giovedì 29 novembre 2007

Mafia: fiction e realtà

LA REPUBBLICA PALERMO - GIOVEDÌ, 29 NOVEMBRE 2007

Pagina VIII

Se la pubblica educazione viene affidata alle fiction

FRANCESCO PALAZZO

Da una fiction dibattuta a una negata. Oggi vedremo sicuramente l´ultima puntata de "Il capo dei capi", anche se proseguono gli interventi che vorrebbero impedirlo. Martedì sera non c´è stato dato di vedere lo sceneggiato imperniato sulla figura di Graziella Campagna, la diciassettenne uccisa in provincia di Messina dalla mafia. Era il 12 dicembre del 1985. Una prima sentenza ha inflitto due ergastoli e due condanne per favoreggiamento. Il ritardo del deposito delle motivazioni della sentenza ha consentito la scadenza dei termini di custodia cautelare per uno dei condannati all´ergastolo. La causa del blocco della produzione televisiva risiede nel fatto che essa potrebbe influenzare la Corte d´appello che dal 13 dicembre tornerà a giudicare gli imputati. Il provvedimento ha il bollo del ministero di Grazia e giustizia. Se tutto ciò l´avesse raccontato una fiction l´avremmo definito un´esagerazione. Perché è incredibile che, dopo 22 anni, non solo non ci sia stata giustizia per la morte violenta e atroce di una giovane innocente. Ma che, in aggiunta, si vieti di raccontare in televisione un fatto ormai così lontano nel tempo. Per la Rai c´è un precedente abbastanza recente. Nel maggio del 2006 si era a ridosso del voto regionale e s´impedì la visione di una fiction che parlava anche di Paolo Borsellino. Motivo: la sorella Rita era candidata per la guida del governo regionale. Potenza delle fiction, potremmo dire. Strapotenza del mezzo televisivo, dovremmo aggiungere. Perché ci sono ancora molti che credono nel forte impatto emotivo, positivo o negativo non importa, che tali produzioni artistiche possono avere sul popolo siciliano non colto e sull´immaginario collettivo nazionale e internazionale. Come se il problema vero non sia ciò che è successo e succede ancora, con la mafia che entra nei palazzi della politica e infila pure le talpe nelle procure, ma consista nell´operazione del raccontare il passato. È bene dirlo con chiarezza. Il male ha già esercitato la sua azione nella realtà dei fatti, per come sono avvenuti e nella misura in cui sono accaduti, e in ogni caso ben prima dell´operato di sceneggiatori, registi e attori. Se collochiamo prima ciò che temporalmente viene dopo, ossia la finzione artistica, la prospettiva diviene sfuocata e falsata. C´è chi poi avanza il pericolo che le scene di violenza possano scatenare una sorta di consenso interiore nei confronti del fascino perverso del male. Qui entra in gioco la funzione pedagogica del mezzo televisivo, che deve stare attento a non turbare un pubblico che non riuscirebbe a distinguere, sostanzialmente, il bene dal male, aderendo a quest´ultimo quando viene raccontato nel dettaglio in tutta la sua lucida efferatezza. Con tutto il rispetto verso chi sostiene una simile tesi, ci pare una posizione difficilmente difendibile con buoni argomenti. Se il cittadino ha aderito alla mentalità mafiosa, se la sostiene con piccoli e grandi comportamenti quotidiani, assume tali condotte ancor prima che la televisione veicoli il proprio messaggio. Alla base del ragionamento può celarsi un punto di vista preciso. Che coincide nel non attribuire ai ceti popolari, che magari non hanno letto una valanga di libri, una deliberata e consapevole decisione in ordine a ciò che la mafia è. Ma non è solo la borghesia mafiosa che sceglie per convenienza da che parte stare. Lo fa anche il popolo nella sua accezione più diffusa, con meno ingenuità e sprovvedutezza di quanto si voglia immaginare, e senza alcuna costrizione, almeno nella maggior parte dei casi. E non certo a causa di uno sceneggiato. Così come non sono le riproduzioni televisive a veicolare agli inermi e innocenti spettatori l´immagine di una mafia immortale. I prodotti televisivi o cinematografici, lungi dal mettere le cose in maniera più pesante di quanto non siano, risultano essere, in ordine alla durata storica delle mafie, meno fondamentali e decisivi della lettura dei giornali, dell´ascolto dei telegiornali e della stessa vita quotidiana. La realtà purtroppo supera sempre, e di gran lunga, la fantasia.

sabato 24 novembre 2007

Le firme in Sicilia di Forza Italia: chi ha visto le code?

Della questione ne parlava l’altro giorno, in splendida solitudine, Michele Serra sulla sua rubrica quotidiana su Repubblica. Parliamo dell’iniziativa “Una firma e un euro per mandare a casa il governo Prodi”. L'obiettivo di Forza Italia, dal 16 al 18 novembre, era quello di raccogliere in Sicilia 375 mila firme da aggiungere a quelle che contemporaneamente si stavano racimolando nel resto d’Italia. L’avvenimento era annunciato in 320 comuni dell’isola, i gazebo dovevano essere 700. Solo a Palermo si contava, stando alle dichiarazioni degli organizzatori, di raccogliere 65 mila firme. Non uno scherzo, se pensiamo che alle primarie palermitane che incoronarono Orlando sfidante di Cammarata si scomodarono in ventimila circa. Ma è più conducente fare un raffronto con le primarie del partito democratico del 14 ottobre scorso, svoltesi, come la manifestazione di Forza Italia, su tutto il territorio regionale. In Sicilia comparirono 574 gazebo e i votanti, a fronte di un dato nazionale che si attestò sui tre milioni e mezzo, furono poco più di 180 mila. Quindi appena la metà di quelli previsti da Forza Italia. Senonché, dell’afflusso alle primarie del partito democratico diedero conto i mezzi d’informazione, la televisione mostrò in abbondanza quanto c’era da vedere, ne parlarono diffusamente i giornali regionali e locali, molti giorni prima e molti giorni dopo. Basta fare una breve ricerca per recuperare tutte le informazioni che occorrono, comune per comune, seggio per seggio. Ci sono, in sostanza, le prove che qualcosa è accaduto. Alla manifestazione di Forza Italia pare abbiano aderito, firmando personalmente nei gazebo, sei milioni e ottocentomila militanti in tutto il territorio nazionale. Prendendo per buono tale risultato, ci saremmo attesi in Sicilia lunghe teorie di votanti fuori e dentro i gazebo. Tra l’altro si trattava di un voto di protesta, non c’era da scegliere, la strada era in discesa. Inoltre, le giornate in cui si poteva firmare erano tre e non una, come accaduto per le primarie del partito democratico. Abbiamo perciò sfogliato i giornali stampati in Sicilia del 17, 18 e 19 novembre e dei giorni seguenti, al fine di abbeverarci copiosamente di informazioni circa l’esito della consultazione in quanto a presenze. Per sapere, come avviene di solito per gli eventi della stessa natura del centrosinistra, il dato regionale e gli afflussi nelle varie province. Siamo rimasti delusi e interdetti. Non un titolo di prima pagina è stato dedicato dai giornali siciliani più letti alla questione, non un articolo interno, non una breve, niente di niente. Andando a memoria, ma potremmo sbagliarci, non ricordiamo nemmeno un servizio televisivo. Distrazione? Cattiva Informazione? Abbiamo, almeno in questo caso, forti dubbi nel dare una risposta affermativa ai due interrogativi. Se i votanti in Sicilia fossero stati anche la metà dei 375 mila ipotizzati, non potevano sfuggire a nessuno, neanche al più distratto e prevenuto dei giornalisti, più di centoottantamila persone che inondavano le piazze delle città e dei paesi siciliani. Avidi comunque di notizie, anche strettamente di parte, facciamo una ricerca nei siti dell’ormai ex Forza Italia. In quello nazionale non troviamo alcun riferimento locale o regionale, pur approssimativo o sommario, ci saremmo accontentati pure di un semplice numerino che ci desse conto di quanto accaduto in Sicilia. Non ci scoraggiamo è andiamo alla ricerca dei siti ufficiali siciliani dedicati al partito che fu. Quello più accreditato è azzurriweb.net, che però è fermo alla venuta nel capoluogo di Berlusconi in occasione della campagna elettorale per le amministrative palermitane di maggio. Sui siti locali del partito di alcune città siciliane la stessa cosa. Così come su quelli di alcuni esponenti di punta siciliani di Forza Italia. Il sito regionale di Forza Italia giovani per la libertà canalizza le nostre fatiche telematiche su una chat palermitana, che ti promette momenti molto rilassanti, ma non è attrezzata per sganciare i numeri che inseguiamo. Chiediamo a destra e a manca se hanno visto file consistenti o appena modeste nella tre giorni suddetta ma non riusciamo a sfondare il muro del silenzio. A questo punto ci arrendiamo. Ci confortiamo pensando ai prossimi mesi. Se abbiamo ben compreso, per il futuro, il partito del popolo, o come si chiamerà, ha già messo in cantiere primarie a raffica. Ci faremo trovare pronti e staremo sulla notizia.

domenica 18 novembre 2007

Contro la mafia proviamo con S. Francesco

LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO, 17 NOVEMBRE 2007

Pagina XIX

Raccontare Cosa nostra è necessario per sconfiggerla
FRANCESCO PALAZZO




Sull´argomento mafia c´è una polemica che non passa di moda. Cova sotto la cenere, pronta a riemergere in qualsiasi momento. L´eterna disputa sulla Sicilia offesa ogni qualvolta si parla di mafia, attraverso film, fiction, documentari e via elencando, è un classico del quale mai vorremmo privarci. Le feroci invettive sulla Piovra televisiva sono lontane nel tempo, tuttavia vivono e lottano ancora insieme a noi. Sulla decima edizione, l´ultima, nell´agosto del 2000, quando si giravano le ultime scene in Sicilia, registrammo le proteste del centrodestra. Che riteneva la serie troppo di sinistra perché difendeva i giudici. E siccome doveva andare in onda a pochi mesi dalle elezioni politiche del 2001, poteva sconvolgere il corpo elettorale. Poi la serie fu trasmessa regolarmente e il centrodestra vinse comunque le elezioni. E tutti tirammo un sospiro di sollievo. Già nel 1994 si sosteneva che la Piovra oltraggiava la Sicilia e offuscava l´immagine dell´Italia all´estero. È accaduto pure con una puntata di Report, sulla mafia che non spara, del gennaio 2005. C´è andata di mezzo una trasmissione riparatrice di un altro programma Rai, che ci ha profondamente confortati. L´elenco delle produzioni artistiche travolte da discussioni sarebbe lungo, ma non tanto sterminato come la lista di coloro che a turno s´indignano non appena qualcuno, chissà perché, collega la parola mafia alla Sicilia. In un articolo uscito lo scorso anno la chiamavamo la compagnia dei difensori. Che è tornata alla carica prendendo di mira la fiction "Il capo dei capi". Anche questa volta lo spunto polemico è trasversale agli schieramenti politici, toccando sinora il Partito autonomista siciliano, Italia dei valori e il Partito democratico. Ma non è escluso che altri si accodino, visto che lo sceneggiato prevede altre due puntate. L´oggetto della discussione è sempre l´onore infangato della Sicilia, con una variazione creativa sul tema. Ossia il fatto che la finzione televisiva riprodurrebbe un Totò Riina dalla faccia simpatica, un personaggio quasi da imitare. Se tale pericolo fosse fondato, ci sarebbe da ipotizzare che i mafiosi siano tutti nati e cresciuti guardando la televisione, anche quando questa non era ancora entrata nelle nostre famiglie. Scoperta sconvolgente. Alla quale si abbina una notizia che giunge dalla provincia di Caltanissetta, precisamente da Niscemi. Pare che lì i ragazzi si rincorrano appellandosi con i nomignoli dei protagonisti mafiosi dello sceneggiato. Chi ha notato tali comportamenti, un consigliere comunale autonomista, ha dichiarato che la saga, al fine di evitare tali spiacevoli conseguenze, non si doveva trasmettere. Punto e basta. Poiché non ci facciamo mancare niente, le cronache c´informano di un´eguale presa di posizione di un deputato regionale del Partito democratico, che addirittura proporrebbe, ma stentiamo a crederci, di vietare l´installazione di set cinematografici sul bel suolo regionale nei casi di film che parlano di mafia. I due erano stati preceduti da un parlamentare nazionale di Italia dei valori. Ai tre uomini politici, e a quanti a loro vorrebbero accodarsi, diciamo che noi comprendiamo il problema. Effettivamente, non si spiegherebbe come mai in Sicilia la mafia abbia messo radici così forti se non avesse saputo creare dei seguaci. Pronti a ricalcare e ripetere, se possibile più ferocemente, le orme dei progenitori. Il punto è che non è stato purtroppo l´etere a causare tutto ciò, bisogna farsene una ragione. Altrimenti basterebbe spegnere i ripetitori in tutto il territorio regionale per risolvere definitivamente il problema. Oppure, in alternativa, trasmettere incessantemente produzioni televisive che invitino a comportamenti virtuosi. Un soggetto di sicura presa potrebbe essere San Francesco d´Assisi, che ci scuserà per l´irrispettosa citazione. Ma può essere che, dopo qualche mese, i ragazzi e le ragazze della nostra regione comincino, guardando sino a stordirsi, a parlare con gli uccelli e ad ammansire i lupi. Si può provare.

domenica 11 novembre 2007

Dopo cattura dei Lo Piccolo, mafia alle corde?

LA REPUBBLICA PALERMO – DOMENICA - 11 NOVEMBRE 2007

Pagina I

L´ANALISI

Il coraggio di una svolta, la politica rimane assente

FRANCESCO PALAZZO





Mafia alle corde o in buona salute? Il dibattito non è nuovo. Ogni volta che le forze della repressione giungono a risultati eclatanti si parla di mafia moribonda, da abbattere con una spallata, l´ultima. È accaduto con la cattura di Riina, con quella di Brusca, poi Provenzano e adesso di Lo Piccolo. Dopo l´ondata emotiva seguita alle stragi del ‘92 e agli attentati dell´estate del ‘93, a cui si accompagnò un fiorire sterminato di collaborazioni con la giustizia, si sentenziò che si era prossimi alla vittoria. Nel corso degli anni abbiamo avuto la brutta notizia di una mafia sempre più ricca. È datato 22 ottobre, non di un anno del secolo scorso ma del 2007, un rapporto di Sos Impresa che stima, molto per difetto, la ricchezza prodotta dalle mafie intorno a 90 miliardi di euro. Dati simili avevamo registrato nel 2005 e nel 2006. Non sembra la cifra di una holding in piena crisi. Equivale a tre-quattro finanziarie del governo di questo Paese. La fetta che la mafia siciliana prende da tale monte premi criminale, che corrisponde al 6-7 per cento del prodotto interno lordo, pare si avvicini a 30 miliardi di euro. Cifra superiore alla finanziaria regionale per l´anno in corso. La mattina del 23 ottobre scorso, quando i dati vennero presentati, vi furono commenti giustamente allarmati sullo stato di salute finanziario delle mafie in generale e di Cosa nostra in particolare. Dopo alcune settimane, ma non è una novità, essendo il registro emotivo totalmente mutato, si dice che la mafia è sostanzialmente all´ultimo respiro. La mattina del 6 novembre, ossia il giorno seguente alla cattura dei Lo Piccolo, i festeggiamenti hanno travolto tutto. Si prospetta una nuova era dell´antimafia, una sorta di anno zero. Se proprio vogliamo guardare ciò che abbiamo davanti, qualche novità importante occorre registrarla. I commercianti e gli imprenditori pronti a sganciarsi dalla vessazione del pizzo, che aumentano numericamente ogni giorno, rappresentano una svolta. Se definitiva o provvisoria, lo vedremo. Non sono però più i cortei oceanici che esprimevano solo una rivolta morale ma non mutavano molto. Qui ci troviamo di fronte a concrete, coraggiose, scelte individuali. In tal senso c´è da accogliere con soddisfazione la prima associazione antiracket di imprenditori palermitani, Libero Futuro, che già ha raccolto l´adesione di un buon numero di soggetti. Detto questo, non può essere taciuto che l´altissima percentuale di coloro che pagano il pizzo è stata appena scalfita. Così come non può sfuggire, a un´analisi che non si fa irretire nella rete dell´entusiasmo pur comprensibile in taluni momenti, che nell´ampia fascia popolare la mafia, come mentalità e come concreta opportunità di vita quotidiana, è una scelta che non è messa minimamente in discussione. Va aggiunto che la politica, partiti e istituzioni regionali, nel migliore dei casi, sta ancora a guardare. Ripetiamo ancora una volta l´incredibile vergognosa assenza di una commissione Antimafia regionale seria, competente, che aiuti i processi di cambiamento che pur s´intravedono. Inoltre, taluni comportamenti di uomini politici, oggettivamente incompatibili con una decisa lotta al potere mafioso, non sono perseguiti dalla politica come occorrerebbe. Anzi, a fronte di processi, rinvii a giudizio, requisitorie di pubblici ministeri che descrivono contesti incredibilmente gravi, ammissioni degli stessi protagonisti, si assiste alla solidarietà, siciliana e romana, nei confronti degli imputati. Come se la magistratura esercitasse il proprio potere al di fuori del dettato costituzionale e chiunque è raggiunto dai suoi provvedimenti debba essere confortato. Come si fa quando la vecchietta subisce uno scippo o un negoziante una rapina. In ultimo, se vogliamo rimanere nell´ambito criminale, va ricordato che le patrie galere sono sempre state piene di mafiosi, piccoli e grandi. Ma la mafia, dall´unità d´Italia ad oggi, ha saputo tenere ferma la barra del crimine. Modificando quanto necessario e mantenendo quanto fondamentale per essere ancora presente e forte. È corretto quindi rallegrarsi quando si raggiungono risultati. Non si dovrebbe tuttavia permettere a questi ultimi di buttare fumo, pena lo scoramento successivo, sulla realtà dei fatti. Che ancora oggi rimane pesante e resta, per il domani, molto incerta sui possibili esiti.

giovedì 8 novembre 2007

Giornata della memoria, deserto in cattedrale

LA REPUBBLICA PALERMO - GIOVEDÌ, 08 NOVEMBRE 2007
Pagina X

Niente folla alla giornata della memoria

FRANCESCO PALAZZO







Magari il prossimo anno la messa in cattedrale per ricordare le vittime del potere mafioso andrà meglio. Quella di lunedì scorso era deserta. Non c´erano le folle delle notti sante pasquali o natalizie. Neanche il normale afflusso domenicale. Nemmeno il minimo sindacale. Erano più i celebranti e le autorità che i presenti per convinzione, questi ultimi una trentina in tutto.Il Comune ha puntato molto sull´iniziativa, insieme alla curia palermitana. Sembra che di mattina in un liceo palermitano i numeri fossero diversi. Ma si sa, è facile coinvolgere in ore scolastiche gli studenti. Il vero banco di prova era l´incontro in cattedrale. Gli unici ad animare la ricorrenza erano i senzatetto che occupano Palazzo delle Aquile. Partecipavano alla celebrazione e attendevano al varco i rappresentanti del governo cittadino. I quali, alla fine, hanno cercato di dribblare nervosamente il problema, ma si sono trovati lo stesso davanti a una manifestazione di protesta muta ma efficace. Mancavano le parrocchie della diocesi, i parroci, i fedeli, le associazioni cattoliche. A parte quello di Palermo, presente anche con il gonfalone, erano assenti tutti i comuni della diocesi. Non capiamo che senso possa avere avuto per la curia e l´arcivescovo Romeo un´iniziativa di questo tipo. Se questo è il livello di sensibilità antimafia della chiesa nel capoluogo, c´è da stare freschi. La curia dovrebbe riflettere sul perché tutta la chiesa locale abbia clamorosamente disertato l´appuntamento. Che non avveniva in un giorno qualunque, ma nella stesse ore in cui la polizia otteneva un risultato notevolissimo con la cattura dei Lo Piccolo. Si presupponeva, perciò, che dalle parrocchie potesse partire un flusso di partecipazione, se non proprio oceanico almeno consistente, se non maturo almeno emotivo. Lo stesso intervento dell´arcivescovo non ci ha convinto appieno. Sono state scelte due letture simboliche. La prima parlava della storia di Caino e Abele, la seconda del passo evangelico sulla necessità del perdono. L'omelia si è incentrata sulla violenza che il criminale esercita contro il suo simile e sull´importanza di credere alla conversione del reo. Una chiesa misericordiosa che non abbandona l´omicida Caino. Una lettura che si è soffermata sul solo aspetto criminale della mafia. Nessun accenno all´aspetto politico della questione. Sarebbe forse bastato ricordare l´esperienza di don Puglisi a Brancaccio. Come si comportava Puglisi di fronte agli amministratori della cosa pubblica? Non li accarezzava per il verso giusto. Una volta li rimproverò d´inettitudine quando si erano presentati per raccogliere applausi e consensi durante una manifestazione teatrale di bambini. La chiesa, quella palermitana in particolare, dovrebbe fuggire da rappresentazioni rituali. C´è da augurarsi che il prossimo anno la celebrazione in cattedrale della giornata della memoria sia il momento conclusivo di un percorso di approfondimento di tutto il mondo cattolico. E non una vacua vetrina da offrire alla politica su un piatto d´argento

martedì 6 novembre 2007

Lo straniero e il mafioso

LA REPUBBLICA PALERMO - MARTEDÌ, 06 NOVEMBRE 2007
Pagina X
Se i reati degli stranieri indignano più di Cosa nostra
FRANCESCO PALAZZO




Faceva impressione l´altro giorno sentire delle persone, intervistate ad Alcamo, ma può accadere ovunque, che si dichiaravano contro lo «straniero», possibilmente dell´Est, perché si sono verificati brutti episodi di aggressioni in ville, ancora peraltro non chiariti in quanto ai responsabili. Dopo il tragico e luttuoso fatto di Roma che ha visto protagonista il rumeno che ha brutalmente causato la morte di una donna, si cavalca la tigre. Ed ecco che anche in Sicilia spunta la psicosi dello sconosciuto che può farti del male. Porgendo distrattamente l´orecchio al bar o al supermercato, capita di sentire lamentele: dovrebbero andarsene tutti da dove sono venuti, tuonava una signora domenica mattina inzuppando la brioche nel latte macchiato. Ma lei ha subito aggressioni, fa il barista. No, risponde, ma ho paura. Paura dell´ignoto. A Palermo, ad Alcamo, a Catania, in Sicilia. Si teme lo straniero, colui che può fare del male, pure se non ti ha mai tolto un pelo. Anche se sono altri i soggetti da temere. C´è la mafia che tiene sotto controllo il territorio siciliano, paese per paese, città per città, via per via. Che controlla l´economia, apre negozi e centri commerciali, distribuisce sotto le nostre case persino i posteggiatori abusivi. In alcuni luoghi, addirittura per comprarsi una casa bisogna chiedere il permesso. Non al rumeno, ma alla cosca locale. Non parliamo poi se devi aprire un qualsiasi esercizio commerciale. E anche se hai già un appartamento tuo e non vuoi entrare nel mondo del commercio, puoi verificare senza problemi nel territorio la presenza dei mafiosi e dei loro consistenti interessi economici. Ammesso che non ti vada di passeggiare e te ne voglia stare a casa, ecco che vieni informato dell´ultimo omicidio mafioso, avvenuto a Borgetto. Vi pare normale che nessuno in questi casi si senta preoccupato per la propria incolumità o per quella dei propri familiari, quando si uccide in pieno giorno? Come del resto accaduto il 17 ottobre al Cep, un quartiere palermitano. Evidentemente tutto questo viene percepito dal ventre molle del nostro popolo, lasciamo perdere per un attimo la borghesia mafiosa, come una presenza rassicurante, un punto di riferimento esistenziale che non lambisce il senso di sicurezza, anzi, quasi lo rafforza. Sapere che in giro, per venticinque anni o quaranta, vi sono terribili criminali mafiosi, l´ultimo della serie catturato ieri, non indispone più di tanto. Piuttosto, in molti casi, scatta una sorta di protezione. Andate in qualsiasi paese della Sicilia e fate qualche domanda sui mafiosi che comandano e sui loro referenti politici. Vedrete che il volto pieno di paura irrazionale nei confronti dello straniero si trasformerà in un sorriso da sfinge. Signor mio, ma quale mafia, ormai è solo delinquenza, una volta sì che erano uomini d´onore e d´ordine. Risposte di un tempo passato? Se la pensate così andate a leggervi alcune risposte delle interviste fatte ad alcuni preti palermitani. Sono contenute nel libro "Le sagrestie di cosa nostra", in commercio da qualche mese (Newton Compton Editore autore Vincenzo Ceruso). Oppure ponete attenzione alle dichiarazioni di qualche sindaco siciliano, che ritiene la delinquenza immigrata il più grande problema della nazione e, quindi, siciliano. Insomma, nascere e abitare in una regione, di fatto, a sovranità limitata per la presenza diffusa del potere mafioso, nei cui confronti non pochi esponenti di partiti e istituzioni si mostrano più che vicini, è qualcosa che permette di vivacchiare tranquilli a tantissimi siciliani e siciliane, che sono molti più di quanti immaginiamo. La quiete non è scossa nemmeno, ed è accaduto pochi mesi fa alla Noce, per un uomo crivellato di colpi, sempre alle nove di mattina, appena uscito da un commissariato di pubblica sicurezza. La Noce è un altro quartiere popoloso e popolare di Palermo, quasi al centro cittadino del quinto comune italiano. Se qualcuno, però, rubasse in quel rione in un appartamento, e si facesse sfuggire, scappando, qualche parola straniera, ecco che le invettive contro la delinquenza feroce degli stranieri non si conterebbero più. Tutti pronti a farsi intervistare. Forse si attiverebbero delle ronde notturne. Non c´è dubbio che qualcuno punterebbe sulla mafia. Per ristabilire l´ordine e riguadagnare, finalmente, la tranquillità.

domenica 4 novembre 2007

Il calcio a Palermo: la massa e il singolo

Le dichiarazioni di fuoco del rosanero Barzagli, in seguito ai fischi e alle contestazioni durante e dopo la partita con il Parma, erano diventate un incidente diplomatico. Ora il calciatore ritira i toni e i modi ma conferma la sostanza. La tifoseria palermitana si sentiva ferita. La cosa, insomma, era seria. Non solo giocano male, sostenevano i molto competenti tifosi, ma pure reagiscono ai fischi e alle male parole che giungono dalle curve, dalla gradinata e dalla tribuna. E chi si credono di essere! Chi paga ha sempre ragione, ecco il punto filosofico della questione. E’ la stessa massima che sino a qualche tempo addietro si poteva leggere in certi negozi. Il cliente ha sempre ragione. Basta pagare e si può dire, fare e pretendere di tutto. Se è il caso, se la misura è colma, anche mettere a ferro e fuoco uno stadio. E successo, succede, accadrà di nuovo. Del resto, se uno paga avrà pur diritto a sfogarsi nell’arena. D’altra parte, urlare insieme alla folla indistinta e irresponsabile, cosa costa? Si può facilmente tirare, più o meno metaforicamente, il sasso e ritirare la mano. Senza essere legati ad un minimo di coerenza. La domenica la squadra si porta alle stelle, il mercoledì è pezza di piedi, da oggi pomeriggio vedremo. Da tale posizione d’estrema forza tutto appare giustificato. Quindi viene considerato il massimo della civiltà, per esempio, dire cornuto all’arbitro. Chi lo fa conigliescamente, immerso e coperto dalla massa, dovrebbe però avere il coraggio di recarsi dal suddetto e comunicargli personalmente la pietosa situazione che lo riguarda circa le sue estremità. Così com’è ritenuto dalla tifoseria normale, sportivo, sommergere di fischi la formazione avversaria quando viene annunciata, o accogliere l’altra squadra con insulti di straordinaria quanto gratuita gravità. Fa anche parte del quadretto “ospitare” i tifosi nemici in una gabbia, sorvegliata a vista, altrimenti chissà cosa accade. Va bene tutto, tanto si paga. Per la cronaca, quasi tutti i tifosi palermitani pagano, oltre il biglietto, anche i posteggiatori abusivi per farsi “custodire” auto e motori. In questo caso però lo fanno a capo chino, senza fischiare chi estorce loro del denaro. Dovrebbero vedersela di persona, senza l’ausilio e il sostegno del gruppo. Allora le aspettative del tifoso tipo calano bruscamente. Meglio trasferire il malcontento dentro lo stadio, tanto nessuno dei protagonisti in campo replica, tranne qualche mugugno tra le righe. Stavolta è andata diversamente, anche con le scuse di venerdì. Il capitano del Palermo ha deciso, e ciò gli fa onore, di metterci la faccia. Non si è nascosto dietro il dito o in mezzo alla curva, non ha usato mezze parole e quelle che ha utilizzato non comprendono nessuno degli epiteti compresi nell’elegante e aristocratica miscellanea tifosesca, che qui non stiamo ad elencare perché ci vorrebbe un saggio che si dovrebbe vietare ai minori. Il messaggio che ha lanciato è il seguente: cercate di darvi una regolata perché il Palermo non è l’Inter, la Juve o la Roma, ma una compagine di mezza classifica che, viste le forze attualmente presenti in serie a, può aspirare ad un onesto piazzamento in zona uefa. Fascia dentro la quale sostanzialmente bazzica, insieme al blasonato Milan. Inoltre. Si afferma che la squadra è senza gioco? Ma i quattordici punti sinora accumulati, non proprio pochi vista le difficoltà del campionato in corso, non stanno a dimostrare che non è così? Tuttavia, al di là delle interpretazioni su ciò che ha dichiarato il capitano e delle valutazioni tecniche, sulle quali, com’è noto, tutti in Italia ci esercitiamo come oracoli, c’interessa sottolineare quanto detto in precedenza. Ossia il coraggio del singolo che afferma il proprio pensiero, scusandosi soltanto per le modalità espressive, contro una moltitudine senza volto. Che, nella stragrande maggioranza, si reca allo stadio non per godersi serenamente uno spettacolo, sia che si vinca sia che si perda. Ma per ululare dagli spalti senza essere (quasi) mai chiamata a rispondere di nulla. Francesco Palazzo