sabato 10 settembre 2016

Il cocco, la pannocchia e la libertà in Sicilia.

La Repubblica Palermo 9 settembre 2016

Anche in riva al mare l'illegalità distorce il libero mercato 

Francesco Palazzo 


È difficile, in Sicilia, sfuggire a certi meccanismi. Sei disteso sotto un ombrellone e ti pare che un po’ di natura trattata bene possa generare un minimo di sviluppo libero. Non fai in tempo a pensarlo che vieni investito dal controllo millimetrico del territorio, arenile o asfalto che sia. La storia riguarda due venditori siculi e ha come titolo “Il cocco contro la pollanca”. Si può obiettare che sono due alimenti molto diversi, che possono coesistere pacificamente. Non è così. Devi prendere atto che il libero mercato non ce la può fare contro un assetto sociale opprimente che arriva a bagnare pure le assolate spiagge siciliane. Quello della pollanca, con uno slogan accattivante («Me la puoi pagare a rate»), aveva venduto alcuni esemplari della sua mercanzia. A un certo punto arriva il tipo del «cocco bello-cocco fresco», anche questo uno slogan efficace. Il coccoinomane scruta qualcuno che non dovrebbe esserci e lo manda a chiamare: «Ma che ci fai qui?». «Ero di passaggio, ora me ne vado», risponde lo spacciatore di mais. «Fai un altro giro e poi sloggia». E sin qui potrebbe sembrare la lotta tra un prepotente e uno che subisce. Ma a quel punto quello della pollanca, sbiancato in viso per la paura, vuole essere rassicurato prima di farsi un altro giro. «Mi dai la garanzia, non è che poi ci sono problemi?», chiede a quello del cocco. Cioè, sei in grado di darmela o mi crei problemi con altri? Un riferimento a chi gestisce la zona? Più che probabile. «No problem», dice il cocchista. Invece, dopo pochi secondi il fu commerciante di pannocchie pubblicizza il cocco con il suo megafono e passa a venderlo tra gli ombrelloni. Questo episodio è metafora della nostra terra? Possiamo dire che questa Sicilia non è certo una piccola minoranza. Una Sicilia dove abbiamo celebrato il venticinquesimo anniversario dell’uccisione per mano mafiosa di Libero Grassi, morto per aver voluto vivere la normalità della libertà d’impresa, e il trentaquattresimo dell’omicidio del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, fatto fuori perché voleva affrontare a viso aperto, sottraendole territorio e potere, Cosa nostra. E dove ci apprestiamo a ricordare il ventitreesimo del colpo alla nuca che fece fuori don Puglisi. Lui riteneva che a Brancaccio si potesse agire liberamente scendendo nelle strade e ciò gli fu impedito dalla malapolitica e infine dalla mafia. Il mercato, il territorio, le strade non sono liberi in Sicilia. Talvolta lo dimentichiamo ma accade qualcosa, grande o piccola che sia, che ci riporta alla realtà. Attenzione, il pollanchista e il ras del cocco sono due poveri cristi. Ma l’indigenza che cerca espedienti per sbarcare il lunario non è un’esclusiva delle nostre latitudini. Tuttavia, solo in Sicilia c’è questo controllo asfissiante, pur con una Cosa nostra in crisi (?), di ogni lembo di terreno. Escludiamo che una storia come questa possa accadere lungo la riviera adriatica, ma pure in molti tratti di costa delle altre regioni del Sud. Anche il privato con le carte in regola in Sicilia può muoversi secondo logiche di mercato anomale. In un villaggio non trasportano in stanza il cibo che porti da fuori, devi portarlo a piedi sotto il sole, perché, dice un addetto, vogliono che ti serva presso il market interno. Che però fornisce quasi nulla e a prezzi esosi. Quindi, prima ancora di offrirti una valida alternativa, facendoti trovare un posto assortito e a prezzi concorrenziali, si mette in atto un fastidiosissimo intralcio. Dimenticandosi della cosa più importante. Sincerarsi che gli appartamenti siano in buone condizioni. Devi litigare mezza giornata per fare riportare il tuo in uno stato appena decente, rischiando di finire in ospedale per il cedimento del vano doccia. Per non parlare di quel ristorante vista mare. Lavorava bene a prezzi non alti, ora li ha aumentati ed è scaduto come qualità. Anche questo ci dice molto della nostra Sicilia. Dove il turista, molto spesso, è solo un pollo da spennare. 

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