venerdì 27 novembre 2009

Elezioni a perdere

CENTONOVE
27 11 2009
Pag. 55
Elezione diretta? Una finzione.
Francesco Palazzo

Con l'elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di regione, e delle maggioranze a loro legate, si era pensato di fornire, da un lato, agli elettori una possibilità di scelta estremamente vincolante e diretta, dall'altro si era fatto in modo che ciò si traducesse in maggioranze ed esecutivi altamente autorevoli e stabili. Guardando a quanto succede,e da tempo, al comune di Palermo e alla Regione, per fare solo due esempi, ma come sappiamo sono casi “pesanti”, destinati ad avere ripercussioni sul quadro politico nazionale, possiamo senz'altro dire che i cittadini non hanno scelto un bel niente. Si è dato loro, è vero, la parvenza di decidere sindaco e presidente di regione, con i partiti che li sostenevano, ma era solo un gioco. A metà percorso, e per la verità già da tempo, al comune di Palermo non c'è più la maggioranza che era stata voluta dal corpo elettorale nelle amministrative del 2007. Il Movimento per l'Autonomia è fuori dalla giunta, e dalla maggioranza di allora, è ciò viene vissuto come un fatto del tutto normale. Senza contare che la nascita del PDL, targato Sicilia, non potrà che rendere più perigliosa la navigazione del centrodestra al comune. E' vero che c'è, con molti forse, una specie di maggioranza numerica in consiglio. Ma oramai la balcanizzazione del quadro politico è cosi evidente, oltre che le incapacità palesi del governo cittadino, che non si capisce a quale mandato rispondano coloro che attualmente amministrano la città. Certamente non a quello degli elettori, ma pare che questo sia l'ultimo problema. Qualche mese addietro l'opposizione a Cammarata, che non sta lavorando male, aveva in corso la raccolta di firme per presentare la mozione di sfiducia al sindaco. Se ricordiamo bene, per raggiungere il numero previsto, mancavano solo le sottoscrizioni dei consiglieri comunali facenti capo all'MPA. Non sappiamo che fine abbia fatto la cosa. Alla Regione la situazione, è sotto gli occhi di tutti, è ancora più paradossale. Basta solo riflettere sul fatto che all'ARS il gruppo più consistente, ammesso che non si divida come viene paventato da più parti, è quello del PD. Si è vista mai un assemblea rappresentativa, per di più che si fregia dell'appellativo di parlamento, dove è addirittura l'opposizione ad avere la maggioranza? In questo caso il governo in carica, a differenza di quanto accade nel capoluogo, non ha più nemmeno i numeri che lo sostengono. L'elezione diretta di presidente e maggioranza, che non a caso sono votati nella stessa scheda elettorale, è diventata una parodia di se stessa, un mero artificio dialettico, una scatola vuota. In un altra regione, il Lazio, un governo è caduto per motivi che attengono a vicissitudini personali del suo presidente, che hanno certo alla fine una rilevanza politica, ma che niente hanno a che fare con i provvedimenti messi in campo durante la legislatura, né con scollamenti nella coalizione che sosteneva quel governo. Ci chiediamo: non ha una rilevanza ben maggiore, tutta politica, e dunque ben più importante per i cittadini, il fatto che in Sicilia, dal giorno dopo le elezioni potremmo affermare, non c'è mai stata una maggioranza politica e adesso non c'è più neanche quella numerica? E perché sente l'impellente, e giusta, necessità di dimettersi colui che vede distrutta la sua vita strettamente personale, mentre non hanno il minimo retro pensiero di questo tipo coloro che, in tutta solare evidenza, non rappresentano più, e non da ora, il volere del corpo elettorale? Nelle cronache che davano conto della nascita del PDL Sicilia, colpiva una frase, “noi creeremo una maggioranza in 24 ore”, detta a quella parte del PDL che sta dentro il governo regionale, ma che si comporta, e parla, da opposizione. Negli ultimi giorni un esponente nazionale del PDL ribellista ha ripetuto che si è disposti a maggioranze alternative. Che vuol dire imbarcare il Partito Democratico. Questa provocazione rende chiaramente l'idea, più di qualsiasi nostra riflessione, di come ormai il quadro politico di regione ed enti locali sia nelle mani di poche persone. Che possono creare, ed evidentemente anche distruggere, nel giro di poche ore ciò che ai loro occhi non va bene. Se così stanno le cose, perché continuare con la finzione dell'elezione diretta di sindaci, presidenti di provincia e capo del governo regionale? Se la scatola ormai è vuota, prendiamone atto, senza per questo pensare a un ritorno al vecchio sistema. La via d'uscita è quella di rafforzare le leggi elettorali, rendendo più vincolante, con paletti strettissimi per eletti e partiti, il patto tra elettorato attivo ed elettorato passivo. Basterebbe una piccola postilla: chi non ha più la maggioranza uscita dalle urne deve mettersi da parte e la parola va restituita al corpo elettorale. Insomma, siamo stanchi di notabili, siciliani o romani, che decidono delle pubbliche istituzioni come se fossero il loro feudo. In ventiquattrore, se cambiassero le regole nel senso indicato, potrebbero solo dimettersi, non creare dal nulla maggioranze non uscite dalle urne.

venerdì 20 novembre 2009

Tempi dei palermitani, tra privato e pubblico

CENTONOVE
Settimanale di politica, cultura, economia
20 11 09
Pag. 53
Viabilità, il far west dei palermitani
Francesco Palazzo

Non so cosa accade a Catania, a Messina o a Trapani. Ma il tempo, pubblico e privato, dei palermitani presenta caratteristiche davvero strane. L’altro sera riprendo l’auto posteggiata davanti a un ristorante e a un pub, tra i più frequentati ed esclusivi. Una macchina non mi permette di uscire. Attendo una manciata di secondi e già mi pare di aver passato lì la giornata. Neanche il tempo di scendere dall’auto e si presenta il posteggiatore abusivo, con una tempistica da centometrista. Dotto’, un attimo. Entra nel ristorante super lussuoso. Passano due, tre minuti. Riesce fuori, l’orologio gira, non voglio fare questioni, mi limito a suonare timidamente il clacson e attendo. Il nostro uomo del fischietto entra nel pub ed ecco che esce fuori il nostro uomo. Civilmente stava sorseggiando il suo aperitivo. Ovviamente rinforzato. Sono già trascorsi cinque minuti. Faccio capire che qualche parola potrebbe spenderla. Allora, come trafitto da un raggio di luce, spadella con un ghigno, preparato alla colluttazione verbale, la frase tipica del palermitano. Ma perché, è assai che aspetta? Non ho mai capito quanto è questo assai, quanti giri d’orologio devono consumarsi perché il niente passi al poco e questo si trasformi in molto. Forse è solo questione di prospettive. Per esempio, quelle culinarie amplificano le sospensioni sino all’inverosimile. Il giorno successivo all’attesa, per me lunga, per il posteggiatore normale, per l’incivile bevitore di aperitivi inesistente, ecco che ci troviamo davanti a una bancarella di pane con la milza. Il "consatore"di panini si è allontanato da non più di cinque minuti. Facciamo l’ordinazione e attendiamo il suo ritorno per qualche minuto. Nel frattempo arriva una signora, attende meno di un giro d’orologio. Appena il nostro amico si ripresenta nella sua postazione, ecco che gli lancia la più classica tagliatina di faccia sicula. E’ mezz’ora che aspetto, me lo vuole dare questo panino? Il richiamare la mezz’ora è il segnale che fa capire quanto il palermitano sia infastidito oltre ogni limite e pazienza. Non ha importanza se è solo passato qualche minuto, la mezz’ora è una misura dell’anima, soprattutto quando a patirne è lo stomaco vuoto e le papille gustative della signora che già pregustavano la milza. Per la verità, l’imprecazione, per rendere al massimo, deve essere pronunciata in siciliano-panormita stretto. "Avi menzura c’aspiettu, cama a cumminari". Che dobbiamo combinare, deve proseguire ancora quest’offesa? E, arrivati a questo punto, quello cui la frase è diretta, o se la prende in criminale, oppure, come il nostro imprenditore della milza, risponde a tema con ironia. Signora, fa lui, se il tempo lo misurassimo così, camperemmo niente. La serve per prima, in pochi secondi, e la cosa si chiude lì. E sin qui siamo a questioni private. Perché va detto che anche nella dimensione pubblica il tempo è un fattore molto umorale. Prendete le “mezzorate” della legalità. Con esse si riempiono per giorni le pagine dei quotidiani. Sono quei brevissimi spazi temporali in cui qualcuno degli addetti ai controlli sul territorio, decide che in quel caso va sospeso il far west delle regole e si deve applicare la legge. Tutto dura mezz’ora, in questo caso reale. Se la eviti sei a posto. Un esempio. L’altro giorno passavamo dal mercato palermitano domenicale dell’usato di Piazza Marina. Alcuni mesi addietro, dopo una decina d’anni, dal comune avevano obiettato che lì non poteva più stare. Si alzò il fumo della polemica, poi non se n’è saputo più niente. Il tempo della legalità era già scaduto. Anche sulle regole più stringenti, tipo le zone blu a pagamento, a Palermo il tempo è abbastanza elastico. Ne hanno istituite di nuove nella zona residenziale. Perfettamente inutili, servono solo a fare cassa. Ma la data in cui inizieranno a serrare i controlli è stata posticipata. Multe per ora non se ne fanno se si trasgredisce. Serve un periodo di adattamento, come se quella del parcheggio a pagamento fosse una novità mondiale. Non si sa quanto durerà la fase buonista. Ancora continua. A meno che non si capiti nella mezz’ora sbagliata.

venerdì 13 novembre 2009

PD in Sicilia. Oltre il segretario c'è pure il partito?

CENTONOVE
Settimanale di politica, cultura, economia
n. 43 del 13/11/09
Pag. 10
Spaccature congressuali
Francesco Palazzo

Hanno perso la testa. Vedendo in rete alcuni spezzoni dell'assemblea regionale dei democratici, consumatasi, in tutti i sensi, domenica 8 novembre, non si può dire che questo. L'hanno persa, e alla grande, i vincitori e i vinti. Nel PCI e nella DC, che sono, grosso modo, i contenitori di provenienza degli iscritti al partito, mai sarebbe accaduta una cosa del genere. Almeno nella misura in cui è avvenuta questa spaccatura verticale, con un'intera mozione che lascia il campo e con il parapiglia che ne è conseguito. Insomma, se il Partito Democratico in Sicilia voleva trovare il modo migliore per farsi del male, c’è perfettamente riuscito. E ciò avrà senza dubbio conseguenze negli enti locali. Per fare un solo esempio, al comune di Palermo, dove l'opposizione nell'ultimo periodo ha fatto un buon lavoro, dopo questa vicenda sono già volate parole grosse tra chi ora si trova arroccato su fronti contrapposti. Sì, il partito ha un segretario, ma il partito c'è ancora? Crediamo che la domanda sia del tutto legittima. Soprattutto perché, dopo la nascita del PDL Sicilia, si parla del possibile varo del PD regionale. Non ci facciamo mai mancare niente. A livello nazionale, lo abbiamo visto, sabato 7 novembre sono riusciti a salvare, pur nel permanere di aspre e profonde contrapposizioni, la forma e, forse, pure la sostanza. In Sicilia, e pensiamo sia l'unico caso tra quelli in cui era previsto il ballottaggio, è andato in onda uno psicodramma che potrebbe pure fare ridere se non facesse solo piangere. Forma e sostanza sono andate a farsi benedire. Sembrava il congresso di un pezzo minoritario della più estrema sinistra, o destra se volete, e non la celebrazione di un momento fondamentale del secondo partito italiano. Facce paonazze, parole lanciate come clave, accuse da una parte e dell'altra che neanche i più acerrimi nemici usano rivolgersi. Non è neanche tanto importante capire i dettagli della lite, c'importa davvero poco pesare torti e ragioni. Non è questo il nostro compito. Anche perché in questa storia non pare ci siano state ragioni e ragionevolezza. Dobbiamo solo dire che non si doveva, e non si poteva, arrivare a tanto. Segno che l’elezione con il metodo delle primarie, giubilata in ogni dove, che in Sicilia ha portato dentro i gazebo a votare quasi duecentomila persone, non può essere una messa cantata per l'occhio delle telecamere, se poi è esclusivamente l’antefatto di uno scontro che non riguarda tanto il partito ma le persone. O, per meglio dire, i gruppi contrapposti di tifosi, possiamo ben dirlo, scesi nell’arena per darsele di santa ragione. Accecati dall'ira e non condotti dal ragionamento politico, dal rispetto di regole democratiche che senz'altro disciplinano tutto il percorso delle primarie. Ora la domanda è una sola. Diretta e brutale, se volete. Ma al momento non ce ne vengono di più interessanti. Cosa può farsene la politica siciliana, in un momento in cui anche dal centrodestra giungono forti segnali di ingovernabilità, di una formazione politica siffatta? Davvero molto poco. Eppure le premesse per scrivere una storia diversa c’erano tutte. Bastava vedere le file interminabili di uomini e donne che il 25 ottobre cercavano, imbucando le loro schede dentro le urne, un nuovo partito di cui fidarsi e su cui puntare per fare in modo che la politica dell’alternanza non sia nella nostra regione solo teoria, ma pratica da potere applicare. Altro che infiltrati di altri partiti del centrodestra, come si temeva, che avrebbero tirato la corsa a questo o a quel candidato. Qui il problema stava e sta altrove. E coincide nell’incapacità, per usare un pietoso eufemismo, di un’intera classe dirigente, di un pur grande partito, nel non sapersi porre nella lunghezza d’onda dei drammatici problemi che vive questa terra. Spiace dirlo. Ma un partito, che a quindici giorni da una giornata di democrazia partecipata e serena, non riesce a organizzare tra centoottanta delegati una semplice assemblea e un ballottaggio tra i due primi arrivati, è una collettività politica in cui non si salva proprio nessuno. Ora si cercherà di mettere una pezza a quanto accaduto. I pontieri, da una parte e dall'altra, proveranno a ricucire e a minimizzare. Temiamo però che la pezza sarà più visibile e dannosa del guaio procurato. Servirebbe personale politico autorevole, gente in grado di farsi capire da un partito che ancora non c'è. Oggi più di ieri. Ma all'orizzonte non si intravede niente di tutto ciò.

venerdì 6 novembre 2009

PD in Sicilia: segretario o partito?

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 42 del 6/11/09
Pag. 55
PD, evitiamo la resa dei conti
Francesco Palazzo

Le primarie del Partito Democratico, ancora una volta, hanno mostrato che la voglia di partecipazione dei cittadini è più forte delle paure e dei calcoli della vigilia. Non ci sono state, in primo luogo, le temute infiltrazioni esterne dei partiti del centrodestra. Alcuni osservatori e dirigenti del PD, paventavano che dal Movimento per l'Autonomia e dal PDL potessero partire indicazioni per sostenere il candidato più vicino all’una o all’altra formazione politica. Ma bastava solo vedere il flusso ininterrotto di gente che ha inondato i gazebo domenica 25 ottobre, guardare in faccia le persone, per verificare l’assoluta inconsistenza dell’angoscia della vigilia. Non si deve mai avere preoccupazione quando si chiama il popolo, per giunta pagante come in questo caso, a esprimersi. Si commette un errore se si vuole attivare qualsiasi forma di controllo per cercare di carpire la provenienza di chi si mette in fila, per ore, attendendo di depositare nell’urna le proprie intenzioni. Del resto, come si faceva a capire, tra i centonovantamila elettori ed elettrici, se c’era qualche simpatizzante del centrodestra? Mica camminano con il bollino in fronte. E anche se è accaduto, com’è verosimile che sia successo, che alcuni elettori che alle ultime regionali o politiche avevano votato centrodestra si siano presentati ai seggi, non sarebbe forse la dimostrazione migliore che le primarie possono allargare il consenso? Chi ancora ragiona presupponendo schemi inamovibili sullo scacchiere politico, soprattutto se riferiti alla volontà dei singoli individui, ragiona in modo davvero vecchio. Il consenso, ormai, è qualcosa di molto variabile, pure in una regione come la Sicilia dove il quadro elettorale è meno fluido che in altri posti. Ora bisogna capire se questo patrimonio di persone sarà fatto ammuffire in qualche scatolone, come dopo le elezioni primarie precedenti, oppure se si sarà capaci di valorizzarlo e farne un prezioso, e unico, giacimento di elaborazioni politiche e coinvolgimenti sempre più importanti e decisivi. Le analoghe esperienze del passato dovrebbero suggerire più di una cautela, non basta rallegrarsi per le primarie partecipate se poi non si recepisce il messaggio di rinnovamento che emana da esse e se ci si rinchiude, autisticamente, dentro ragionamenti asfittici, spenti. Senza prospettive. Se non quelle di garantirsi l’inizio di qualche luminosa carriera o di porre le condizioni affinché non si interrompa. Sul voto riguardante la segreteria regionale, il partito si è sostanzialmente spaccato in tre. Lupo, sostenitore di Franceschini, ha avuto un buon 40 per cento. Tuttavia, politicamente è, o dovrebbe essere, in una minoranza più forte di quanto i suoi numeri non dicano. Infatti, il secondo, che va al ballottaggio, e il terzo candidato, Lumia e Mattarella, sostenitori di Bersani, hanno totalizzato un più ampio e maggioritario 60 per cento. Logica politica voleva, ma sappiamo che la logica in politica spesso cede il posto a calcoli e interessi illogici o ambigui, che un bersaniano fosse il nuovo segretario regionale. Ma pare, appunto illogicamete, che i due sostenitori di Bersani non si parlino molto e quindi il franceschiano Lupo, anche perché così vorrebbero le divisioni fatte a livello nazionale, starebbe per fare propri tutti, o quasi, i delegati congressuali di Mattarella. D’altra parte, va anche detto che se la mozione Bersani in Sicilia fosse stata unità, avrebbe messo in pista per la segreteria regionale un solo candidato conseguendo una facile e incontrovertibile vittoria. Prenderemo atto delle deliberazioni dell'assemblea, convocata domenica 8 novembre, dei 180 grandi elettori siciliani del PD, eletti in liste bloccate proprio il 25 ottobre. Vedremo se, sulla scia del vento fresco delle primarie, i delegati sapranno porre in essere un ragionamento politico più complessivo e maturo sul partito e sulla Sicilia. Oppure se, banalmente, si procederà ad una banale e cruenta resa dei conti. Nel primo caso, molto remoto, si potrebbe cominciare a intravedere la formazione politica che cercano coloro che fanno la fila alle primarie. Nel secondo caso, molto più verosimile, se non certo, si riempiranno, calcolatrice alla mano, una serie di caselle di potere. Dando un segretario e un algido organigramma a un partito e non un partito alla Sicilia.