CENTONOVE
17 10 2008
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Quei figli di papà dei centri sociali
La manifestazione nazionale di sabato scorso dei centri sociali, svoltasi a Palermo nei dintorni del quartiere Albergheria, ha in qualche modo chiuso il cerchio rispetto alla guerriglia urbana contro gli “sbirri”, provocata, nello stesso rione, alcuni giorni prima dopo la morte di due ragazzi che fuggivano contromano dalle forze dell’ordine. Molti sottolineano che nei quartieri marginali le persone sono sostanzialmente incolpevoli, non avendo molte alternative di vita. Sabato, ciò è stato gridato per le strade. La mafia non abita qui, si urlava, ha la giacca e la cravatta. La vera mafia sta nei palazzi del potere, all’Albergheria c’è solo fame. E le divise sono servi di tale sistema. Mentre ascoltavo, avevo in mente la docufiction della RAI, che il giorno prima aveva mostrato il lavoro massacrante e rischiosissimo, pagato poco, degli investigatori per scardinare i clan. Scrutando le facce del servizio d’ordine che seguiva il corteo, venivano alla mente le frasi con cui Pasolini commentò gli scontri fra studenti e forze dell'ordine nel '68. "Avete facce di figli di papà – scriveva - io simpatizzo con i poliziotti perché sono figli di poveri". Anch’io, nel mio piccolo, solidarizzavo con le forze dell’ordine insultate. Tornando a noi, è chiaro che gridare frasi inneggianti al vittimismo innocente, in un quartiere popolare, è come sfondare una porta aperta. Ma non vorremmo caricare i trecento ragazzi di sabato di eccessive responsabilità. Al di là di quest’ultimo episodio, c’è in giro un giustificazionismo abbastanza esteso. Che viene da lontano. Si sostiene che gli abitanti dei quartieri periferici sono vilipesi, maltrattati, derisi e repressi. Dalle istituzioni e dalla politica, dalla polizia e dai carabinieri. Dalla mafia e dall’antimafia. Non si considera minimamente che il popolo possa agire con piena consapevolezza e deliberato consenso. Innocente è il popolo. Colpevole e corrotta solo la classe dirigente, il potere. Pare lecito chiedersi, perciò, non il motivo per cui non ci si fermi davanti ad uno stop delle forze dell’ordine, ed è accaduto ai due ragazzi, ma perché le volanti tallonino chi scappa. Inseguendo, senza saperlo, secoli di umiliazioni. Come si fa a braccare il dolore innocente tartassato dai cattivi? La colpa è esclusivamente della casta. Oppure della mafia. Che quest’ultima riceva un appoggio sterminato e cosciente dalle classi popolari, viene perdonato. Appoggiano le cosche per necessità. Se un giorno la Sicilia diventerà la terra più bella del mondo, smetteranno. Nel frattempo non li si può accusare d’intelligente collaborazionismo. I peccati mortali, si sa, sono un marchio di fabbrica esclusivo della borghesia criminale. Che poi gran parte della popolazione siciliana, che certo borghese non si può definire, viva con un solo magro stipendio per famiglia, mandi i figli a scuola sino alla laurea, paghi affitti onerosi, si spezzi la schiena per assicurarsi una vita dignitosa, spendendosi pure nel volontariato, senza vittimismi di sorta, questo non importa. Perché la sofferenza, quella vera, deve potersi vedere, irrompere platealmente sulla scena pubblica. Senza che la si possa incalzare. Né con i ragionamenti, né a sirene spiegate. Poiché non la si può acchiappare. E quando si tenta di farlo, ecco dietro l’angolo tragedie simili a quella dei due ragazzi. E allora giù con la polizia infame. Perché la forza dello stato, questo è il concetto ripetuto in queste settimane, si è fatta sempre sentire dal popolo, candido come un giglio, soltanto con la repressione. Quindi, l’unica risposta possibile è la rivolta, sorda e quotidiana o esplicita e violenta. Seguendo tale logica, perché bloccare uno spacciatore che campa la famiglia, un rapinatore che deve comprare il latte al bambino, un fiancheggiatore popolano delle cosche che cerca un posto di lavoro? Per quale motivo affrontare, con decisione, l’illegalità diffusa e plateale che, da decenni, è prassi in certi quartieri di città grandi e medie della Sicilia? Perché farlo, se alcuni modi di vivere sono la risultante dolorosa dei patimenti inflitti dalla storia? Non si può processare la storia. La sofferenza innocente, lo dice la parola stessa, non si può mettere di fronte alle sue evidenti responsabilità. Fugge via. Insieme allo strazio per due giovani vite. Perdute anche perché, quelli che la sanno lunga, avevano fatto capire loro che il disagio sociale può pure andare di notte, contromano e salvarsi lo stesso.
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