CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
10 Febbraio 2012
Pag. 46
Messineo e gli appalti mafiosi
Francesco Palazzo
Quando un procuratore della Repubblica lancia un allarme occorre destare l'attenzione. Se lo fa un procuratore capo siciliano, in particolare quello della direzione distrettuale antimafia di Palermo, bisogna raddoppiare la soglia di preoccupazione. Soprattutto quando delinea scenari complessivi sull'impatto che l'organizzazione mafiosa ha sulla nostra società. E non dal punto di vista culturale, ma su un aspetto ancora più fondamentale della nostra vita associata. Francesco Messineo, che della DDA di Palermo è appunto il capo, nel corso di un incontro ha pronunciato la seguente frase. “Abbiamo il fondato sospetto che tutto il sistema economico siciliano, con particolare riferimento al settore dei lavori pubblici, sia stabilmente sotto il controllo della mafia”. Venticinque parole che delineano un quadro controcorrente rispetto alla vulgata che vorrebbe le cosche in ginocchio. E che non vengono dal primo che passa. Ma da una persona che pare amare poco le ribalte mediatiche e che quando si esprime da l'impressione di pesare le parole. Peraltro, poiché appunto riteniamo che Messineo non utilizzi certo le parole a caso, quello che colpisce non è solo l'insieme del pensiero espresso, ma le sue singole parti. Intanto, l'allarme del procuratore comincia con un abbiamo, ossia non si tratta solo di sue speculazioni, ma delle determinazioni di un gruppo di lavoro che in procura segue con attenzione l'evoluzione del sistema criminale chiamato mafia. Poi c'è il sospetto, che non è lasciato in aria, ma è fondato, cioè è praticamente una certezza, basata senz'altro su dati inoppugnabili. Questo fondato sospetto è che tutto il sistema economico siciliano è inquinato dal potere mafioso, non una sua parte più o meno grande. Ed in particolare quella parte che ha a che fare con l'esercizio di pubblici poteri, ossia quella riferibile ai lavori pubblici, che coinvolge l'operato degli eletti nelle pubbliche istituzioni, dei governi dei vari livelli e dei burocrati sparsi nelle varie macchine amministrative che ne gestiscono le aggiudicazioni. Ed, inoltre, questa presenza massiccia delle coppole storte non è precaria, secondo Messineo, ma presenta i connotati della stabilità, quindi della lunga durata. Non più di tanto, evidentemente, scalfita dalle operazioni delle forze della repressione e delle tante iniziative partite dal corpo vivo della società. Ora, il punto è questo. O siamo disposti a sostenere che il capo della procura che più di tutte le altre al mondo si occupa di mafia, ha esagerato, o peggio ancora, ha clamorosamente sbagliato la sua analisi. Oppure se, come crediamo, questa frase è profondamente meditata e sufficientemente documentata, dovremmo un po' ridimensionare la certezza che Cosa nostra sia moribonda. Non solo questo. Dovremmo chiederci, se davvero l'economia della nostra regione è completamente sotto scacco dei soldi sporchi della mafia, che peso ha avuto, realmente, al di là della presenza nei mezzi d'informazione, la pur sacrosanta virata degli aderenti a Confindustria, o di altre categorie imprenditoriali, verso meccanismi di legalità e di isolamento degli elementi più compromessi o collusi. E, ancora, che consistente apporto di mutamento ha dato un movimento come quello di Addiopizzo nella pancia dell'economia regionale. E, infine, quale sia ancora il grado di compromissione della politica nel non riuscire a non orientare verso le tasche mafiose il grande flusso di denaro proveniente da fondi locali, statali o comunitari. Delle due l'una, quindi. O il procuratore Messineo ha torto e non ci pare che pubblicamente qualcuno abbia trovato argomenti per ribaltare la sua affermazione. Oppure, con questa storia della mafia impoverita e messa ai margini, l'abbiamo fatta sin troppo facile. Forse sarebbe il caso di fare meno trionfalismo ed ammettere onestamente che possiamo solo prudentemente pronunciare la seconda parte del discorso del procuratore. “Il momento è positivo come contrasto alla mafia militare, questo però non ci deve illudere, perché è aumentato di gran lunga il potere di infiltrazione economica. Ci stiamo attrezzando, abbiamo qualche risultato, ma è un mondo nuovo che va affrontato con nuove tecniche e nuovi mezzi”.
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