La Repubblica Palermo
17 luglio 2013 — pagina 1
I valori cattolici e i diritti di tutti
Francesco Palazzo
L'omelia pronunciata a Palazzo delle Aquile dal cardinale
Romeo per la ricorrenza della santa patrona pone tre questioni sulle
quali riflettere. In primo luogo, perché si continua a mandare avanti
questa usanza della celebrazione eucaristica dentro il palazzo di
città, che si ripete il primo dell' anno? Fa parte della tradizione, si
obietterà. Ma tutte le tradizioni sono passibili di aggiornamenti. E
se non ci riesce la politica a far passare il minimo sindacale in
quanto a laicità delle pubbliche istituzioni, spero lo capisca la
diocesi. E la sua guida pro tempore si limiti, in futuro, durante la
visita all'amministrazione in occasione del Festino o del Capodanno, a
qualcos'altro che non sia la celebrazione di un rito. Altre
espressioni religiose della città vivono ricorrenze. Non per questo i
rappresentanti del popolo approntano, nel palazzo di tutti, altari o
cose simili. La seconda riflessione si riferisce all'agire che deve
essere osservato nei rapporti istituzionali. Sindaco e assessore alla
Cultura, per mostrare il programma dei festeggiamenti per Rosalia,
vanno al palazzo arcivescovile. Lo fanno in punta di piedi, com' è
corretto che sia. Nessun sindaco, in tale occasione, si è mai messo a
leggere una sorta di omelia politico-religiosa di rivendicazioni verso
la Chiesa di Palermo e di consigli non richiesti dai cattolici su come
vivere meglio il Vangelo. Allo stesso modo gli arcivescovi, una volta
varcata la soglia di Palazzo delle Aquile, non dovrebbero elencare alla
politica memorandum su cui attestarsi per non dispiacere la Chiesa.
Non deve, allora, il cattolicesimo rivolgersi alla politica utilizzando
il proprio linguaggio e il proprio modo di vedere il mondo? Certo che
deve farlo. In libertà e sincerità. Ma, oltre che nei giusti contesti,
ricordandosi, e veniamo al terzo punto, che i rispettabili concetti
sulla vita umana che il cattolicesimo veicola non è detto che debbano
essere gli unici scritti nell'agenda politica. Che, invece, deve farsi
carico di regolamentare una società plurale. Parliamo di democrazia.
Una prassi che ancora la Chiesa non pratica del tutto. Che ha tante
lacune, però sinora è il miglior rimedio per disciplinare la vita
collettiva nel rispetto di tutti. Il presule nell'omelia ha
rimproverato, tra le righe ma in maniera abbastanza esplicita e con
parole forti, il Consiglio comunale di Palermo e la giunta di avere
traviato sui veri valori. Il supporto al Pride e l'avere approvato l'istituzione del registro delle unioni civili non sono andati giù. Che
queste tematiche siano un nervo scoperto lo si capisce dalla reazione,
molto sopra le righe, proveniente da ambienti curiali e poi esplosa in
un florilegio di dichiarazioni, dopo la proiezione di alcune immagini
(gameti di due uomini, di due donne, di un uomo e di una donna e dell'asterisco simbolo del Pride), insieme con altre inneggianti all' amore,
sulla facciata della cattedrale durante i festeggiamenti. Ma allora
cosa dovrebbero pensare i palermitani della circostanza che una delle
musiche di accompagnamento dei giochi pirotecnici al Foro Italico era
tratta da un brano cattolico molto conosciuto, esattamente "Santa
Chiesa di Dio"? Lasciamo da parte gli inutili pretesti usati per
polemiche di poco momento e andiamo all'essenziale. Il punto è che il
tipo di famiglia che il primate di Sicilia difende, e che sente
minacciata dal Pride e dal riconoscimento di semplici diritti a
famiglie che non rientrano nello schema padre-madre-prole, a noi va
benissimo. Non crea nessun problema, né alla giunta comunale che ha
sponsorizzato il Pride, né al Consiglio comunale che ha votato la
delibera sulle unioni civili. Solo che esistono altri segmenti di vita
che non possono essere definiti «confusione» o portatori di «valori
avariati», e la politica che se ne occupa non lascia alle giovani
generazioni «orientamenti socio-culturali viziati». Bisogna farsene una
ragione. E confrontarsi serenamente con una società che non è più a
trazione confessionale, ma che si è da tempo secolarizzata. Non ci
rimetterà la Chiesa e non ci perderanno la politica e il popolo che la
esprime.
Forse sarebbe stato meglio rivolgere queste domande al sindaco, più che alla curia
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