lunedì 23 gennaio 2023

Le minoranze antimafia e l'ideologia che assolve il popolo non borghese connivente.


          La Repubblica Palermo

        21 gennaio 2023

Non solo borghesia: il consenso alla mafia è ancora ampio e trasversale

          Francesco Palazzo


In questi giorni da tanti versanti si torna a parlare di borghesia mafiosa. Va detto che il concetto di borghesia nel ventunesimo secolo non è facile da coniugare come si poteva con più facilità fare nei decenni scorsi. Quando bastava dire, durante le ideologie imperanti, soprattutto a sinistra, la sola parola borghesia per lasciare intendere qualcosa già da sola non proprio potabile. Ci sono ancora strascichi di quelle ideologie, che beninteso avevano dentro molti aspetti positivi? Non possiamo escluderlo. Nel nostro caso ci si riferisce a soggetti della borghesia, posizionati nei più svariati luoghi, che aiutano Cosa nostra. I fatti del passato e del presente sono evidenti. Dunque la riflessione su tali individualità, perché sempre di singole persone si tratta, che possiamo senz'altro collocare nell'ambito della borghesia che va a braccetto con le mafie, dobbiamo farla. Solo che spesso, per non dire sempre, magari riverniciando pure in questo caso frammenti di ideologismi novecenteschi, si ritiene di dover assolvere o non colpevolizzare più di tanto il popolo non classificabile nell'album della borghesia. Arrivati a questo punto, a me il ragionamento pare ogni volta abbastanza zoppo, per non dire per nulla conducente. Perché, se non si vuole guardare la realtà con un solo occhio, cosa che in genere non porta a grandi traguardi di analisi, soprattutto quando si parla di lotta alla mafia, occorre aprire pure l'altro. E ammettere che nella cultura popolare, ammesso e non concesso che tra popolo e borghesia ci sia una netta cesura, si annidino ampi spazi di consenso quotidiano, voluto e ragionato, verso la criminalità mafiosa. Diciamolo chiaramente. Tra il detto e il non detto, tra l'implicito e l'esplicito, c'è questo problema. La borghesia colpevole, e il popolo senza colpe, visto che si troverebbe sostanzialmente a subire quello che è il più grande luogo comune che nel Mezzogiorno giustifica tutto. Ossia la presunta assenza dello Stato. Che invece è presente in tutto lo Stivale, certo con le carenze che conosciamo, ma pure con tanta autorevolezza. Da Nord a Sud. A meno che non si vogliano ancora ingrossare le acque del vittimismo piagnone. Se così è, bisognerebbe porsi una domanda e darsi una risposta. Messo agli atti che le consorterie criminali organizzate hanno succursali pure nel Centro-Nord, perché le mafie hanno allignato nella parte meridionale del Paese e continuano a essere presenti in tutto il Sud? Tutta colpa della borghesia mafiosa? Se questa è la sola risposta, dovremmo forse fare uno sforzo di analisi. Ammettendo che l'appoggio alle mafie è trasversale nella società. E che non esistono aiuti di serie A, quelli di alcuni individui della borghesia, e accondiscendenze di serie B, cioè quelle provenienti dalle fasce popolari. Siccome questo doppio binario, che potremmo plasticamente chiamare alta velocità e asino e carretto, non ha nessun assioma su cui basarsi, e dunque non esiste, ci tocca ammettere che il quadro è diverso e abbastanza complesso. A meno che non ci siano coloro che hanno capito tutto delle mafie e su come combatterle. Allora saremmo a posto. Ma a posto non siamo. Perché se le mafie vivono con noi spalmate su tre secoli sinora, Ottocento, Novecento e Duemila, e magari toccheranno il quarto, vuol dire che magari nel capirle e combatterle abbiamo ampi margini di miglioramento. Se andiamo nei quartieri di Palermo, tale parte non irrilevante, anzi gigantesca purtroppo, di problema la possiamo misurare ancora oggi in maniera abbastanza semplice e diretta. A meno che non ci facciamo condizionare da qualche applauso e da manifestazioni in cui sono più i giornalisti che i presenti. Quando parliamo di antimafia militante, di popolo o borghese che sia, ma tale differenza non esiste, dobbiamo ammettere che ci riferiamo a una piccola minoranza. Sicuramente c'è rispetto a prima una maggiore sensibilità, ma non più di questo. E siccome peraltro le fasce popolari sono più numerose della borghesia in senso stretto, magari il consenso maggioritario, e non meno dannoso di quello borghese, verso le mafie, non soltanto quella siciliana, rischiamo di trovarlo, e io ritengo che sia proprio così, tra il popolo.  



domenica 8 gennaio 2023

Noi e Biagio Conte. Contemplazione del cielo o azione nella città?

 

La Repubblica Palermo – 6 gennaio 2023

Biagio Conte e la vocazione di essere santi "quotidiani"

Francesco Palazzo





Sono passato ieri pomeriggio, come tanti palermitani e non, dal posto dove Biagio Conte sta percorrendo un passaggio della vita. Mi sono fermato fuori dalla casetta, a una decina di metri, non sono andato avanti, mi sembrava di disturbare. Ero stato nella sede della missione di Via Decollati nel 2004. Stavo scrivendo per questo giornale una serie di puntate sul volontariato e una era dedicata proprio a quanto lui stava facendo. Il pezzo di allora partiva con Birillo, Speranza e Carità, le tre mascotte canine che allora gironzolavano e facevano a modo loro una parte di lavoro. Ne ho parlato proprio ieri con don Pino Vitrano, il prete da sempre vicino a Conte. Mi ha chiarito la storia di Birillo che era stato maltrattato e accolto in missione. Biagio Conte mi chiamò al cellulare qualche anno fa dalla postazione dello sciopero della fame che allora ebbe come sfondo il luogo dove hanno ucciso Puglisi. Aveva dopo tanti anni letto quel pezzo e si era commosso, mi disse, nel ricordo dei cani. Anche ieri il sito di Via Decollati era come vent'anni fa. Perfetto e nello stesso tempo un cantiere aperto. Ieri Riccardo Rossi, il giornalista che dal 2018 ha scelto di vivere nella traiettoria del frate laico insieme alla moglie, mi diceva che in questi ultimi giorni stanno accadendo tante cose straordinarie. L'ho conosciuto, Riccardo, in cima alla grande scalinata delle Poste Centrali, in occasione di un altro sciopero della fame di Biagio. Un particolare colpisce da quando si è appreso delle condizioni di salute della persona che iniziò la sua avventura sotto i portici della stazione centrale di Palermo. Ripetono in tanti, come una cantilena, soprattutto nei social, che ci vorrebbe un miracolo. Come se il passaggio più critico nell’esistenza di ciascuno di noi, non fosse un fatto della vita. E come se, soprattutto, tutta la santità si fosse trasferita a Palermo in un solo uomo, che deve "per forza" esserci. Ma il miracolo è già avvenuto e se continuerà a ripetersi dipenderà da ciascuno di noi. Perché il messaggio che Biagio Conte ci comunica con la sua vita è quello, per me, che tutti possiamo diventare "santi". Ma forse è questo l'aspetto più complicato da recepire e soprattutto da vivere nella quotidianità. Come si può essere "santi" normali, feriali, non eroici, né legati per forza a una fede, a Palermo ogni giorno? Sarebbe interessante, partendo da Conte, riflettere su tale aspetto che la sua vicenda umana, secondo il mio parere, ci rimanda. Il pezzo che scrissi tanti anni fa finiva con una citazione di don Puglisi. Dovrebbe pensarci lo Stato ma intanto ci siamo noi, chiosava don Pino. Potremmo ripeterlo pure adesso. E ce lo dice Biagio, a prescindere dal suo stato attuale. Che dovremmo lasciargli vivere senza molte pressioni. Ce lo comunica da tempo. Lui e tutti quelli, purtroppo non molti, che gli somigliano. Allora, il punto non è attendersi chissà quale miracolo ultraterreno. Ma capire che, tutti, tutti, il miracolo lo possiamo fare se lavoriamo con la stessa costanza, tenacia, lucidità sul pezzo che è sotto gli occhi di ciascuno di noi. Come ha fatto e fa Biagio. Come hanno fatto, per citare solo alcuni nomi, Puglisi, Impastato, Falcone, Mattarella, del quale oggi ricordiamo il quarantatreesimo anniversario di un omicidio che ancora presenta molti, troppi, punti da chiarire. Se questa città, la Sicilia, fossero non dico piene, ma piene almeno a metà di persone che si prendessero cura di qualcosa, da qualsiasi postazione, quotidianamente, scriveremmo un’altra storia per un altro Mezzogiorno. Che non dovrebbe temere più ciò che viene da fuori. Cosa che talvolta rappresenta un alibi. Perché troverebbe al proprio interno le energie per risorgere. Sarebbe un portentoso programma di ripresa che scenderebbe alla radice dei vari, tanti, problemi con i quali dibattiamo ogni giorno. Biagio Conte, e gli altri come lui, il miracolo quindi lo hanno fatto. Ora noi possiamo guardare e contemplare passivamente, indicando la luna o metterci fattivamente nel loro percorso, impastandoci le mani di terra.

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