La Repubblica Palermo
14 aprile 2016 - Pag. I
Il figlio di Riina e quelli delle vittime
Francesco Palazzo
(la parte in neretto non è stata pubblicata per motivi di spazio)
(la parte in neretto non è stata pubblicata per motivi di spazio)
Sull’intervista
al figlio di Riina, una considerazione preliminare, di serenità mentale. Prima
conoscere, poi parlare. Nei giorni precedenti il Porta a Porta un fiume di
dichiarazioni ci ha invaso. La politica ha fatto quello che sa fare. Mettere le
mani nella RAI. Che va lasciata libera. Anche di sbagliare. Non abbiamo bisogno
di una televisione che nasconda il male sotto il tappeto. Sarà sempre tardi il
giorno in cui la RAI diventerà un servizio pubblico autonomo. Cane da guardia
della democrazia, e nelle democrazie si sbaglia, solo nei totalitarismi non si
fanno errori, che sbatta il telefono in faccia a chi pretende di dire ciò che deve
andare in onda. Molte volte è accaduto, sui prodotti che parlano di mafia, che ci
siano state lamentele. Tutto lecito. Va ricordato, perché si è affermato il
contrario, che Enzo Biagi, quando nel 1989 intervistò Liggio, un capo, fu
apostrofato con violente critiche. Lui rispose che faceva il giornalista e
questo era tutto. Insomma, niente di nuovo. I mafiosi raccontano sempre le loro
storie. Se non che spesso alte volano le nubi della retorica e gli sbuffi a
perdere della locomotiva Sicilia offesa. Il figlio del capo di cosa nostra mostra
il volto familiare di un periodo della sua vita. Difende il padre e non esprime
giudizi sul suo spessore criminale. Vespa ha chiarito subito di cosa si
trattava (“Trasmetteremo ora l’intervista a un mafioso”). Potevano essere poste
altre domande? Tutti gli italiani, come quando gioca la nazionale, sono diventati
esperti. E’ bello scoprire, peraltro, che l’Italia è piena di cronisti coraggiosi
che sanno fare domande sconvolgenti ai mafiosi. Come mai ancora le mafie stanno
in piedi, con tutti questi giornalisti di razza in azione, non riusciamo a
spiegarcelo. Chi ha decrittato l’intervista dice che qualche grosso messaggio è
partito. Ci troveremmo quasi di fronte ad uno scoop. Tutti abbiamo visto e
possiamo valutare se è stata o no bella la figura fatta dal Riina. Dal mio
punto di vista è emerso un altro lineamento, quello dell’allievo ufficiale
figlio di Vito Schifani, agente morto a Capaci. Il tono della sua voce, le sue
parole, il suo volto, la sua emozione. C’è chi dice che sarebbe meglio il
silenzio, come condanna alla dannazione della memoria cui i mafiosi dovrebbero
essere destinati. Ma anche quando della mafia non si parlava, negandone l’esistenza,
pure nelle procure, questa continuava a rafforzarsi. Ed è sopravvissuta lungo
tre secoli. E’ questa la vera vergogna, di cui tutti portiamo il peso. Il
problema non è raccontare ventiquattro anni di latitanza di Riina, ma che
questa ci sia stata. Magari coperta ai massimi livelli. Forse un giorno sapremo
perché e come è avvenuto tutto questo dai mafiosi. Sono gli unici che parlano. Non
l’hanno fatto, e non lo fanno, pezzi importanti di classe dirigente. E quando
la classe dirigente migliore di questo paese, vedi il prefetto Giuseppe Caruso
sulla gestione dei beni confiscati, dei quali si è parlato nel Porta a Porta
“incriminato”, denuncia e propone, la si guarda con sospetto. C’è pure chi teme
il fascino che i giovani subirebbero dall’esposizione mediatica dei mafiosi. Ma
i ragazzi non sono scemi e la mafia ha arruolato nuove leve anche quando non
c’erano televisione e internet. Hannah Arendt, a proposito dei nazisti, (“La
banalità del male”), scrisse che “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era
pressocché normale, né demoniaco, né mostruoso”. Le vie d’uscita, che la filosofa
e giornalista tedesca vede, sono la facoltà di pensare e la distinzione tra
giusto e sbagliato. La forza del giudizio. Facoltà che dovrebbero essere nella disponibilità
di tutti. La politica, anziché occuparsi di palinsesti televisivi, ponga le
condizioni affinché tutti diventino cittadini senza catene. Non servono né balie,
né divieti, come i libri che non si vendono. La politica lotti la mafia.
Cittadini liberi e responsabili e politica seria possono sconfiggerla. Il resto, talvolta, è solo fumo che vola.
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