La Repubblica Palermo
07 luglio 2013 — pagina 17
LE DUE PALERMO DI FRONTE ALLA MAFIA
Francesco Palazzo
A ogni retata, l' ultima nel quartiere di Ballarò, pare che
si scopra un dato nuovo. Che invece è abbastanza vecchio e strutturale
da almeno un secolo e mezzo. Un pezzo ampio di Palermo è ancora ai
piedi dei boss mafiosi. Quanto è ampio questo pezzo di città? O, se
vogliamo, questo pezzo di Sicilia? Temo che in questi ultimi decenni,
ci siamo raccontati la storia di una città, e di una regione, risanate e
finalmente indipendenti. Se non dall'economia criminale, perché in
fondo ogni giorno ci può capitare di fare la spesa o la benzina in
esercizi commerciali legali provenienti da soldi sporchi, almeno dalla
cultura mafiosa. Dopo l'ultima operazione di polizia, dalla Procura
fanno giustamente notare che siamo in presenza di due città. La prima
ancora legata alla mafia e l' altra sempre più rispettosa del vivere
civile. Ma dobbiamo anche ammettere che la prima comunità, quella che
risponde alle coppole storte, è molto più numerosa e forte. Potremmo,
come abbiamo sovente fatto, liquidare questo ampio strato di società
siciliana succube dei boss come preda della subcultura. E magari ci
sarà anche questo. C'è chi però, non necessariamente povero,
culturalmente ed economicamente, per fare quel tal lavoro si rivolge
alla ditta raccomandata, o imposta, dal ras del rione. Poi c' è l'altra città. Quella che si è liberata. Una piccola enclave, a mio
parere, che forse pensa di essere numerosa perché si conta sempre nei
posti sbagliati, e invece è numericamente ancora poco consistente. Ma
la città virtuosa, come esercita questa diversità rispetto al potere
criminale? Forse non chiede più raccomandazioni e favori al potere
politico? Forse utilizza sempre i soldi pubblici in maniera virtuosa,
senza sprechi, mettendo in campo buona politica? E rispetta sempre le
elementari regole del vivere civile? Se cominciassimo a rispondere ci
renderemmo conto, probabilmente, che quell'altra città, contrapposta
alla mafia, è ancora più sottile in qualità e quantità. E, ampia o
stretta che sia, prima o poi dovrà porsi il problema di confrontarsi
con i tanti che ancora sono devoti al padrino di turno. Non si può
certo pensare che queste due città siano irriducibili l'una all' altra
e possano continuare a ignorarsi pur calpestando le stesse strade.
Così non può funzionare. Altro fronte di discussione che esce dalle
ultime vicende è legato alla Chiesa cattolica. Sempre più spesso
vediamo che le processioni rionali ospitano tra le loro file persone
con curriculum penali abbastanza consistenti. La Chiesa lo sa che
accadono queste cose? E se ne è a conoscenza, come è logico che sia,
cosa fa per arginare questo fenomeno, invero abbastanza diffuso e di
lunga durata? Così come si fa con Palermo, si possono ipotizzare due
Chiese. Da una parte quella di don Puglisi, appena beatificato, oppure
quella di Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, che ha vietato i
funerali dei mafiosi condannati in via definitiva. Dall'altra, quella
di chi ancora non è in grado di prendere provvedimenti altrettanto
decisie non vigila, o chiude un occhio, sull' infiltrazione di elementi
poco raccomandabili dentro le espressioni delle religiosità popolare.
Quanto pesano queste due Chiese? Ho l'impressione che la vicenda di
don Pino Puglisi abbia in qualche modo oscurato la tanta strada che
anche la Chiesa cattolica siciliana deve fare su questo fronte.
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