sabato 25 ottobre 2008

ARS, seggio vacante e appelli

LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO 25 OTTOBRE 2008

Pagina XVI
La legge e gli appelli sul seggio vacante dell´Ars
FRANCESCO PALAZZO


In genere gli appelli, sottoscritti da personalità conosciute, si fanno prima del voto a sostegno di uno dei candidati in competizione. Fanno molto rumore, ma non spostano consenso. In questi giorni c´è un appello per contestare il parere reso dalla Commissione verifica poteri del parlamento siciliano. Che attribuisce il seggio di deputato, libero dopo le dimissioni di Anna Finocchiaro, a un candidato del Partito democratico e non invece alla Borsellino, che era seconda nella lista regionale guidata dalla stessa Finocchiaro, candidata alla presidenza. La legge elettorale siciliana prevede due tipologie di liste. Vi sono quelle provinciali, con le quali ogni partito cerca di concorrere all´assegnazione di ottanta seggi. Due seggi sono assegnati al candidato presidente vincente e a quello che arriva secondo. I restanti otto seggi, che servono per arrivare a novanta, possono essere presi, tutti, in parte o nessuno, dalla coalizione vincente, ricorrendo alla seconda tipologia di lista, che è quella regionale. Che vede, per ogni schieramento, il presidente candidato quale capolista. Nell´appello si legge che la decisione è offensiva e mortificante per tanti siciliani. Ma qui non è in discussione la figura di Rita Borsellino. Si tratta di valutare le argomentazioni a fondamento della questione. Nel disegno di legge elettorale, originariamente, era in effetti previsto che nell´ipotesi in cui restasse vacante il seggio di un deputato eletto nella lista regionale, la carica sarebbe stata assegnata al primo dei candidati in lista. Il legislatore siciliano ha modificato tale punto. Per un motivo. Tenuto conto che la lista regionale è espressione di un´alleanza e quindi i candidati appartengono a forze politiche differenti, si è voluto evitare che, attraverso sostituzioni, potesse modificarsi la consistenza dei vari gruppi parlamentari e potessero mutare i rapporti di forza politici all´Ars. Perciò, ogni candidato della lista regionale, nell´atto di accettazione della candidatura, eccetto i candidati alla presidenza, deve dichiarare la lista provinciale collegata alla coalizione e il collegio provinciale in cui si candida. Di conseguenza, in caso di sostituzione, non c´è alcun meccanismo di scorrimento della lista regionale, ma il seggio vacante è attribuito nel collegio e alla lista provinciale indicati. Cioè resta alla medesima forza politica. Peraltro, occorre dire che le liste regionali sono lo strumento per attribuire, se necessario, deputati in più alla coalizione risultata più votata, qualora i seggi conseguiti nelle province non dessero la maggioranza. Completata tale fase, la lista regionale della compagine più votata (cioè quella che esprime il Presidente della Regione) non ha più alcuna rilevanza. Ancor meno può averne la lista regionale dei perdenti, ancorché secondi. Se già la coalizione vincente ha ottenuto dagli elettori la maggioranza di 54 seggi, ed è il caso delle ultime regionali, i posti restanti vanno alla minoranza, facendo riferimento alle liste provinciali di quei partiti che hanno superato lo sbarramento a livello regionale. Quest´ultimo è del cinque per cento, confermato dai siciliani nel referendum del maggio 2005. Con questo meccanismo già il Pd ha ottenuto diversi seggi. L´obiezione è che ciò non riguarda l´ipotesi in cui si renda vacante il seggio attribuito al capolista della lista regionale risultata seconda, com´è avvenuto nel caso concreto delle dimissioni della Finocchiaro. La legge non prevede questa evenienza. Occorre però dire che la Borsellino, pur essendo seconda in lista, non era candidata alla vicepresidenza. La legge elettorale non contempla tale figura. Quindi, anche in questo caso, non c´è alcun automatismo. Ciò che, invece, si è determinato è che, tra i perdenti, un unico partito, quello Democratico, ha conseguito rappresentanza. Tutte le altre liste non hanno raggiunto il cinque per cento, perciò non possono accedere al riparto dei seggi assegnati alle minoranze. Chi reclama oggi il seggio per la Borsellino, vorrebbe, in ultima analisi, rimettere in discussione la soglia di sbarramento. Tuttavia, che la si condivida o meno, la si deve rispettare. Sino a quando non sarà abbassata o cancellata. Più dell´indignazione, e degli appelli, conta la legge e la sua corretta interpretazione logica e politica.

Democratici siciliani ancora in alto mare

CENTONOVE
24 10 08
IL PARTITO DI CARTA
Francesco Palazzo


Il governo regionale, come da più parti sottolineato, ha dietro di sé una maggioranza litigiosa ancorché vastissima. Guardando però meglio, tali divisioni su ambiti importanti disegnano un quadro in cui i partiti del centrodestra, vincenti alle regionali con percentuali bulgare (o siciliane), rappresentano sia la maggioranza che l’opposizione. Alcuni esempi. Da un lato si afferma che gli impiegati regionali sono troppi, dall’altro ci si appresta a imbarcare più di tremila precari. Una parte di assessori voleva tenere in vita l’ESA (Ente di Sviluppo Agricolo), un’altra lo depenna. Per non parlare, poi, dello scontro per la recente sostituzione della figura apicale che guiderà la gestione dei fondi europei. Non possiamo non citare la sanità, dove le misure per affrontare il piano di rientro fanno registrare una profonda e palese spaccatura nella maggioranza. Potremmo anche ricordare il dissidio insorto intorno alla designazione dei dirigenti dei dipartimenti regionali. Un emendamento affida al presidente della regione e non più a tutta la giunta il potere di nomina. Se questo è quanto abbiamo di fronte, e si potrebbe continuare citando altri casi simili, a cosa si riduce la minoranza? Ne abbiamo avuta dimostrazione durante la recente festa del partito democratico a Palermo. Il doppio confronto tra due esponenti del governo (il Presidente della regione e l’Assessore alla sanità) e due rappresentanti siciliani di punta del Partito di Veltroni, si è svolto all’insegna di una minoranza, l’unica all’ARS, che si limita a criticare i limiti dei provvedimenti più importanti del governo, aggiungendo come contorno alcune timide contro proposte. In altre parole, prova a infilarsi dentro le crepe prodotte dalle lacerazioni esistenti nella parte avversa. Senza che però ci sia, o sia in preparazione, o almeno non la vediamo, un’alternativa credibile, autonoma, fatta d’idee concrete e persone, da presentare ai siciliani. Ci si limita, senza aver fatto i conti con la sconfitta della Finocchiaro, a un galleggiamento senza meta. Il rischio è che il partito democratico si dissemini, pur con qualche guizzo personalistico, senza una sua chiara identità, nel paesaggio monocromatico colorato a tutto tondo dal centrodestra, dai suoi partiti, dalle sue correnti, da coloro che ogni volta portano regolarmente a casa carrettate di voti. Coltivando una dimensione minoritaria costruita su numeri rispettabili, vista la scomparsa dall’Assemblea regionale, e comunque la forte crisi sul territorio, della sinistra radicale. Di cui ci giungono poche e frammentarie notizie. Non tali da far intravedere una, seppur minima, ripresa. Del Partito Democratico, invece, sappiamo alcune cose. Dovrebbe essere già avviata da mesi la fase del tesseramento. A occhio e croce, non ci pare che l’iniziativa sia decollata. Pure i circoli, i quali dovrebbero costituire il radicamento territoriale del PD, sono ancora realtà riguardanti i più stretti affezionati o i funzionari del partito. Lo statuto è in alto mare. Per carità, aprendo il sito siciliano del partito, i documenti si sprecano. Le buone intenzioni pure. D’inchiostro sinora ne è stato seminato parecchio. Di carta se n’è sprecata tanta. Ma questo partito, in Sicilia, sembra non volerci essere. Un partito di carta che viaggia nei mari tempestosi della politica siciliana. Dove il centrodestra spopola così ampiamente da riuscire a dare garanzie a tutti. A destra e a manca, in alto e in basso. Le spaccature che esso presenta, paradossalmente, sono più una forza che una vera debolezza. Ricorderete come funzionava la Democrazia Cristiana. Agganciarsi a questa barca che corre veloce, pur con vistose contraddizioni, sperando di capitare qualche giornata di vento buono per riemergere, serve soltanto, al partito democratico, per certificare l’esistenza in vita e non a predisporre una possibile alternanza. Che dovrebbe contemplare una ripresa del dialogo con la parte più a sinistra dello schieramento. Ammesso che quest’ultima riesca a trovare una sintesi. Ma, chiediamo: sarà stato un caso o un segno dei tempi, se nel programma della festa palermitana del PD, tra incontri “governativi” e la presenza di molti esponenti di primo piano del centrodestra, non si è trovato un buco, uno soltanto, per confrontarsi con quanti si trovano a sinistra del Partito Democratico?

sabato 18 ottobre 2008

Centri sociali e quartieri popolari: quando il cerchio si chiude

CENTONOVE
17 10 2008
PAG. 2
Quei figli di papà dei centri sociali


La manifestazione nazionale di sabato scorso dei centri sociali, svoltasi a Palermo nei dintorni del quartiere Albergheria, ha in qualche modo chiuso il cerchio rispetto alla guerriglia urbana contro gli “sbirri”, provocata, nello stesso rione, alcuni giorni prima dopo la morte di due ragazzi che fuggivano contromano dalle forze dell’ordine. Molti sottolineano che nei quartieri marginali le persone sono sostanzialmente incolpevoli, non avendo molte alternative di vita. Sabato, ciò è stato gridato per le strade. La mafia non abita qui, si urlava, ha la giacca e la cravatta. La vera mafia sta nei palazzi del potere, all’Albergheria c’è solo fame. E le divise sono servi di tale sistema. Mentre ascoltavo, avevo in mente la docufiction della RAI, che il giorno prima aveva mostrato il lavoro massacrante e rischiosissimo, pagato poco, degli investigatori per scardinare i clan. Scrutando le facce del servizio d’ordine che seguiva il corteo, venivano alla mente le frasi con cui Pasolini commentò gli scontri fra studenti e forze dell'ordine nel '68. "Avete facce di figli di papà – scriveva - io simpatizzo con i poliziotti perché sono figli di poveri". Anch’io, nel mio piccolo, solidarizzavo con le forze dell’ordine insultate. Tornando a noi, è chiaro che gridare frasi inneggianti al vittimismo innocente, in un quartiere popolare, è come sfondare una porta aperta. Ma non vorremmo caricare i trecento ragazzi di sabato di eccessive responsabilità. Al di là di quest’ultimo episodio, c’è in giro un giustificazionismo abbastanza esteso. Che viene da lontano. Si sostiene che gli abitanti dei quartieri periferici sono vilipesi, maltrattati, derisi e repressi. Dalle istituzioni e dalla politica, dalla polizia e dai carabinieri. Dalla mafia e dall’antimafia. Non si considera minimamente che il popolo possa agire con piena consapevolezza e deliberato consenso. Innocente è il popolo. Colpevole e corrotta solo la classe dirigente, il potere. Pare lecito chiedersi, perciò, non il motivo per cui non ci si fermi davanti ad uno stop delle forze dell’ordine, ed è accaduto ai due ragazzi, ma perché le volanti tallonino chi scappa. Inseguendo, senza saperlo, secoli di umiliazioni. Come si fa a braccare il dolore innocente tartassato dai cattivi? La colpa è esclusivamente della casta. Oppure della mafia. Che quest’ultima riceva un appoggio sterminato e cosciente dalle classi popolari, viene perdonato. Appoggiano le cosche per necessità. Se un giorno la Sicilia diventerà la terra più bella del mondo, smetteranno. Nel frattempo non li si può accusare d’intelligente collaborazionismo. I peccati mortali, si sa, sono un marchio di fabbrica esclusivo della borghesia criminale. Che poi gran parte della popolazione siciliana, che certo borghese non si può definire, viva con un solo magro stipendio per famiglia, mandi i figli a scuola sino alla laurea, paghi affitti onerosi, si spezzi la schiena per assicurarsi una vita dignitosa, spendendosi pure nel volontariato, senza vittimismi di sorta, questo non importa. Perché la sofferenza, quella vera, deve potersi vedere, irrompere platealmente sulla scena pubblica. Senza che la si possa incalzare. Né con i ragionamenti, né a sirene spiegate. Poiché non la si può acchiappare. E quando si tenta di farlo, ecco dietro l’angolo tragedie simili a quella dei due ragazzi. E allora giù con la polizia infame. Perché la forza dello stato, questo è il concetto ripetuto in queste settimane, si è fatta sempre sentire dal popolo, candido come un giglio, soltanto con la repressione. Quindi, l’unica risposta possibile è la rivolta, sorda e quotidiana o esplicita e violenta. Seguendo tale logica, perché bloccare uno spacciatore che campa la famiglia, un rapinatore che deve comprare il latte al bambino, un fiancheggiatore popolano delle cosche che cerca un posto di lavoro? Per quale motivo affrontare, con decisione, l’illegalità diffusa e plateale che, da decenni, è prassi in certi quartieri di città grandi e medie della Sicilia? Perché farlo, se alcuni modi di vivere sono la risultante dolorosa dei patimenti inflitti dalla storia? Non si può processare la storia. La sofferenza innocente, lo dice la parola stessa, non si può mettere di fronte alle sue evidenti responsabilità. Fugge via. Insieme allo strazio per due giovani vite. Perdute anche perché, quelli che la sanno lunga, avevano fatto capire loro che il disagio sociale può pure andare di notte, contromano e salvarsi lo stesso.

mercoledì 8 ottobre 2008

Il voto siciliano verso il centrodestra


LA REPUBBLICA PALERMO
MERCOLEDÌ, 08 OTTOBRE 2008

Pagina XV
QUESTA ANOMALA SICILIA CHE VOTA SEMPRE A DESTRA
FRANCESCO PALAZZO


Giovedì scorso, su queste colonne, Salvatore Butera, partendo dall´esempio di Catania e Palermo, si chiedeva come mai l´elettorato siciliano continua a votare in stragrande maggioranza, dalla stessa parte, pur trovandosi a fare i conti con amministrazioni carenti o fallimentari. Egli ne dà una spiegazione proiettata sullo scenario nazionale. L´Italia, tranne pochi e brevi periodi storici, non ha mai smesso di tifare per la destra. Ma il persistente voto siciliano verso il centrodestra, soprattutto quello del decennio iniziato nel 2001, si può spiegare soltanto in tale modo? Per dare una prima risposta bisogna allargare il quadro alle altre regioni del Mezzogiorno, dove i meccanismi del consenso dovrebbero avvicinarsi molto a quello siciliano e confermare, eventualmente, l´andamento storico nazionale, di lunga durata, evidenziato da Butera. Il punto è che nelle altre regioni del Mezzogiorno il panorama che attualmente si presenta è del tutto diverso da quello siciliano. Con un centrosinistra che ha numeri tali da averlo fatto prevalere alle ultime regionali del 2005 in Calabria, Puglia, Campania, Basilicata e Abruzzo. E anche dove perde, come accaduto nel Molise alle regionali del 2006, la sconfitta avviene con percentuali che disegnano distacchi normali, facilmente colmabili la prossima volta. Così come la prossima volta, e già probabilmente si comincerà con l´Abruzzo tra qualche mese, ci sarà il verosimile ritorno del centrodestra in alcune di quelle Regioni (Calabria, Campania, Puglia). Niente di sconvolgente, normale alternanza. Stesso quadro, abbastanza monocromatico, ma non nel senso che ci aspetteremmo, nei comuni capoluogo delle stesse regioni. A Bari il sindaco è del Partito democratico, così come a Napoli, a Potenza, all´Aquila e a Campobasso. Se consideriamo anche la Sardegna, Regione autonoma come la nostra, facente parte del Mezzogiorno, anche in questo caso il governatore è di centrosinistra. Infine non si può dimenticare la lunga stagione di Italo Falcomatà, amatissimo sindaco di centrosinistra di Reggio Calabria, che vinse le elezioni dal 1993 al 2001, unico eletto per tre volte consecutive. Perché in tali realtà meridionali, non parliamo di Emilia-Romagna, Toscana o Umbria, il voto non conferma sempre, anzi nell´ultimo decennio smentisce, la vocazione verso destra dell´Italia? L´analisi andrebbe fatta caso per caso, ma il dato che emerge è molto chiaro. Se può essere verosimile che il nostro Paese, nelle sue linee generali sociali e politiche, è polarizzato verso il centrodestra, la Sicilia sfugge a qualsiasi comparazione con altre realtà, anche con quelle a essa più vicine, dove invece è facile che si verifichi l´alternanza tra i due schieramenti. E la cosa riguarda non solo il voto comunale o regionale, ma anche quello politico. Se infatti osserviamo i dati della Camera delle ultime elezioni, scopriamo che nelle altre regioni meridionali il centrosinistra, inteso come Partito democratico e Italia dei valori, va dal 32,7 per cento del collegio Campania 2 al 45,6 del collegio molisano. Vince in Basilicata e Molise, arriva vicinissimo al centrodestra in Sardegna e Abruzzo. E anche dove perde con numeri consistenti, non fa mai registrare il quadro siciliano. In Sicilia la stessa coalizione più rappresentativa del centrosinistra ottiene, come dato più alto, un 29,7 per cento nel collegio occidentale e un ancor più deprimente 28,1 per cento in quello orientale. Mentre il centrodestra, che nelle altre regioni del Sud ottiene una media vicina al 45 per cento (dal 37,6 per cento della Basilicata al 51,6 per cento del collegio Campania 2), in Sicilia raggiunge quota 56,9 per cento (collegio Sicilia 2). Mi pare che ce ne sia abbastanza per continuare a riflettere sulla "particolarità" dei comportamenti elettorali del popolo siciliano. Difficilmente spiegabili affermando che l´Italia è un Paese innamorato della destra.