mercoledì 27 aprile 2011

Molti cento e pochi stranieri

LA REPUBBLICA PALERMO
MERCOLEDÌ 27 APRILE 2011
Pag. X
                                                                        
NUMERI

SICILIANI E NAPOLETANI

Francesco Palazzo


Diplomati con il massimo dei voti (100): 28.809. In Campania 3.960, in Sicilia 3.248. Posizione della Sicilia nella classifica nazionale: seconda. Studenti non italiani nelle scuole superiori: 130.012. In Lombardia 28.292, in Sicilia 3.156. Posizione della Sicilia: tredicesima.

martedì 26 aprile 2011

Una morte senza nome tra resurrezione e liberazione

LiveSicilia
martedì 26 aprile 2011
Morire di non lavoro

 Francesco Palazzo


Il Vangelo del giorno dopo la festa pasquale, ci racconta che le donne, recatesi al sepolcro, ricevono la notizia che Gesù è nuovamente vivo. Cristo senz’altro è resuscitato dappertutto. Nelle società opulente e in quelle dove si muore di fame. E’ risorto pure in Sicilia, nelle case di chi sta bene e in quelle di chi non sa più come andare avanti. Non è resuscitato per niente, invece, il giovane padre di famiglia, nativo di Milena, che si è buttato, alla vigilia di Pasqua, dal cavalcavia che collega Agrigento e Porto Empedocle. Aveva due figli e una moglie. Questo è quel che sappiamo. Si è lanciato nel vuoto della disperazione perché da tempo non riusciva a trovare lavoro. Non ne abbiamo conosciuto neanche il nome. In fondo è quasi un dettaglio. La notizia già c’è tutta e non abbiamo bisogno d’altro. Tanti nomi, infatti, potrebbero sostituirsi al suo, in questa terra, dove molti senza lavoro muoiono civilmente, giorno per giorno, ancor prima che anagraficamente. E anche quando uno straccio d’impiego si trova, è perché si riesce a entrare alla corte di qualche santo molto terreno, inserendosi nell’ennesimo carrozzone di precariato che non crea lavoro. Genera prima sudditanza e poi un qualche ingresso senza senso in qualche ufficio pubblico. Si muore di noia, ma almeno si porta a casa uno stipendio. Al quarantenne di Milena non è, evidentemente, riuscito neanche questo. Non ci sarà nuova vita per lui, né liberazione da niente, visto che abbiamo appena festeggiato la libertà dall’oppressore di ieri, anche se non abbiamo ben chiari gli oppressi e gli oppressori di oggi. Fine della corsa per il giovane siciliano. Non si può chiedere a tutti la grandezza divina, per chi ha fede o dice di averla, di rialzarsi dal proprio letto di morte. Il percorso dei comuni mortali è ben diverso. Quando si muore cala il sipario. Ma questa volta non è stata una tragedia venuta chissà da dove. Non c’è dietro la malattia inattesa che scioglie la carne o un casuale incidente che la disintegra. Oppure la cattiveria plateale dei carnefici che issano un corpo sulla croce. Le cause di un gesto come questo stanno tutte nel vivo della società siciliana. Ci interpellano tutti e in primo luogo chiamano per nome e cognome la politica, qualsiasi sia il significato che ciascuno attribuisce a questa parola e se è ancora possibile evocarla per nome e cognome. Perché, se non sono le istituzioni a creare le precondizioni per il lavoro vero, nel privato e nel pubblico, e non nero e non regalato, tanto pagano le casse pubbliche, chi deve farlo? Chi deve porre le basi affinché i tantissimi che sono dovuti andar via, la maggior parte con titoli di studio e intelligenze eccellenti, possano, ovviamente se vogliono, tornare nella loro terra? Le istituzioni rappresentative, i partiti che portano al loro interno le loro donne e i loro uomini, talvolta ras del voto con l’anima del galoppino, presentano sempre più persone che lavorano per la prossima campagna elettorale e mai per le prossime generazioni. La citazione proviene da una riflessione di un grande della politica italiana, Alcide de Gasperi. Difficile fare resuscitare anche lui. Il problema è che nel nostro paese di persone così ve ne sono sempre meno. Non parliamo della nostra regione. Qui siamo dibattuti tra chi dice, prendendoci per i cosiddetti, che non farà più alcun precario e tra chi poi, di tanto in tanto, impugna la ramazza moralizzatrice per fare pulizia. Che non si fa mai. Mai che si esca da questo circolo vizioso a forma di collo di bottiglia, creando sviluppo e occupazione veri. Un imbuto collettivo ed esistenziale nel quale è rimasto affogato stavolta, e non è la prima volta, e non sarà purtroppo l’ultima, il giovane di Milena. Difficile festeggiare la liberazione, o dirsi buona resurrezione, di fronte ad una morte così. Se non con una massiccia dose d’ipocrisia o una quantità smisurata di speranza.



venerdì 22 aprile 2011

Come ti smonto un casello autostradale.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
22 aprile 2011
Pag. 45
Autostrade, chi ci marcia sul pedaggio
Francesco Palazzo

Come si smonta un casello autostradale? E' una domanda che i siciliani dovranno cominciare a porsi da subito. Dal governo regionale, infatti, hanno comunicato che se nella nostra isola, come è stato stabilito dall'esecutivo nazionale, si dovessero davvero iniziare a pagare tratti autostradali sinora gratuiti, come ormai appare certo, un esercito di centomila siculi scenderà in strada e provvederà a smantellare caselli, telepass e fotocamere. Anzi, di più, c'è la certezza che la gente inferocita butti pure a gambe all'aria chi sarà mandato a montare le infrastrutture. E già alcune manifestazioni vi sono state. Tutti i politici siciliani, che ve lo dico a fare, come un sol uomo, trasversalmente, sono impegnati in questa battaglia campale contro il governo centrale. La motivazione è semplice. Come si fa a chiedere di pagare per transitare sopra pezzi d'asfalto ridotti malamente e su cui si continua a contare vittime? Il ragionamento non fa una piega. Uno a zero e palla a centro. Insomma, Roma ladrona e pure ingiusta. Il piatto non è nuovo, fa parte della cucina rivendicazionistica più classica. Ma è una pietanza che fa sempre un certo effetto in qualsiasi menù. Fa muovere ed emozionate le masse e riesce a far dimenticare sempre un piccolo dato essenziale. Cioè la responsabilità delle classi dirigenti locali. Perché, non so se mi spiego, è difficile capire come mai le autostrade da Roma in su sono delle cose decenti e da noi sono ridotte a mulattiere. Colpa della capitale, del nord che ci sfrutta, del destino cinico e baro? La nostra nomenclatura politica, per decenni, su quelle autostrade ci ha macinato chilometri per raccogliere voti e, spesso, per mantenere clientele foraggiate con i fondi pubblici. Chissà cosa guardavano e pensavano quando le vedevano sempre più scassate e ridotte a brandelli. Ora che il nodo viene al pettine, ecco lo squillo di tromba, l'incitazione alla mobilitazione popolare, il richiamo non più ai mille dell'Unità d'Italia, che secondo il vangelo degli autonomismi di ogni specie e colore tanto danno ci hanno arrecato, ma ai centomila smontatori di caselli e quant'altro. E' già pronto lo slogan, che non può mancare in qualsiasi crociata. Smontatori di tutta l'isola, unitevi! Sì, va bene, questa dello sciame di distruttori che si riversa sulle autostrade è una battuta. Ma la politica, ormai, è fatta al novanta per cento di storielle e al dieci per cento di provvedimenti concreti. E allora stiamo sul pezzo e proseguiamo col babbio seguendo lo stesso filo logico. Se in Sicilia non dovessimo scucire un euro per tutti i servizi che si presentano al livello scarso delle autostrade, e in questi casi, dalla sanità, ai mezzi pubblici, alla raccolta dell'immondizia, alla scuola e la lista sarebbe lunga, la colpa ricade tutta sulle spalle delle istituzioni siciliane, le casse della regione, e degli enti locali, starebbero in condizioni più disperate di quanto già non lo siano. Per dire. Mi presento in ospedale e quell'esame gratuito, ma programmato sfortunatamente dopo sei mesi, lo posso fare, nella stessa struttura pubblica, dopo due giorni pagandolo a fior di quattrini? Resto calmo, faccio un fischio e raduno presso il nosocomio un valoroso drappello dei centomila caselloclasti a darmi manforte. Obbligo i sanitari a farmi subito il controllo diagnostico e non scucio l'ombra di un euro. E, se insistono col torto, scassiamo pure l'apparecchiatura. Tanto, ad occhio e croce, dovrebbe costare meno di un casello autostradale.

martedì 19 aprile 2011

Politica e giustizia, due piani diversi

LiveSicilia
martedì 19 aprile 2011

Francesco Palazzo


Dobbiamo prendere atto che, dopo la riconsiderazione circa l’appoggio al governo regionale, “consigliata” caldamente da Roma, da cui è venuta pure una mezza marcia indietro, il Pd siciliano continua a mescolare, confusamente, la questione penale e quella politica. Si tratta di due aspetti che devono seguire canali diversi. Il primo, quello penale, riguarda il singolo. Esso ha tutto il diritto di difendersi. Può dichiararsi innocente sino a prova contraria e addirittura, pure dopo una sentenza passata in giudicato, ritenersi intimamente esente da errori e considerare ingiusto il risultato finale dell’iter giudiziario. Ad ognuno deve essere concessa la possibilità di un’irriducibile difesa del proprio onore, anche se è rinchiuso in una cella. Diritti da indagato, da imputato, da condannato e da carcerato. E’ questo il garantismo che deve essere assicurato a tutti. Se, però, in qualsiasi grado delle indagini o del giudizio ci si trovi, si vuole costringere una vicissitudine giudiziaria nell’alveo della politica, cominciano le dissonanze tra due linguaggi che non sono fatti per stare insieme. L’attività politica è composta, in estrema sintesi, da consenso, rappresentanza e governo. Questi assi fondamentali della vita pubblica hanno come esclusivo partner il corpo elettorale e mai le aule di giustizia. Quando nel Pd si afferma che se finisce la loro avventura alla regione, a causa di vicende giudiziarie, brinderanno i berlusconiani e i nemici di questa esperienza, si attua una somma di due generi diversi. La procura etnea non si sta affatto occupando della qualità più o meno antimafiosa, dei provvedimenti del governo. Opporre questa, molto presunta, ma non è questo il tema, bontà delle azioni dell’esecutivo ai provvedimenti della magistratura, che riguardano necessariamente le persone, è quanto di più sbagliato si possa fare. E non fa bene né alla legge penale né a quella della politica. Se davvero i democratici ritengono di avere operato nel verso giusto, il loro unico pensiero deve essere rivolto non al giudice, ma all’elettorato. Se temono che la magistratura possa smontare la debole impalcatura politica che hanno messo in piedi, ciò è dovuto al fatto che hanno disatteso proprio le dimensioni del consenso e della rappresentanza, le uniche che danno diritto al governo della cosa pubblica. La loro casa è stata quindi, evangelicamente, costruita non sulla roccia, ma sulla sabbia della vittoria elettorale altrui. Nei prossimi, presumiamo caldi, e non solo per l’estate che si avvicina, simposi di partito, provino a lasciare le toghe nel cassetto, e indichino alla Sicilia una prospettiva di governo, che a questo punto non può che essere elettorale e a breve scadenza. Cercando questa volta di entrarci, nella stanza dei bottoni, dalla porta principale e non da quella di servizio. Perché quando si segue la via maestra si può anche fallire, ma se ne può sempre uscire a testa alta. Adesso, invece, il Pd in qualche modo sortirà fuori dal vicolo stretto, ma ha perso talmente tanto tempo che rischia di farlo a capo chino, trovando macerie a destra e a sinistra e sin dentro lo stesso partito. Per carità, in politica, come nella vita, ogni giorno si rinasce e niente è mai pregiudicato per sempre. Ci vorrà, certo, un po’ di rieducazione fisica e mentale. Governare con il consenso degli altri è piuttosto semplice, un gioco da ragazzi, ma può far smarrire la consapevolezza che i suffragi devi averceli tu. E non è semplice ottenerli. Soprattutto con un partito ormai lacerato e con un elettorato di riferimento che ha cominciato a guardare altrove, come rivelato da un recente sondaggio. E’ inutile allora che i democratici rinviino assemblee e referendum. Li trasformino, semmai, da sanguinose rese di conti, in momenti utili per proporsi come una grande forza, quale in fondo sono, di cambiamento. L’elettorato sempre lì attende, sull’uscio del seggio elettorale. Rimandare l’incontro per paura, nascondendosi sin dentro i tribunali, non serve a nulla.



venerdì 15 aprile 2011

Ausiliario, attento che ti becco.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
15 aprile 2011
Pag. 46
Automobilisti indisciplinati
Francesco Palazzo

Un'automobilista siciliana, secondo quanto stabilito recentemente dalla cassazione, ha diritto non solo all'annullamento della multa e al ritorno indietro della somma impiegata per riprendersi la macchina rimossa, ma anche al risarcimento per lo stress subito dal doversi cercare il mezzo. La motivazione? L'operazione è stata posta in essere da un ausiliario del traffico. Il quale, non avendo i titoli per elevare la contravvenzione e quindi per far togliere forzatamente l'auto, è stato lui beccato in flagranza di infrazione. Le regole prima di tutto, non si discute. Dalla conclusione giudiziaria della vicenda possiamo, però, dedurne che se la multa, e il conseguente prelevamento del veicolo, fossero avvenuti per mano di un vigile originale, il disagio psicofisico non ci sarebbe stato e la sanzione non poteva essere impugnata. Perché comunque la macchina non era parcheggiata bene. Stava, almeno così abbiamo letto, sulle strisce pedonali. Sia chiaro, chi non ha mai peccato in tal senso, scagli la prima pietra. La casistica, lo sappiamo bene, è molto ampia. In pratica, si posteggia ovunque. Di più, si ritiene di avere non solo il diritto costituzionale, ma anche l'alibi morale di arrestarsi dappertutto. Siamo in Sicilia, lo Stato non c'è, i parcheggi latitano, sta pure piovendo, c'è afa. E che posso fare l'eroe? Schiacciati da secoli di storia, nessuno ci può negare i metri d'asfalto per adagiare le nostre casse metalliche. E, soprattutto, come dice la canzone, nessuno ci può giudicare. Chi si crede di essere un ausiliare del traffico per capire che sulle strisce pedonali non si può. Ci vuole un ingegnere, un astrofisico, uno con i titoli giusti. Altrimenti si fa come dico io. Devo prendere il pane? E' un'emergenza, dunque il mondo deve tirare il freno a mano. In particolare, quelle due macchine che devono attendere la fine dell'operazione bellica. In alcune strade, molto frequentate e centrali, la seconda fila è molto più che un credo religioso. Ho visto automobilisti togliersi per fare uscire auto che avevano bloccato e poi non occupare il posto libero, risistemandosi in seconda fila. Non parliamo della ressa che si crea davanti le scuole di ogni ordine e grado. Dove i genitori, se non arrivano a cinque centimetri dal portone con i loro bolidi, non sono contenti. Una mattina ho chiesto ai due, dico due, vigili che controllavano l'ingresso di una scuola elementare, come mai facevano mettere gli autoveicoli in modo tale da bloccare la vita di tutti. Mi è stato risposto che i signori e le signore non avevano parcheggiato a vita, tecnicamente sostavano temporaneamente. C'è una bella differenza, ci vuole poco a capirlo. Per temporaneamente, è inutile che ve lo spiego, si deve intendere il tempo che ci vuole per creare code di centinaia di metri. Senza contare gli scivoli previsti per le carrozzelle, abitualmente tappati da gente che forse cura così i propri nervi, ma se ne frega di quelli degli altri. Non parliamo, poi, dei Niki Lauda che sfrecciano, senza averne il diritto, sulle corsie preferenziali. Attenzione, ausiliari del traffico. Lì c'è quasi un diritto divino. Se li vedete, badate bene a non farvi travolgere dalla tentazione civica di intervenire, travalicando i compiti a cui siete stati assegnati, fischiettate e guardate dall'altra parte. Una parola si deve spendere sulla motivazione principale della suprema corte. Che si rifà alla comune esperienza della burocrazia farraginosa nel meridione. Cosa c'entra, con il posteggiare sulle strisce, non si capisce. Ma è il bollo definitivo sulla filosofia stradale dei siciliani. Come dire, benvenuti al sud.

lunedì 11 aprile 2011

Mafia e politica: aspettiamo la sentenza e poi vediamo

LiveSicilia
lunedì 11 aprile 2011



Francesco Palazzo



Il pendolo dell’antimafia oscilla sensibilmente ad ogni sentenza o provvedimento della magistratura che riguardi un colletto bianco. Quando vincono i giudici, cioè se i tre gradi di giudizio condannano, o anche se c’è un rinvio a giudizio, si torna a parlare del rapporto mafia politica. Se la condanna è definitiva, ci si cosparge il capo di cenere e si plaude, eventualmente, alla correttezza del condannato nell’accettare il verdetto. Facendo diventare eccezionale una cosa del tutto normale. Quando i giudici perdono, cioè nel momento in cui ci scappa l’assoluzione o una qualche archiviazione, pare che il rapporto cosa nostra e mondo politico istituzionale sia rimesso in discussione. Non importa se si è in primo o secondo grado o se dai documenti, pure dopo un’archiviazione, risultano comportamenti altamente censurabili per qualunque cittadino, a maggior ragione se è preposto a gestire la cosa pubblica. Si procede dritti verso la santificazione del soggetto interessato. Se poi il bollo è della Cassazione, non ne parliamo, è come quando allo stadio segna la squadra del cuore, il boato è incontenibile. Se il tribunale, di primo o secondo grado, formula una condanna, i garantisti a corrente alternata ricordano, invece, che bisogna aspettare il compimento del percorso giudiziario e che non si è colpevoli prima che la sentenza passi in giudicato. Normalmente, non si ha neanche la pazienza di leggere le motivazioni delle sentenze. Sulla questione, ci sono due punti che vanno dipanati. C’è, innanzitutto, quella che chiamiamo responsabilità politica. Non tutti i rapporti che gli eletti dal popolo hanno con esponenti del mondo criminale possono essere sanzionati dall’autorità giudiziaria. Ma non tutto ciò che è giuridicamente non appurato in via definitiva, o provvisoria, è politicamente accettabile. Questo elementare concetto, che ci portiamo a spasso da alcuni decenni, i partiti non vogliono intenderlo. Rimangono aggrappati ai pronunciamenti dei tribunali. Tutto è ridotto a quest’ambito, dando alla magistratura un ruolo che non ha e non può avere. I codici etici di autoregolamentazione non servono a molto, come dimostrato dai dati sulle ultime amministrative recentemente diffusi dalla commissione antimafia. Il secondo punto riguarda gli strumenti che i tribunali hanno per procedere. Si possono contestare singoli reati, ma è una strada molto tortuosa. A meno che non si proceda per via legislativa a qualche opportuna modifica. Che senso ha, ad esempio, la distinzione tra l’aver favorito un singolo mafioso o l’intera organizzazione? L’aggravante, prevista nel secondo caso, dovrebbe scattare già nel primo. Se proteggo un mafioso, mi pare abbastanza evidente che voglio difendere l’intero sodalizio. Tutto sarebbe più semplice se il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, ancora oggi, dopo 150 anni che si straparla di mafia, non normato in maniera esplicita, fosse disciplinato in modo specifico dal parlamento. È ormai chiesto da più parti. Ciò fornirebbe a tutta, magistratura, politica e opinione pubblica, uno strumento certo cui riferirsi. Basti pensare a cosa abbia significato, nel 1982, l’introduzione del 416/bis, che punisce la mafia in quanto tale, a prescindere dai reati individuali commessi. C’è materiale su cui dibattere. Al momento non è sufficiente che il concorrente esterno aumenti la possibilità di realizzazione del reato mafioso. Ci vuole almeno un fatto concreto. Mentre si dovrebbe riflettere sul fatto che una disponibilità palese, se accertata, dovrebbe già bastare a configurare l’appoggio esterno. Non può essere che per venire qualificati come mafiosi basta soltanto l’appartenenza alla ditta, e per essere bollati come amici dei mafiosi occorra molto di più che una consapevole vicinanza. Su questo, e altri aspetti, il parlamento dovrebbe confrontarsi. Sarebbe una chiara assunzione di responsabilità della politica, che farebbe luce su un nodo fondamentale nel contrasto alle mafie. Altrimenti, non ci resterà che commentare sentenze, o atti processuali, d’indirizzo diverso, assistere a improbabili santificazioni o a parossistiche, quanto inutili, flagellazioni pubbliche.



mercoledì 6 aprile 2011

Formazione e lavoro giovanile: pagare e sorridere

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 06 APRILE 2011
Pagina XI

NUMERI

FORMAZIONE E OCCUPAZIONE

Francesco Palazzo


Spesa pubblica regionale per formazione e istruzione: in Sicilia il 7,33 per cento, in Lombardia il 2,67. Occupazione giovanile: in Sicilia il 14,2 per cento, in Lombardia il 28,8.

lunedì 4 aprile 2011

PD, referendum o ..niente.

LiveSicilia
lunedì 4 aprile 2011


Francesco Palazzo


C’è qualcosa di più grave, all’interno di un partito, che rendere problematico lo svolgimento di un referendum previsto dallo statuto e non avere approvato, dopo più di due anni dall’approvazione dello statuto stesso, il relativo regolamento. La cosa più grave è non accontentarsi di questo e fare un passo ulteriore. Consistente nel raccogliere le firme degli iscritti per indire l’iniziativa dentro i gazebo, avente per oggetto il sostegno, o meno, al governo Lombardo, racimolarne più di cinquemila e poi utilizzarle come merce di scambio nel mercato della trattativa interna tra fazioni contrapposte. E’ quanto sta avvenendo nel Partito Democratico in Sicilia, tanto che non si capiva più a cosa doveva servire l’assemblea regionale dei delegati. Che infatti è stata annullata. In un partito tale non soltanto di nome, visto i marosi che lo agitano proprio su tale questione, il regolamento del referendum, e la data in cui svolgerlo, doveva essere il primo e unico punto all’ordine del giorno. Inserendo pure, tra le varie ed eventuali, un bel confronto sulla questione morale, visto quanto è appena accaduto al deputato regionale più votato, e qualche cenno al sondaggio che relega il PD, nell’isola, al 18 per cento, più di sette punti in meno in tre anni. A tal proposito, dalla segreteria regionale affermano che il dato da tenere presente non si deve riferire alle politiche del 2008, ma al voto regionale dello stesso anno. Nel quale, considerato anche i consensi della lista che appoggiava la Finocchiaro, il PD arrivò quasi al 22 per cento, subendo comunque una batosta colossale. Come risultato elettorale di riferimento, dunque, non è proprio il massimo della vita. Insomma, la carne al fuoco c’era. Invece è andato in onda un altro film. La commissione per il congresso rimanda la patata bollente a maggio. E’ sin troppo chiaro che questo rinvio rappresenta una pietra tombale sul referendum e l’inizio di una fase ecumenica nella gestione del partito. Ognuno avrà il pezzo di pietanza che vuole. Con buona pace di tutti, o quasi. Agli aderenti al Partito Democratico si comunica che si trattava di uno scherzo, un diversivo. In poche parole, una solenne presa in giro. Per una parte consistente di coloro che hanno promosso l’iniziativa referendaria, si trattava di una minaccia agitata sotto il naso dei lombardiani duri e puri per ottenere il quinto governo regionale. Quello politico, con assessori di stretta provenienza partitica. Richiesta che adesso trova più di una disponibilità. Ottenuto lo spazio che chiedevano, quelli del referendum o morte hanno messo in soffitta le intenzioni belliche. Definirla politica da prima repubblica, significa fare uno sgarbo a un periodo in cui sulla scena politica si muovevano, insieme a tanti capaci di tutto, pure persone di un certo spessore. Ma si può condurre un partito in questo modo? Evidentemente sì. Viene ritenuto normale che una formazione politica sia di proprietà di alcuni, l’un contro l’altro armati, che dispongono come vogliono, e quando vogliono, di un agglomerato di donne e uomini, la famosa base. Che non si capisce più cosa sia e alla quale non resta che accettare in silenzio quanto scelgono i capoccia. Questo è tanto più vero se consideriamo la circostanza che non vediamo alcuna presa di posizione significativa da parte dei cinquemila e più che anelavano al referendum, mettendoci, oltre le firme, anche le facce. E perché succede anche questo? E’ abbastanza semplice da capire. Ormai i partiti, e quello Democratico non sfugge a questa deriva, sono composti soltanto da ultrà che seguono come ombre questo o quel consigliere comunale, provinciale, deputato regionale o nazionale che sia. Se il leader di riferimento prende una decisione, tutti all’attacco allineati e coperti, senza se e senza ma. Se il giorno successivo il capo cambia idea, perché è più conveniente seguire una diversa situazione, contrordine compagni e amici, la linea è un’altra. Ed ecco che le truppe si riallineano su un’altra trincea. A questo punto, probabilmente ha ragione chi sostiene che ci vuole un congresso straordinario e, aggiungiamo noi, una nuova segreteria regionale. Eletta, se non è chiedere troppo, con un mandato preciso e non ondivago.



venerdì 1 aprile 2011

Sportivi da bassa classifica

LA REPUBBLICA PALERMO - VENERDÌ 01 APRILE 2011
Pagina XI

NUMERI

I SICILIANI E LO SPORT
Francesco Palazzo


Popolazione che pratica almeno uno sport: in Sicilia 22,5 per cento, in Trentino Alto Adige 48,2 per cento. Media italiana 31,1per cento. Posizione Sicilia nella classifica nazionale: terz´ultima.