confronti dei quali si amministra, gli unici destinatari di ogni azione politica. Ammesso che la politica sia servizio e non mero esercizio di potere.

giovedì 28 luglio 2016

ZTL a Palermo, qualcosa è cambiato.


La Repubblica Palermo 
27 luglio 2016
ZTL, questa volta la missione è compiuta
FRANCESCO PALAZZO
Con la nuova proposta di zone a traffico limitato, che costituiscono di fatto un’ampia rivisitazione di quelle sospese dal TAR e rianimate dal CGA, il comune di Palermo, riscrivendo, a parte l’ampiezza territoriale di riferimento, tutta la sua originaria proposta, sulla quale tanto ci si è divisi, mette in campo qualcosa di interessante e di più allineato allo scenario nazionale. Soprattutto per ciò che riguarda quello che è il cuore di ogni ZTL, cioè cosa permetti ai singoli cittadini che stanno fuori rispetto al perimetro interessato. Ebbene, in questo, come in altri punti che riguardano i residenti, utilizzando il titolo di un noto film, qualcosa è cambiato. Evidentemente a Palazzo delle Aquile, registrando il flop della recente assemblea cittadina, hanno ritenuto di adeguarsi strettamente alle prescrizioni del CGA, che nella sostanza aveva assunto come validi i dubbi del TAR, pur ritirando la sospensiva. Quando si pronunciò il Tar si disse che avevano vinto i ricorrenti, quando a parlare fu il CGA si sentenziò che avesse vinto il Comune. In realtà, i due pronunciamenti avevano lasciato le cose per come erano, non aveva vinto nessuno e aveva perso la città che attendeva un provvedimento più equilibrato. E questo sembra esserlo. Innanzitutto, questa nuova proposta attenua di molto quella che era stata la controversia dei mesi scorsi. Ossia che il tutto si faceva per fare cassa e permettere la sopravvivenza di Amat e tram. I non residenti non potranno entrare pagando un abbonamento annuale, viene quindi meno una parte molto consistente dei fondi inizialmente previsti. Se si vuole sono disponibili singoli ingressi, come avviene un po’ dappertutto in Italia. Visto che ogni volta dovrà pagare, il singolo cittadino non residente e che non ha particolari titoli per accedere, lo farà in auto quando ne avrà strettamente bisogno. È una soluzione che certamente troverà critici pronti a legittimi ricorsi. Ma è una zona a traffico limitato che ha una sua coerenza e che può essere ben difesa sia dal punto di vista legale che politico. Chi, infatti, non accetterà tale nuova ZTL dovrà dimostrare, prima ancora che ai giudici all’opinione pubblica, perché non va bene una prima cosa e poi il suo contrario. Tenuto conto che tutti concordano sulla necessità di una limitazione di accessi al centro nevralgico della città. Ovviamente città.Ovviamente, il Comune, adesso più di prima, dovrà garantire una mobilità decente con i mezzi pubblici. E questa è forse la parte più debole di tutto il nuovo assetto della ZTL. È facile dire che si vuole incentivare l’utilizzo del trasporto pubblico, ma poi questo deve essere all’altezza della situazione. E ancora non lo è e qui il Comune dovrebbe chiarire nel dettaglio come intende procedere. Ci si può augurare che da qui a fine legislatura si ponga mano seriamente a questo problema. E vengano considerate, soprattutto, le esigenze di mobilità delle periferie più lontane, che più hanno necessità, attualmente, del mezzo privato per recarsi in centro.Intanto, sono state in qualche modo accolte le esigenze di chi vive o comunque opera all’interno del perimetro interessato. Insomma, pur con tutti gli interrogativi possibili, ci pare che la direzione intrapresa sia quella giusta. E anche coraggiosa. Pochi sindaci che intendono ricandidarsi avrebbero posto mani a un argomento così spinoso e divisivo a pochi mesi dalle urne. Dopo due pronunce della magistratura e il polverone polemico che si è sollevato in città, si poteva prendere la palla al balzo e presentarsi al corpo elettorale come quelli del liberi tutti al volante. Solo uno come Orlando poteva gestire in tal modo una vicenda complicata come questa. Se riuscirà a farsi capire dai palermitani che tra un po’ rimetteranno mano alla scheda elettorale, questo potrebbe determinare che, come accaduto con De Magistris a Napoli, lo schema grillini, renziani, centrodestra, e qualche singolo pur di peso in campo, salti a favore del sindaco per antonomasia dei palermitani. Sarà, infatti, molto difficile sbarrare la strada a colui che conseguirà la missione impossibile. Convincere i palermitani che viaggiare in auto verso il centro vuol dire non volere il bene di Palermo.

domenica 24 luglio 2016

Biblioteca di Ballarò, "Le Balate". L'Associazionismo e le nuove generazioni.



La Repubblica Palermo 
23 luglio 2016
Il rinnovamento alle Balate
FRANCESCO PALAZZO

Ma davvero la Biblioteca di Ballarò “Le Balate”, da una decina d’anni attiva verso bambini, ragazzi e adulti del quartiere, rischia di chiudere o di diventare, da laica, un territorio di conquista cattolico? La notizia è che c’è stato un ricambio con regolare votazione nel consiglio direttivo, perché quello precedente si era dimesso, del progetto pastorale Albergheria e Capo insieme per la promozione umana. Che vede coinvolte diverse parrocchie e tante associazioni. Una delle attività del progetto, che conta molteplici interventi sul territorio, è l’Associazione Le Balate, che gestisce la biblioteca. I giovani entrati nel consiglio direttivo sono della zona, laureati e con esperienza nel sociale. L’unico loro neo, pare, sia quello di frequentare ambienti cattolici. Che ragazzi credenti si avvicinino a un progetto promosso dalla curia di Palermo, non dovrebbe essere visto come un fatto eclatante. I nuovi arrivati non vogliono interrompere l’attività della biblioteca, né buttare fuori gli attuali operatori e neppure metterne in discussione la laicità. Intendono imprimere delle novità gestionali nelle dinamiche dell’intero progetto, biblioteca compresa, per dialogare meglio con il territorio e con tutti gli attori coinvolti nelle attività. Un fatto che dovrebbe essere considerato normale e salutare. Negli ultimi decenni molte realtà sono sparite proprio perché non c’è stata la capacità di trovare nuove leve. Le quali, fatalmente, devono trovare nuove strade. Guai se così non fosse. I tempi cambiano e non si può essere sempre uguali a se stessi. Le nuove generazioni che si alternano alle vecchie non devono essere i cloni di quelli di prima, altrimenti vuol dire che non si è seminato bene. E quando quelli che subentrano, come capita a questo progetto, sono pure ragazzi e ragazze dei quartieri interessati, la vittoria si dovrebbe considerare doppia. Non solo si è stati capaci di dare alla luce un nuovo domani per un progetto importante, ma lo si è fatto con gente del luogo, senza profeti esterni. Ciò significa che il percorso sociale e pedagogico ha funzionato alla perfezione. Sia chiaro, vivere il nuovo deve coincidere con l’immettere nel percorso che si inaugura la memoria storica e l’esperienza di quanti hanno avuto la pazienza di intraprendere e portare avanti la fatica di operare in territori difficili. Ammesso che ve ne siano di facili. Ma non c’è altra strada, se si vuole il bene di un territorio e di chi ne fa parte, che quella di rinnovarsi, di dare ad altri la possibilità di scrutare con occhi nuovi, trovando e percorrendo nuove vie. Il nuovo direttivo del progetto ha chiamato tutti gli attori operanti nello stesso, nessuno escluso, al dialogo e alla collaborazione. E tanto basta. I ragazzi ora coinvolti saranno giudicati dai fatti. Ma prima facciamoglieli compiere. Il problema del ricambio, mutando scenario, attanaglia anche l’associazionismo antimafia. Vi è mai capitato di vedere alla testa di associazioni che si rifanno a vittime della mafia le stesse persone per anni e anni? Circostanza frequente, quasi una regola. Ciò può creare, soprattutto quando talune realtà vengono innaffiate da cospicui fondi pubblici, dei centri di potere. Ciò è incompatibile con la finalità antimafia. Che invece, per prima cosa, dovrebbe includere nella direzione di attività importanti sempre più soggetti, biograficamente freschi, che sappiano guardare non solo a ieri, ma anche all’oggi e al domani. Se è vero che la mafia non è mai uguale a se stessa, lo stesso concetto deve valere per l’antimafia associativa. Che spesso, proprio perché interpretata da soggetti inamovibili, cammina, magari andando a sbattere, guardando dallo specchietto retrovisore. Con analisi e protocolli operativi che perdono via via smalto e presa sulla realtà. Sino a divenire brutte fotocopie di quelle che un tempo erano idee e azioni originali ed efficaci.

mercoledì 13 luglio 2016

Palermo e la Cavalleria Rusticana.


La Repubblica Palermo 
12 luglio 2016 - Pag. I
La quotidiana dose di violenza 
Francesco Palazzo
Magari pensiamo che le liti per futili motivi, dove poi spuntano pistole e coltelli che lasciano a terra morti e feriti, ma in anni passati gente ha perso la vita anche dopo aggressioni a mani nude, possano avvenire solo in contesti periferici in cui la violenza verbale è un sottofondo costante e dove è facile che fazioni familiari si scontrino. Non è così. Ci pensavo dopo i due ultimi omicidi a Borgo Nuovo e a Cruillas. Mi è tornato in mente un episodio. Mi aveva angustiato per qualche ora. Poi lo avevo archiviato, anche perché dovevo accudire un familiare, nella sezione Palermo senza regole e violenta. Lo racconto perché dobbiamo imparare a stare in guardia e pensare che, a queste latitudini, pure se parcheggi tranquillamente rispettando il codice della strada puoi finire in ospedale. Oppure in obitorio. In una mattina di metà giugno cercavo un posto per l’auto nei pressi di un ospedale. Nei dintorni del quale imperversano indisturbate le solite famiglie di posteggiatori abusivi. Una, addirittura, “vigila” su un pezzo di strada con divieto di sosta. Riesco a vedere un tratto di asfalto libero dove è consentita la sosta. Faccio marcia indietro e mi accosto evitando di qualche metro, come atto di gentilezza, l’ingresso di un esercizio commerciale. Esce la signora che lo gestisce e mi redarguisce arrabbiata dicendomi che così non li faccio lavorare. Abbasso il finestrino lato passeggero e faccio notare che ho evitato l’ingresso, che mi sono fermato regolarmente, che loro non hanno nessun diritto su quel pezzo di strada e che una cosa del genere va chiesta per favore. Infila la testa sin quasi dentro l’auto un energumeno, suppongo il marito, e rincara la dose. Cerco di ripetere che non sto facendo nulla di proibito, che devo recarmi con urgenza in ospedale e che il loro ingresso è comunque libero. Si inalbera e sposta la querelle, che a quel punto si fa pericolosa per me, sul versante dell’onore. «Ma come ti permetti, pezzo di porco, a prendertela con una fimmina? ». «Scusi, non ho offeso nessuno, ho solo parcheggiato in un posto dove è consentito farlo». Ma ormai siamo a un livello da Cavalleria Rusticana. Il tizio gira intorno alla macchina, lato guida, con intenti molto seri. È a pochi centimetri dal vetro, che mi guardo bene dall’abbassare. Minacciandomi, mi urla di andare via subito, apostrofandomi più volte come un maiale che se la voleva discutere con una fimmina. A quel punto ho due alternative. Restare sul posto, scendere dalla macchina e proseguire verso l’ospedale. Ma è chiaro che rischio di arrivarci in barella e dal lato del pronto soccorso. Sarebbe poi spuntata una pistola o un coltello se insistevo, essendo nel giusto, mi chiedo adesso dopo i fatti di Borgo Nuovo e Cruillas? In quel momento non ci ho pensato, l’unica cosa che ho fatto è stata quella di rimettermi in moto e fermarmi cinquanta metri più avanti. A distanza di sicurezza dal nostro compare Alfio e con più di un brivido lungo la schiena per il pericolo scampato. C’è da dire che tutto questo è avvenuto in pieno giorno, in una strada molto battuta e commerciale, senza che nessuno intervenisse. Ma anche nel cuore di Palermo, lungo il salotto di Via Libertà, può capitare di assistere a roba simile. Come accaduto a quel signore che, salendo sul 101, ha esortato un peso massimo a non rivolgersi in modo razzista verso dei ragazzi di colore. È stato costretto a darsela a gambe, inseguito dal tizio che voleva picchiarlo. È chiaro che ogni fatto ha la sua genesi e che non si può generalizzare. Ma mettendo insieme diversi episodi eclatanti, recenti e passati, che già comunque compongono una casistica di tutto rispetto, e i tanti che ciascuno di noi potrebbe elencare e che solo per un caso non hanno avuto l’onore delle cronache, qualche ragionamento, su quanto sia difficile vivere in una città come questa, e su come in qualsiasi momento si possano correre seri rischi, pure in ambiti non periferici e degradati, si potrebbe fare.

venerdì 17 giugno 2016

Palermo 2017. Cominciamo a parlarne?


La Repubblica Palermo 
16 giugno 2016
Dopo Orlando il vuoto, a sinistra servono subito le primarie 
FRANCESCO PALAZZO 
Su Palermo la politica politicante del centrosinistra ha già iniziato le grandi manovre di avvicinamento alle amministrative del prossimo anno. Per il momento solo qualche movimento di posizione, che guarda più altrove che al capoluogo, e molti silenzi che però celano, neanche troppo per la verità, tutto un lavorio che potrebbe interessare poco i cittadini palermitani e il futuro di questa comunità. Francamente, non ci pare un modo conducente di cominciare a parlare della prossima legislatura della quinta città d’Italia. Il quinquennio che si concluderà nella prossima primavera non è stato contrassegnato da grandi unità d’intenti nello schieramento di centrosinistra nella capitale dell’isola. Il Pd, se vogliamo iniziare a circostanziare, non ci è sembrato molto presente. Se non nella duplice versione, vecchia come il cucco, di avvicinamenti o allontanamenti dal sindaco. Eppure, dal partito primo in Italia ci si poteva attendere un protagonismo diverso che doveva portare, ma sino a oggi nessun segnale c’è, a costruire una proposta di governo per Palermo. Se guardiamo al consiglio comunale, ed alla maggioranza bulgara che nel 2012 approdò tra i banchi di Sala delle Lapidi, negli anni disintegratasi, pochi segni di vita. Nella giunta di governo, il sindaco, l’uomo politico certamente più rappresentativo degli ultimi decenni, ha stabilito un rapporto diretto con la città, tanto che tra gli assessori che si sono susseguiti non è venuto fuori nessun nome che possa vivere di luce propria proponendosi alla città come primo cittadino. Poche e scarne notizie abbiamo delle opposizioni a Palazzo delle Aquile. Questo, più o meno, lo stato dell’arte a meno di un anno dalle elezioni. C’è una sola figura che emerge, quella di Orlando. E’ sua la colpa se non c’è sostanzialmente molto altro? Assolutamente no. Orlando ha fatto Orlando, ha sempre interpretato la sua figura istituzionale sapendo che riesce a parlare con la città e avendo la certezza che i palermitani, dallo ZEN al salotto di Via Libertà, sanno ascoltarlo.Sono gli altri che in questi ultimi trentadue anni, tanti saranno nel 2017, perché questa vicenda esordisce nel 1985, non hanno fatto la loro parte. Visto che ancora si avanza un appoggio ad Orlando per le prossime amministrative. Come se il sindaco in carica, conosciuto in ogni angolo di Palermo, avesse bisogno di qualcheendorsement, e lo abbiamo visto nel 2012, per riproporsi, queste le sue intenzioni, alla città tra pochi mesi. Ora, il punto è se c’è una modalità per capire se la parte politica centrale e sinistra della città può offrire, in extremis, a Palermo anche un’alternativa rispetto allo spartito sul quale si è suonata gran parte della musica politica in questa città per più di tre decenni. Tenendo conto che non si gareggia certo per essere sconfitti, e che quindi occorre andare uniti, e che i grillini, oltre che il centrodestra che ha già deciso le principali candidature, pure a Palermo faranno sentire il loro peso alle urne. L’unico modo per confermare la continuità, o registrare un cambiamento, è l’appuntamento ai gazebo. E, visto che abbiamo fatto il primo nome della contesa, già in campo da tempo, non resta che fare il secondo, che corrisponde a Fabrizio Ferrandelli, la cui candidatura ci sembra avanzata più o meno ufficialmente. Si tratta di un trentenne del PD, che si è già misurato con le elezioni amministrative, perdendole, con le primarie, vincendole, e che ha avuto il coraggio, caso unico nella storia siciliana, di rinunciare al ruolo e al connesso stipendio che contraddistinguono coloro che siedono sui banchi della deputazione all’ARS. Rappresenterebbe un salto generazionale nell’anno in cui Palermo si candida a capitale italiana 2017 dei giovani. Non resta dunque che consegnare ai cittadini delle primarie lo scioglimento di questo nodo. Evitando i contorcimenti, talvolta abbastanza eccentrici, di apparati partitici, silenti o parlanti, che vorrebbero giocarsi la partita di Palermo nel chiuso di una stanza e scrutando altrove. Considerato che si voterà nella primavera 2017, aprire i gazebo in autunno non sarebbe una brutta idea.

giovedì 9 giugno 2016

Pride Palermo: l'asterisco che da fastidio ai laici.

SE IL SESSO FA SCANDALO

La Repubblica Palermo - 8 giugno 2016
FRANCESCO PALAZZO


Scherza con i fanti, ma lascia stare i santi”. Nel caso del gadget messo in rete dagli organizzatori del Pride palermitano 2016, (“Ognuno cia ficca a cu voli”), il cui momento principale sarà la marcia del 18 giugno, si è capovolto il senso e la sostanza della frase. Parafrasandola, potremmo coniarne una nuova: “Gioca con i santi, ma tieniti lontano dai fanti”. E sì, perché quando si gioca con i santi, la coccarda dei libertari è facile un po’ per tutti indossarla. Certamente i lettori ricorderanno il dopo Pride di qualche anno addietro. In occasione dei festeggiamenti laici per Santa Rosalia, venne proiettato un video sul portale del duomo di Palermo. Per pochi secondi comparivano l’asterisco, simbolo del Pride stesso, e i gameti maschili e femminili accoppiati anche in versione omo. Correva l’anno 2013. La levata di scudi in ambito cattolico fu istantanea. “Vergogna. - scrisse un prete – L’ideologia omosessualista proiettata sul nobile porticato meridionale della cattedrale di Palermo…”. In quell’occasione, i fanti ebbero gioco facile nel puntare l’occhiolino pieno di disgusto contro quella parte del mondo cattolico fermo a chissà quando. Solo che la ruota gira e, nel volgere di qualche anno, proprio i fanti laicisti, quelli che sono, o sarebbero, anni luce avanti sui diritti civili, si inalberano, da destra a sinistra, da sopra a sotto, dall’alto in basso e dal basso in alto, verso una frase provocatoria, che somiglia appunto all’asterisco puntato sulla cattedrale. Solo che questa volta il fascio di luce è puntato altrove. E illumina, come meglio non si potrebbe, i limiti non del mondo cattolico questa volta, che in gran parte si tiene lontano, coerentemente, dai cortei del Pride, ma di quella galassia che esordisce con la tipica frase: “Premetto che ho rispetto per il mondo LBGT e sarò presente il 18 giugno ma…”. Seguono una valanga di sottolineature, distinguo, moralismi degni di miglior fortuna, verso un gioco apparso prevalentemente su facebook, dove tante facce appaiono con un gadget in cui appare la scritta sopra richiamata. Un gioco che però, visto le reazioni che sta provocando, non si sta rivelando solo un modo per strappare un sorriso, e penso che solo questo voleva essere, ma un poderoso scompaginamento, una specie di strike, verso quel muro che ancora è, in campo laico, l’emarginazione sessuale del mondo LBGT. Perché, capite, in fondo lo schema è facile da comprendere. Sui diritti civili per carità, per voi ci faremmo pure ammazzare. Ma sul sesso, che è poi il vero tabù che unisce l’ostracismo ancora virulento che proviene dai campi confessionali e laici, state un attimino calmi. Quello che avviene nelle camere da letto sia separato da ciò che succede nelle piazze. E, invece, il problema inizia proprio da lì, dal privato, dalla carne, dai corpi. Poi vengono i riconoscimenti giuridici e tutto il resto. Allora, se è servito a far venire fuori il retroterra culturale nel quale ci muoviamo, benvenuto all’innocente gadget. Del quale, peraltro, non c’è traccia nel sito ufficiale del Pride palermitano, a significare che solo di un piccolo divertimento provocatorio si trattava. Una minuscola provocazione che, tuttavia, ha attirato, come una potente calamità, i tanti che si sono sentiti puntati addosso il potente faro di un grande asterisco. Che si sono subito premurati di cancellare, agitandosi a più non posso sulle tastiere e consegnando ai social network un pezzo di verità. Che solo per ipocrisia, o per sposare sino in fondo il politicamente corretto, si è soliti tenere sotto il tappeto. Un pezzo di verità che si portano appresso, appunto come un grande asterisco, anche tanti di coloro che andranno alla marcia di metà giugno. Ci dice, questo tassello fondamentale di verità, che la strada da fare è ancora lunga. E, prima ancora di transitare dalle leggi, passa dalla testa delle persone. 

domenica 29 maggio 2016

Amat: non pagare e sorridere.


La Repubblica Palermo 
28 maggio 2016
La guerra perduta ai portoghesi sul bus
FRANCESCO PALAZZO

Negli ultimi tempi mi è capitato di vedere diverse volte la stessa scena. Nei bus Amat si tende ad affrontare i portoghesi, o meglio, per non offendere un popolo civilissimo, i palermitani incivili, in maniera più dialogante. Chi non ha obliterato viene invitato a sanare la “dimenticanza”. Chi è senza biglietto viene sollecitato a scendere alla fermata successiva. In quest’ultimo caso il soggetto si limiterà a inforcare la corsa seguente, arrivando indenne da sanzioni al traguardo. Ciò può avere due motivazioni. In primo luogo, le multe evidentemente difficilmente vengono pagate. Inoltre, proprio per porle in essere non è raro che gli addetti siano oggetto di pesanti aggressioni fisiche. Cosa non accettabile per chi si limita a fare solo il proprio dovere. Serve questo approccio morbido a sensibilizzare i cittadini al pagamento del biglietto? Può essere. Potrebbe determinare la circostanza che infilare il tagliando nell’obliteratrice si trasformi per i più resistenti, che in tal modo potrebbero aumentare, e già sono tantissimi, in un gesto del tutto facoltativo? Molto probabile anche questo. Nel frattempo, chi deve imbarcarsi e chiede all’autista se può acquistare da lui il biglietto, 9,9 volte su dieci riceve un no come risposta. Tutto ciò può far desistere dalle buone intenzioni quei pochi che il biglietto continuano a farlo senza pressioni di sorta. Se non rischio nulla, potrebbero cominciare a pensare gli stakanovisti del rispetto delle regole, mi conviene tenermi il biglietto intonso in mano oppure salire senza neppure quello. Un rimedio più conducente ci sarebbe. Lo aveva messo nero su bianco la stessa Amat. E’ durato, come le tante grida manzoniane, tipiche dei posti dove i precetti si annunciano e si moltiplicano per l’inchiostro dei giornali, da Natale a Santo Stefano. Obbligava all’ingresso esclusivamente dalla bussola anteriore. Si potrebbe ripristinare e obbligare l’autista, come avviene normalmente in altre città italiane ed europee, a verificare il possesso e la regolarità dei titoli di viaggio. Nessun privato potrebbe stare più di qualche mese sul mercato se si permettesse la licenza poetica di avere un altissimo numero di non paganti, di non controllare gli utenti a tappeto e di non far pagare dazio una volta verificata la scorrettezza dei viaggiatori. Chi si reca al Falcone - Borsellino o torna in città dall’aeroporto con il pullman, può verificare quanto un privato, se vuole garantire gli stipendi ai propri addetti e fare utili, deve legittimamente, per prima cosa, anche se usufruisce di un ristoro pubblico, pretendere da tutti il pagamento di un corrispettivo per il servizio, in questo caso sempre puntuale e con ottimi mezzi, che fornisce. Questo va detto perché spesso, quando si parla di privatizzazioni, si grida al lupo al lupo. Ma ai cittadini interessa avere servizi che non costino un occhio della testa come contribuenti, che siano efficienti, pagando il giusto.Un’altra cosa va rilevata. Durante la querelle sulle zone a traffico limitato, che ha avuto una nuova puntata scritta dal CGA, c’è stata la conferma che l’introito andrebbe anche a finanziare l’Amat. Ma si finanzia in sovrappiù una realtà che si fa pagare sempre, senza se e senza ma, la prestazione che rende. Altrimenti dire servizio pubblico è solo un modo per sventolarci sotto il naso una vetusta bandiera ideologica da socialismo reale. Che, in soldoni, vuol dire soltanto che occorre pagare diverse volte. Prima come contribuenti, poi come viaggiatori paganti, poi ancora per riempire i buchi che un’azienda dovrebbe cominciare a colmare da sola. Facendo intanto non fuggire, in larga parte, l’incasso dovuto dagli utenti. Insomma, veda l’azienda come fare. Ma si deve trovare un modo, perché altrove, non sulla luna, ci riescono, per riscuotere, senza che nessuno sfugga, quanto dovuto dai passeggeri. Non bisogna neppure guardare lontano. Ciò che si fa, bene, sulle quattro linee del tram, con introiti non trascurabili da quel che leggiamo, deve potersi fare anche sugli autobus.

lunedì 16 maggio 2016

Ecumenismo a Palermo: forma e sostanza.

La Repubblica Palermo
15 maggio 2016
Cosa ci insegnano i Valdesi
Francesco Palazzo

La visita ufficiale dell’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, presso il luogo di culto dei Valdesi e Metodisti, avvenuta domenica 8 maggio, come ricordato su queste pagine da Augusto Cavadi, segna certamente un punto importante nel dialogo tra credenti nello stesso dio. Vedere un porporato predicare dal pulpito della chiesa valdese faceva un certo effetto. Non sappiamo chi ha fatto il primo passo, ma il nuovo arcivescovo di Palermo non ha fatto certo valere la forza dei numeri ed è andato lui. La piccola comunità valdese e metodista ha svolto negli ultimi decenni un ruolo culturale di rilievo a Palermo. Basti pensare alle centinaia di incontri, di tutti i tipi, con persone orientate nei più diversi modi, che si sono svolti nell’auditorium che si trova alle spalle del luogo di culto, dietro il Teatro Garibaldi. Tale apertura non vi è stata nei luoghi di pertinenza della diocesi di Palermo. Basta ricordare che la Scuola di Formazione etico- politica Giovanni Falcone venne, di fatto, allontanata da ambienti cattolici per avere invitato l’ex abate Franzoni, uno dei protagonisti del Concilio Vaticano II, poi sospeso a divinis. Sull’avvicinamento cattolici- valdesi vorremmo sottolineare un aspetto critico e individuare un futuro. La comunità cattolica palermitana, a parte qualche sparuta presenza, si è tenuta sostanzialmente lontana da questo importantissimo evento. La piccola chiesa valdese era piena un po’ più del solito, ma erano quasi tutti fedeli protestanti. Per il resto giornalisti e cineoperatori. Nello spiazzo antistante la chiesa, che è rimasto vuoto, ipotizzando un accesso cospicuo, era stato data la possibilità di ascoltare attraverso un altoparlante. Che ha parlato al vento. Ciò per dire che il limite di queste iniziative è che sono gestite dai vertici, senza che la base sia sulla stessa linea. Quasi tutti i cattolici praticanti palermitani neppure sanno dove sorgono i luoghi di culto valdesi e metodisti. Eppure, passarci ogni tanto (la funzione domenicale è alle 11) non farebbe male al fedele cattolico. Così come, per gli adepti delle altre confessioni religiose esistenti a Palermo, potrebbe costituire motivo di formazione e di vero avvicinamento intrufolarsi ogni tanto in cattedrale o in altre chiese parrocchiali durante i riti cattolici. In tal modo si potrebbero creare percorsi condivisi e allargati. Ma è chiaro, detto ciò, che questi primi passi (Lorefice è andato anche presso gli anglicani di Via Roma, di fronte l’Hotel delle Palme), vanno tenuti nella giusta e importante considerazione. E, anzi, siccome questa contaminazione può senz’altro costituire un modo per scambiarsi buone pratiche, utili non solo alla città di dio, ma anche a quella degli uomini, e qui veniamo al futuro, chissà se ci saranno dei frutti più maturi. Per esempio pastorali comuni sul come affrontare in maniera sistematica la criminalità organizzata, o riflessioni congiunte sulla morale sessuale e familiare. Su quest’ultimo argomento, il mercoledì successivo all’incontro tra Valdesi e Cattolici, un vescovo importante di una rilevante diocesi siciliana, quella di Monreale, esprimeva, nel giorno dell’approvazione definitiva della legge sulle unioni civili, la posizione più dura della chiesa cattolica. Definendo da “fascismo strisciante”, parole che neppure la più acerrima delle opposizioni politiche ha pronunciato, il voto di fiducia chiesto dal governo su tale norma. Niente di più distante dal modo di operare dei Valdesi e Metodisti, che preferiscono parlare di famiglie, tutte con la stessa dignità, e offrono alle coppie omoaffettive la possibilità di essere benedette in chiesa. Insomma, non bastano i riti, per quanto storici. Occorre mettersi al lavoro, magari coinvolgendo tutte le comunità di fede e non soltanto le punte più avanzate.

giovedì 28 aprile 2016

Antimafia? Houston, abbiamo un problema.

La Repubblica Palermo
27 aprile 2016 - Pag. I

Perché l'antimafia segna il passo

Francesco Palazzo

 È da rifondare l’antimafia? Se Cosa nostra ci fa compagnia da tre secoli, possiamo dire, parafrasando l’astronauta,«Houston, abbiamo un problema». Come si affronta? Innanzitutto, con spirito laico. Ha ripreso vigore la polemica sul libro di Fiandaca e Lupo, “La mafia non ha vinto”. Gli autori mettono in discussione l’esistenza di una trattativa Stato-mafia. La querelle nasce dal fatto che i due sono stati invitati a corsi per magistrati. Molti testi che si schierano per l’esistenza della trattativa sono stati pubblicati. Fiandaca e Lupo forniscono due punti di vista che ci servono. Poi, occorre non ritenere l’antimafia un blocco monolitico, di fronte al quale trovare la chiave per risolvere il problema. Dovremmo tornare a riflettere sulle antimafie. Concretamente, senza perdersi nei labirinti delle parole. Del resto, se dovessimo non chiamarla più antimafia, ma in altro modo, si risolverebbe forse l’intreccio problematico? Vediamo, dunque, di mostrare alcuni tornanti di questa antimafia che mostra la corda. Cominciamo da quella fatta di emotività. Risposta comprensibile, che spesso nulla lascia sul campo e casistica ampia. Citiamo la polemica sugli occhiali con una frase di Impastato come messaggio pubblicitario, che alla fine portò al ritiro dello spot, e la fiction “Il capo dei capi”. Due messaggi diversi, su un eroe e su un mafioso. Entrambi non sono andati giù a un’antimafia che si ferma all’irritazione. E’ un atteggiamento seriale, che si ripeterà. Dicono gli studiosi che l’emotività contro la mafia non serve. Il secondo lato debole di questa crisi, ha la stessa sindrome. Ci riferiamo alla politica, sia quando si esprime con norme (di solito approvate reattivamente dopo gravi fatti di mafia), sia nella sua vita quotidiana (per i partiti la mafia esiste quando arrestano un loro esponente o i tribunali parlano). Non c’è visione di lungo periodo. Anzi, quando il vento del sangue si placa, si torna indietro. Vedi la modifica alla legge sui collaboratori di giustizia, che ha reso problematica la loro gestione. Erano troppi, adesso sono pochi e l’emergenza è finita. Mentre il parlamento non si pronuncia sul concorso esterno in associazione mafiosa. Spesso la politica ascolta più i Porta a Porta che i servitori dello Stato. Difficile dimenticare il trattamento riservato al prefetto Giuseppe Caruso sui beni confiscati. Un terzo atteggiamento è quello di affidare alla magistratura e alle forze dell’ordine la lotta alla mafia. Un altro sintomo di un’antimafia che ansima è il versante degli affari. Tenendo ferme le garanzie per i singoli, a molti non pare infondata l’ipotesi che talvolta, dietro ai proclami sulla legalità, si possano annidare interessi personali. Un altro aspetto si riferisce all’azione amministrativa. Talvolta si sbarra la strada a valutazioni sulle cose concrete - le uniche che interessano che si facciano, bene, ai contribuenti - innalzando il verbo dell’antimafia. Sciascia, al di là dei casi specifici citati allora, individuava i professionisti dell’antimafia. Il grande scrittore fu insignito, dall’antimafia emotiva, era il 1987, della medaglia di quaquaraquà e posto ai margini della società civile. E chiudiamo con la società civile, la sesta antimafia che segna il passo. Quella delle realtà che campano di finanziamenti pubblici. Qui basta ricordare don Puglisi. Contro la mafia stragista innalzò il vessillo della gratuità, lontana dai soldi pubblici e dalle segreterie dei notabili. Lo abbiamo già scritto. Solo beni e servizi alle associazioni. Se si hanno buone idee, cammineranno lo stesso. Come vediamo da questi pochi spunti, non si tratta di malattie recenti. Occorrono dunque delle cure non episodiche. E l’antimafia virtuosa? Non manca, ma ha il piombo sulle ali messo da quella che non funziona e che spesso crea più icone inamovibili che buone pratiche condivise. Ma c’è. Può avere il volto di Santi Palazzolo, l’imprenditore di Cinisi che ha denunciato un’estorsione. Intervenendo alla Leopola sicula ci pone una domanda. «E’ più antimafia fare le marce o alzarsi alle quattro del mattino, indossare gli indumenti da pasticciere, e dare ogni giorno lavoro onesto a cinquanta persone?». Tale interrogativo ci indica quanto un’antimafia non parolaia debba per forza passare dall’imperativo categorico di creare, ed è compito soprattutto della politica, ma non soltanto, le precondizioni di lavoro vero e non assistito.

giovedì 14 aprile 2016

Riina jr, la televisione, la mafia e noi.

La Repubblica Palermo
14 aprile 2016 - Pag. I
Il figlio di Riina e quelli delle vittime
Francesco Palazzo
(la parte in neretto non è stata pubblicata per motivi di spazio)

Sull’intervista al figlio di Riina, una considerazione preliminare, di serenità mentale. Prima conoscere, poi parlare. Nei giorni precedenti il Porta a Porta un fiume di dichiarazioni ci ha invaso. La politica ha fatto quello che sa fare. Mettere le mani nella RAI. Che va lasciata libera. Anche di sbagliare. Non abbiamo bisogno di una televisione che nasconda il male sotto il tappeto. Sarà sempre tardi il giorno in cui la RAI diventerà un servizio pubblico autonomo. Cane da guardia della democrazia, e nelle democrazie si sbaglia, solo nei totalitarismi non si fanno errori, che sbatta il telefono in faccia a chi pretende di dire ciò che deve andare in onda. Molte volte è accaduto, sui prodotti che parlano di mafia, che ci siano state lamentele. Tutto lecito. Va ricordato, perché si è affermato il contrario, che Enzo Biagi, quando nel 1989 intervistò Liggio, un capo, fu apostrofato con violente critiche. Lui rispose che faceva il giornalista e questo era tutto. Insomma, niente di nuovo. I mafiosi raccontano sempre le loro storie. Se non che spesso alte volano le nubi della retorica e gli sbuffi a perdere della locomotiva Sicilia offesa. Il figlio del capo di cosa nostra mostra il volto familiare di un periodo della sua vita. Difende il padre e non esprime giudizi sul suo spessore criminale. Vespa ha chiarito subito di cosa si trattava (“Trasmetteremo ora l’intervista a un mafioso”). Potevano essere poste altre domande? Tutti gli italiani, come quando gioca la nazionale, sono diventati esperti. E’ bello scoprire, peraltro, che l’Italia è piena di cronisti coraggiosi che sanno fare domande sconvolgenti ai mafiosi. Come mai ancora le mafie stanno in piedi, con tutti questi giornalisti di razza in azione, non riusciamo a spiegarcelo. Chi ha decrittato l’intervista dice che qualche grosso messaggio è partito. Ci troveremmo quasi di fronte ad uno scoop. Tutti abbiamo visto e possiamo valutare se è stata o no bella la figura fatta dal Riina. Dal mio punto di vista è emerso un altro lineamento, quello dell’allievo ufficiale figlio di Vito Schifani, agente morto a Capaci. Il tono della sua voce, le sue parole, il suo volto, la sua emozione. C’è chi dice che sarebbe meglio il silenzio, come condanna alla dannazione della memoria cui i mafiosi dovrebbero essere destinati. Ma anche quando della mafia non si parlava, negandone l’esistenza, pure nelle procure, questa continuava a rafforzarsi. Ed è sopravvissuta lungo tre secoli. E’ questa la vera vergogna, di cui tutti portiamo il peso. Il problema non è raccontare ventiquattro anni di latitanza di Riina, ma che questa ci sia stata. Magari coperta ai massimi livelli. Forse un giorno sapremo perché e come è avvenuto tutto questo dai mafiosi. Sono gli unici che parlano. Non l’hanno fatto, e non lo fanno, pezzi importanti di classe dirigente. E quando la classe dirigente migliore di questo paese, vedi il prefetto Giuseppe Caruso sulla gestione dei beni confiscati, dei quali si è parlato nel Porta a Porta “incriminato”, denuncia e propone, la si guarda con sospetto. C’è pure chi teme il fascino che i giovani subirebbero dall’esposizione mediatica dei mafiosi. Ma i ragazzi non sono scemi e la mafia ha arruolato nuove leve anche quando non c’erano televisione e internet. Hannah Arendt, a proposito dei nazisti, (“La banalità del male”), scrisse che “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressocché normale, né demoniaco, né mostruoso”. Le vie d’uscita, che la filosofa e giornalista tedesca vede, sono la facoltà di pensare e la distinzione tra giusto e sbagliato. La forza del giudizio. Facoltà che dovrebbero essere nella disponibilità di tutti. La politica, anziché occuparsi di palinsesti televisivi, ponga le condizioni affinché tutti diventino cittadini senza catene. Non servono né balie, né divieti, come i libri che non si vendono. La politica lotti la mafia. Cittadini liberi e responsabili e politica seria possono sconfiggerla.  Il resto, talvolta, è solo fumo che vola. 

giovedì 7 aprile 2016

ZTL a Palermo. Qualche proposta dopo la botta.

La Repubblica Palermo
6 aprile 2016

Il divieto e il rischio dell'effetto calamita
Francesco Palazzo
Sulle Ztl palermitane, a prescindere dai problemi sulle modalità di pagamento, rispetto alle quali non si capisce come si potrà ovviare in otto giorni (dal 7 al 14 aprile), ammesso che il Tar sia in «sinergia » con il Comune nel giorno del giudizio, si può avanzare un’ipotesi che cercheremo di dimostrare. La vasta area interessata può determinare una specie di effetto calamita. Abbiamo già detto che questa Ztl palermitana è differente in un punto fondamentale rispetto a quelle conosciute, pagando un abbonamento annuale, un semplice cittadino non appartenente a particolari categorie, può accedere indisturbato da non residente. Questo è il discrimine tra ciò che si può chiamare Ztl e ciò che si deve nominare necessariamente in un altro modo. E ciò fa del messaggio che il comune vorrebbe inviare, ossia meno inquinamento, un qualcosa di profondamente diverso. Cominciamo dal numero di auto che comunque non potranno entrare. A questa quantità vanno tolti i mezzi che appartengono ai residenti abitanti dentro il grande perimetro. Che sono messi con le spalle al muro. Anche se non prendono le macchine, tenendole posteggiate e dunque per nulla minacciose per i livelli di smog, devono pagare l’obolo annuale, novanta euro. Molti residenti se la sono pensata. Giungendo alla conclusione che, visto che devono pagare, l’auto la utilizzeranno sempre. Anche se magari in genere molti di loro preferirebbero, anche per scelte ambientaliste, servirsi dei mezzi pubblici. Invece di fare muro contro muro, mostrando che il vero problema è fare cassa, si poteva, e si potrebbe ancora, optare per un sistema misto per i residenti. Dando loro la possibilità di pagare la quota annuale, se vogliono, oppure di non pagare e lasciare la macchina ferma nelle ore proibite o al massimo usufruire di permessi giornalieri al bisogno. Insomma, a quest’ampia fascia di abitanti palermitani il messaggio che si manda vira più sull’istigazione a prendere, compulsivamente e quasi per dispetto, l’auto, che verso il convincimento a non prenderla senza pagare nulla. Anche per i non residenti, il dispaccio dell’amministrazione, che li vorrebbe tutti paganti, giunge forte e chiaro. A tutti, anche a coloro che al centro non ci vanno quasi mai e che, pagando, si sentirebbero nel diritto di fare ripetuti giri di giostra da abbonati con il posto in prima fila. Anche in questo caso, per fare le cose senza radicalismi e singolarità rispetto a quanto avviene nelle altre metropoli, si poteva, e si può, eliminare la quota annuale e consentire, sempre con i cento euro, un certo numero d’ingressi, mettiamo venti, da spendere in un anno. Dopo si inizia a pagare ad accesso. Se si vuole dissuadere davvero e non invitare a fare giri di giostra. Per chi nello sterminato ring lavora, fa impresa, ha studi professionali occorre trovare delle soluzioni che non pregiudichino un’economia che già non gira a mille. Fa male l’amministrazione a liquidare questo problema con un’alzata di spalle. Vanno potenziati i mezzi pubblici che convergono verso le zone a traffico limitato. A meno che, ma sarebbe una scelta da suicidio, non si ritengano già sufficienti i percorsi dei tram che portano dritti a due centri commerciali. Ora, sia che il Tar faccia passare o che blocchi, c’è il tempo di tornare a logiche più ragionevoli, se davvero si ha a cuore l’aria che respiriamo. Se invece il solo problema è fare incasso facile, tacciando per giunta i palermitani di essere duri ai cambiamenti, si prosegua nella strada intrapresa. In questo caso, però, potrebbero essere i palermitani a dare ai governanti una lezione di maturità. E la cosa stava già avvenendo prima del blocco dei pagamenti. Come leggere, infatti, l’enorme divario tra coloro, pochi, che stavano pagando, quasi sempre perché obbligati, e i tantissimi, la stragrande maggioranza, che hanno deciso di accettare la sfida di un’aria più pulita e perciò non pagando stavano, stanno, utilizzando questo provvedimento come una vera e seria Ztl? Insomma. Per chi suona la campana? Per gli amministratori, che si sentono moderni, o per gli amministrati, che si vorrebbero antichi e resistenti?

giovedì 31 marzo 2016

Fenomenologia dei marciapiedi palermitani.

La Repubblica Palermo
30 marzo 2016
Come è difficile andare a piedi
Francesco Palazzo

Com’è andare a piedi a Palermo? Bello. Ogni volta vedi una città diversa, anche se passi dagli stessi luoghi. E sì, Palermo è bella, talmente bella che, pur essendo stata trattata male, riesce ancora a esprimere fascino a residenti e turisti. Basta che non vi soffermiate a guardare il terreno in cui poggiate le suole delle scarpe. Sì, si fa a tutto l’abitudine. Però c’è un momento in cui cominci a guardare e ti chiedi: ma è possibile? Io ho iniziato a metà di Via Sciuti, la vigilia di Pasqua, da un tratto di marciapiede dissestato. L’ho fotografato. Torno alla strada che avevo finora fatto, da Via Empedocle Restivo, e mi viene il dubbio che questa scena l’ho già vista. Comincio a fotografare tutti le imperfezioni, chiamiamole così, dei marciapiedi che sto percorrendo. Ben presto devo arrendermi. Finisco via Sciuti, percorro via Terrasanta e poi giro a sinistra per via La Farina. Ho ripreso solo un dieci per cento delle cose che non vanno e sono a una ventina di foto. Smetto di riprendere e continuo a vedere. Devo arrivare sino allo stadio. Non cambia la situazione, difficile fare più di pochi metri e non vedere buche, fessure, manti divelti, rattoppi più brutti di quello che dovevano coprire, un campionario di tutto rispetto. Se avessi continuato a fotografare, mi si sarebbe esaurita la memoria del cellulare. Stiamo parlando di un lungo tratto che sta al centro della città. Mi convinco, però, di avere sbagliato percorso. L’indomani pomeriggio, giorno di Pasqua, provo a farne uno diverso e più lungo. Viale Croce Rossa, Via Libertà, Via Ruggero Settimo, Via Maqueda sino alla stazione e poi ritorno da via Roma. Tranne qualche eccezione, la situazione dei marciapiedi, in cui camminano non solo coloro che possono stare attenti a non finire con la faccia a terra, ma anche tanti anziani, bambini e portatori di handicap, è pessima. Stessa cosa nel giorno di Pasquetta. Dopo pranzo decido di percorrere Viale del Fante, Via Imperatore Federico, costeggio la fiera, poi Via Autonomia Siciliana e risalgo verso il punto di partenza. Non cambia la situazione di una virgola. Ma coloro che devono curare questo aspetto non secondario della città, che riguarda non solo la sicurezza, ma anche il decoro, la bellezza, hanno mai passeggiato a piedi sui marciapiedi della zona centrale di Palermo? Non parlo delle periferie perché apriremmo, più che un capitolo, un baratro. L’hanno mai fatto gli amministratori e i consiglieri comunali? E se si, hanno visto qualcosa di diverso e di più decente rispetto a quanto descritto? Si può porre rimedio a tutto ciò? Ha la stessa importanza del Parco della Favorita? Certo, è più complicato, ma è anche più urgente. Ed è incomprensibile come quest’amministrazione, che già è a fine legislatura, non abbia messo mano a rendere sicuri e decenti, ai palermitani e ai turisti, gli spostamenti a piedi. Adesso, con l’istituzione delle ZTL, si chiede a tutti di servirsi dei mezzi pubblici e delle gambe per spostarsi nel cuore della città. Si cominci, allora, dal perimetro che costeggia l’ampio tratto delle due zone a traffico limitato e si prosegua poi andando verso l’interno. Si potrebbe utilizzare personale precario. Armato di macchine fotografiche, dovrebbe immortalare tutto ciò che non va e girarlo all’amministrazione. Che, utilizzando le maestranze a stipendio, potrebbe provvedere a sistemare tutto. Da qui alle elezioni manca più di un anno, almeno per la zona centrale ce la dovremmo fare. Potrebbe poi nascere, a supporto della prossima campagna elettorale, una mostra sui marciapiedi di una parte consistente del capoluogo. Com’erano e come sono diventati dopo la cura. Non sappiamo se davvero la Favorita, per la quale manca comunque anche un generico programma di come potrebbe diventare, sia il nuovo Teatro Massimo. Al momento non pare. In fondo, tenere pulito dovrebbe essere la norma. Lascerei, pertanto, perdere gli acuti, per utilizzare un termine lirico, e mi concentrerei sulla normalità. Cominciando da dove tutti ogni giorno mettiamo i piedi (La parte in neretto non è stata pubblicata per motivi di spazio).