giovedì 18 febbraio 2016

Don Puglisi, la Rosa Gialla e lo scantinato. Sindaco Orlando, che facciamo?

Repubblica Palermo - 17 febbraio 2016
L'aiuto che serve a chi si impegna
Francesco Palazzo

Signor sindaco, può il Comune di Palermo “perdere” 3.500 euro all’anno per far sì che continui il sogno di don Puglisi a Brancaccio attraverso l’operato, quasi ventennale, di un’associazione culturale? Non si tratta di dare l’ennesimo contributo, tra i tanti in genere non rendicontati, che sono trasferiti a realtà che si fregiano, non sempre a proposito, dei nomi di caduti sotto la violenza mafiosa. Quella dei contributi a pioggia (solo una realtà vi ha rinunciato, il Centro Impastato di Palermo guidato da Umberto Santino), è una brutta pratica che crea dipendenza dalle casse pubbliche e dalla politica clientelare e non emancipazione. L’unico modo di spezzare questo circolo vizioso, sarebbe quello di fornire alle associazioni beni e servizi. Ossia gli strumenti basilari per camminare poi da soli, questo dovrebbe essere il fine dell’aiuto pubblico. Non tenere in piedi carrozzoni sorretti a vita dalla mano pubblica. Un bene in comodato d’uso chiede al comune l’Associazione Quelli della Rosa Gialla di Brancaccio, che si richiama a quel fiore perché piaceva a Don Pino, il resto lo sanno fare, molto bene, da soli. Hanno da tempo in gestione un locale di proprietà del Comune, a pochi metri da dove dovrebbe sorgere la nuova chiesa voluta da don Puglisi. L’hanno messo a nuovo, ci hanno speso risorse finanziarie proprie e tante energie. Ma devono pagare all’amministrazione, appunto, 3 mila e 500 euro l’anno, che con la TARSU arrivano a oltre quattromila. Parliamo di uno scantinato di cento metri quadri, il comune dunque incassa 35 euro per metro quadro in estrema periferia dal volontariato. Da un’inchiesta recente di Repubblica Palermo, è venuto fuori che, non in periferia ma in zona residenziale, non per azioni di volontariato ma per lucro, in qualche caso il Comune riscuote sei euro all’anno a metro quadro. L’amministrazione ha promesso, ma si tratta di passato remoto, poi non ha più dato seguito alla cosa, che avrebbe modificato il contratto abbonando l’affitto. Come corrispettivo l’associazione, che produce musical seguitissimi, avrebbe fornito gratuitamente alla città due spettacoli annuali. Ora il punto è che l’associazione, che ha prodotto lavori per il Teatro Brancaccio di Roma, che si è esibita anche a Brescia e Verona, oltre che a Palermo, ad esempio al Teatro di Verdura, e in altre città siciliane, che andrà il 21 marzo a Milano, siccome vive di cinque per mille, non sa più dove prendere i soldi per pagare la pigione. Anche perché proprio in questo periodo, per mandare in scena al Teatro Orione (11, 12 e 13 febbraio), lo spettacolo “Nasci, cresci e vivi”, con tremila spettatori tra ragazzi delle scuole e adulti, ha affrontato più di diecimila euro di spese. Compresa l’ospitalità a diverse famiglie bresciane con bambini non vedenti. In questi casi, le amministrazioni pubbliche, larghe nel distribuire i fondi a pioggia prima citati, scompaiono dalla circolazione quando c’è da sostenere con servizi le singole iniziative. Ora, signor sindaco, a lei non può certo sfuggire cosa significa che a Brancaccio, estrema periferia, continui ad esistere una realtà del genere, perché, fra le altre cose, l’opera di questi nostri concittadini rientra nel «se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto», regola di vita di don Puglisi. Alla sua amministrazione, poiché le vittime della mafia si onorano con gesti concreti, si chiede appunto di fare un “qualcosa” che ha già promesso. Quei tremila e cinquecento euro annuali, 9,58 euro al giorno, che l’amministrazione non incasserà, a fronte di un bene comunale tenuto in piedi e curato da privati che non ci guadagnano nulla, saranno investiti in termini di cittadinanza attiva e di promozione della persona. Con risparmio in termini di sicurezza e crescita di generazioni dedite all’arte e quindi al rispetto reciproco e dei beni comuni. Perciò, alla fine, tutti ci guadagneremo. In uno dei luoghi dove è più importante che si continui a seminare sulle orme del beato. Ucciso dai padrini. Ma lasciato solo, nelle sue pressanti richieste di diritti per il quartiere, dalla malapolitica.

venerdì 5 febbraio 2016

Chiesa, pedofilia e giustizia terrena.

Repubblica Palermo - 4/2/2016
Ma non basta chiedere scusa
Francesco Palazzo



Basta chiedere scusa senza criticare chi aveva trasferito il parroco palermitano, accusato di violenza sessuale, evitando però di denunciarlo alla magistratura? Me lo chiedo mentre ascolto l’omelia che don Corrado Lorefice, vescovo di Palermo, rivolge nel giorno della Candelora ai consacrati religiosi, una platea composta al novanta per cento da monache anziane. Nell’omelia il vescovo non fa cenno all’ultimo gravissimo fatto, a Palermo almeno altri due casi simili sono arrivati alle cronache. Tre casi per i quali la chiesa di Palermo, così come succede nel vituperato mondo della politica, ha atteso procure e forze dell’ordine senza fare nessun passo verso le une o le altre. Caro don Corrado che percorso pensa di proporre alla diocesi che guida affinché la questione possa essere affrontata, magari portando alla luce del sole altri casi adesso ignoti? A proposito di luce del sole (il titolo di un film che parla di Puglisi), anche per don Pino la chiesa di Palermo mostrò una netta chiusura dopo il suo omicidio nei confronti di chi indagava, non costituendosi parte civile nel processo e per questo venne pesantemente redarguita dal pubblico ministero. Del resto nel periodo in cui il parroco di Brancaccio veniva minacciato e anche aggredito fisicamente, nessuna richiesta di protezione verso gli organi preposti partì da Via Matteo Bonello, nelle cui stanze certamente si conoscevano le angustie, via via sempre crescenti in cui don Pino era costretto a dibattersi nella sua solitaria lotta al potere mafioso. Insomma, una chiesa che si rivolge allo Stato quando ci sono da chiedere e mettere dentro finanziamenti e nel momento in cui, vedi l’intervista al Giornale di Sicilia si domenica 31 gennaio al vescovo di Monreale, c’è da difendere la cosiddetta famiglia tradizionale. Definendo, come dichiarato letteralmente dal prelato, un «grave regresso antropologico » la legge sulle unioni civili in discussione nel parlamento della Repubblica. Se proprio si vogliono preservare la tranquillità e la serenità delle famiglie, e soprattutto i bambini, si guardi bene la chiesa siciliana, e non solo questa ovviamente, di non comprometterne la vita quotidiana con comportamenti che cominciano ad essere troppi per essere considerati casi isolati. Da questo punto di vista, caro don Corrado, il suo pur apprezzabile comunicato dopo l’arresto del suo confratello, sembra rimandare ad una richiesta di scuse per un’eccezione. Quando invece bisognerebbe, a nostro avviso, prendere atto che occorre formare meglio e con più oculatezza i propri ministri. Cosa non sempre facile, ce ne rendiamo conto, vista la difficoltà nel trovare vocazioni. Allora, più che guardare alle famiglie e sentenziare, senza ben conoscere l’esperienza genitoriale, le chiese locali, e lei sicuramente, don Corrado, ne ha le capacità, comincino a guardare le proprie famiglie di fede e capire se non è meglio dare, più che buoni consigli, ottimi esempi di vita. E un buon esempio, don Corrado, potrebbe essere quello di annunciare la volontà di costituirsi parte civile in ogni processo, presente e futuro, che veda implicati presbiteri o religiosi della diocesi di Palermo. Sarebbe un primo concreto modo di passare dalle belle e condivisibili parole ai fatti.