Repubblica Palermo - 4/2/2016
Ma non basta chiedere scusa
Francesco Palazzo
Basta chiedere scusa senza criticare chi aveva trasferito il parroco palermitano, accusato di violenza sessuale, evitando però di denunciarlo alla magistratura? Me lo chiedo mentre ascolto l’omelia che don Corrado Lorefice, vescovo di Palermo, rivolge nel giorno della Candelora ai consacrati religiosi, una platea composta al novanta per cento da monache anziane. Nell’omelia il vescovo non fa cenno all’ultimo gravissimo fatto, a Palermo almeno altri due casi simili sono arrivati alle cronache. Tre casi per i quali la chiesa di Palermo, così come succede nel vituperato mondo della politica, ha atteso procure e forze dell’ordine senza fare nessun passo verso le une o le altre. Caro don Corrado che percorso pensa di proporre alla diocesi che guida affinché la questione possa essere affrontata, magari portando alla luce del sole altri casi adesso ignoti? A proposito di luce del sole (il titolo di un film che parla di Puglisi), anche per don Pino la chiesa di Palermo mostrò una netta chiusura dopo il suo omicidio nei confronti di chi indagava, non costituendosi parte civile nel processo e per questo venne pesantemente redarguita dal pubblico ministero. Del resto nel periodo in cui il parroco di Brancaccio veniva minacciato e anche aggredito fisicamente, nessuna richiesta di protezione verso gli organi preposti partì da Via Matteo Bonello, nelle cui stanze certamente si conoscevano le angustie, via via sempre crescenti in cui don Pino era costretto a dibattersi nella sua solitaria lotta al potere mafioso. Insomma, una chiesa che si rivolge allo Stato quando ci sono da chiedere e mettere dentro finanziamenti e nel momento in cui, vedi l’intervista al Giornale di Sicilia si domenica 31 gennaio al vescovo di Monreale, c’è da difendere la cosiddetta famiglia tradizionale. Definendo, come dichiarato letteralmente dal prelato, un «grave regresso antropologico » la legge sulle unioni civili in discussione nel parlamento della Repubblica. Se proprio si vogliono preservare la tranquillità e la serenità delle famiglie, e soprattutto i bambini, si guardi bene la chiesa siciliana, e non solo questa ovviamente, di non comprometterne la vita quotidiana con comportamenti che cominciano ad essere troppi per essere considerati casi isolati. Da questo punto di vista, caro don Corrado, il suo pur apprezzabile comunicato dopo l’arresto del suo confratello, sembra rimandare ad una richiesta di scuse per un’eccezione. Quando invece bisognerebbe, a nostro avviso, prendere atto che occorre formare meglio e con più oculatezza i propri ministri. Cosa non sempre facile, ce ne rendiamo conto, vista la difficoltà nel trovare vocazioni. Allora, più che guardare alle famiglie e sentenziare, senza ben conoscere l’esperienza genitoriale, le chiese locali, e lei sicuramente, don Corrado, ne ha le capacità, comincino a guardare le proprie famiglie di fede e capire se non è meglio dare, più che buoni consigli, ottimi esempi di vita. E un buon esempio, don Corrado, potrebbe essere quello di annunciare la volontà di costituirsi parte civile in ogni processo, presente e futuro, che veda implicati presbiteri o religiosi della diocesi di Palermo. Sarebbe un primo concreto modo di passare dalle belle e condivisibili parole ai fatti.
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