Padre Puglisi “Beato tra i mafiosi”, lunedì 30 l’incontro
“Si può testimoniare di un prete che la Chiesa cattolica proclama ‘beato’
senza cedere alla retorica, alla falsificazione storica, al buonismo
interpretativo?” è la domanda della quarta di copertina di “Beato tra i mafiosi”
che verrà presentato al Feltrinelli Point Messina lunedì 30 settembre alle ore
17,45.
La risposta è che in “Beato fra i mafiosi” (Di Girolamo Editore) i tre
autori ci provano (nella foto sopra una degli autori, Rosaria Cascio,
insieme con Gregorio Porcaro, vice parroco di Puglisi a Brancaccio sino al
giorno della sua morte, nella foto in basso gli altri due autori, da sinistra:
Augusto Cavadi e Francesco Palazzo, ndr).
Francesco Palazzo è stato presidente della Scuola di
formazione etico-politica Giovanni Falcone di Palermo, scrive per Repubblica
Palermo, per il settimanale messinese Centonove e per il quotidiano online
LiveSicilia. Nel libro ricostruisce i tre anni di Don Puglisi a Brancaccio, con
qualche cenno a quanto accaduto dopo e traccia inoltre una storia recente, sino
all’arrivo di Don Pino, della parrocchia di S. Gaetano e del quartiere.
Augusto Cavadi scrive per Repubblica Palermo, è autore di vari
libri sul rapporto fra le chiese cristiane e le mafie, tra i quali “Strappare
una generazione alla mafia, Di Girolamo editore, e “Il Dio dei mafiosi”, San
Paolo edizioni. Cavadi riflette sul significato teologico e filosofico di questo
martirio evidenziando soprattutto come esso costituisca la spia eloquente di una
comunità ecclesiale spesso indifferente. Rosaria Cascio,
insegnante di lettere in un liceo di Palermo, è cresciuta nei gruppi giovanili
di padre Puglisi ed è Presidente dell’Associazione “Padre Giuseppe Puglisi. Sì,
ma verso dove?”. Cascio ricostruisce la metodologia pastorale di Don Pino alla
luce della sua formazione teologica e psicologica e delle diverse esperienze nel
corso della sua generosa esistenza.
Lunedì 30 al Feltrinelli Point i tre autori incontreranno i loro lettori. Con
loro interverranno Nino Mantineo, assessore alle Politiche
Sociali del Comune di Messina e il giornalista di Centonove Michele
Schinella.
L’idea del libro, spiega Francesco Palazzo, “è nata dalla
considerazione che occorresse raccontare in maniera non agiografica alcuni
aspetti di Puglisi e del contesto storico in cui visse i suoi ultimi tre anni a
Brancaccio. Anche mettendo in evidenza, oltre le sue giuste intuizioni, la sua
coerenza, il suo coraggio, anche qualche aspetto più critico del suo operato su
cui discutere serenamente”. Nel libro, ricorda, si ricostruiscono in maniera
approfondita i decenni precedenti dell’arrivo di Puglisi a Brancaccio, perché
“la sua azione a Brancaccio aveva già avuto delle premesse nello stesso senso,
anche se con diversa intensità esistenziale, con altri parroci”. Poi,
scandagliando le precedenti esperienze di Puglisi, viene fuori il suo metodo:
coerenza, ascolto, coinvolgimento nell’azione, studio dell’ambiente,
programmazione. Inoltre, “si avanzano alcune interpretazioni teologiche e
pastorali sul suo impegno a Brancaccio, come ad esempio il suo metodo
genuinamente nonviolento. Infine, dei suoi tre anni a Brancaccio si mette in
evidenza che egli fu ucciso dalla mafia non tanto per la sua azione nei
confronti dei bambini ma per il suo coinvolgimento diretto e costante con un
gruppo di adulti del quartiere che combatteva per diritti e strutture
pubbliche”.
“Nei mesi di stesura del libro – aggiunge Rosaria Cascio – ho capito che in
fin dei conti non stavo solo scrivendo un libro ma provavo a mettere
pace dentro di me dopo il furto affettivo subìto con l’uccisione di padre
Puglisi. Mi sono sentita un fiume in piena. Perchè si uccide un prete?
Cosa poteva aver fatto in soli tre anni? Capirlo, approfondirlo e renderlo
imitabile e riproducibile, questo ho tentato di fare con il libro, scrivendo
quanto avevo appreso in anni e anni di confronto con gli amici e collaboratori
più intimi che lui aveva avuto. Questo libro si pone dentro un processo di
conoscenza che porta fino al cuore del suo modo di abbattere le pareti del
tempio per consentire l’incarnazione del Bene nella storia degli uomini”.
Complessa la scrittura a sei mani? “Si, ma coinvolgente e appagante. Ciascuno ha
dovuto limare e collocare al meglio il proprio contributo”, dicono gli autori.
Ciascuno dei quali ha un aneddoto o un momento topico del periodo della stesura
da raccontare. Compresa la “crisi” al momento di scegliere il titolo. “Il
momento più critico – racconta Augusto Cavadi – è stato quando si decideva il
titolo. C’era il timore che il titolo ‘Beato tra i mafiosi’ potesse essere
inteso ‘Beato fra gli abitanti di Brancaccio’ e che la gente del quartiere
potesse urtarsi per la generalizzazione. Ma il titolo è paradossale, e certo a
Brancaccio la popolazione non è costituita tutta da mafiosi, esattamente come
non lo è la popolazione siciliana. Sono felice che il titolo scelto sia stato
questo. Attira più lettori di quanti si temesse ne potesse respingere”.
E sull’incontro messinese, una conclusione, soprattutto. Per Palazzo
l’auspicio è che “ispiri la voglia di leggere il libro, di fare in modo che si
capisca che la vicenda di padre Puglisi non è un fatto lontano, un fatto
‘palermitano’; e soprattutto che aiuti a capire come può essere diversa
e più incisiva la chiesa locale, messinese”. “Ho imparato – aggiunge Cavadi –
molto dalle parti scritte da Francesco e da Rosaria. Tanti dettagli
della vicenda Puglisi ne fanno un anticipatore dello stile dell’attuale papa
Francesco”. “Sento forte – conclude Cascio –il bisogno di non fermarmi,
vivo questo libro come tappa di un percorso di impegno che mi porterà a
costruire, con tantissimi altri amici, il puglisianesimo”.
Se ... Messina fosse più vicina, verrei volentieri. "Beato tra i mafiosi", libro a 3 mani su 3P, merita di essere letto e diffuso il più possibile.
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