Repubblica Palermo
04 settembre 2013 — pagina 1
Se la candidatura a capitale è un terno giocato al lotto
Francesco Palazzo
Cosa significa per una città candidarsi a capitale europea
della cultura? Offrire alla comunità internazionale quanto si è
realizzato nel medio-lungo periodo, oppure tentare una specie di
puntata al lotto sperando di azzeccare i numeri giusti? Il termine cultura riguarda tutto il vivere quotidiano.
Non è il grande evento o il racconto di mutamenti posti nel domani. È
un mostrare quello che si è, oggi, in quanto singoli e come comunità.
Forse è utile paragonare Trieste e Palermo, adagiate sul mare e
capitali di regioni autonomistiche. A pochi passi dall'elegante piazza
centrale del capoluogo friulano, dove non c' è ombra di mezzi pubblici
o privati, vi sono dei gradini che portano dentro il porto. A Palermo,
il porto ti respinge. Trieste, che stava per presentare anch'essa la
candidatura a capitale della cultura 2019, è piena di insenature che
ospitano imbarcazioni da diporto. Pure sotto il Castello di Miramare,
simbolo dei triestini e a ridosso del centro storico. Qui abbiamo
paura. Sul porticciolo di Sant'Erasmo c'è un'eterna battaglia.
Niente attracchi turistici, snaturerebbero il luogo. Che sta morendo
tra i rifiuti, invaso dalle auto, oscurato da due pompe di benzina e da
gente che arrostisce carne e pesce. Trieste e Palermo si somigliano
anche per l'estensione dei centri storici. Quello triestino è un
delizioso e solido susseguirsi di aree pedonali. A Palermo, le isole
pedonali, o falliscono una dietro l'altra o non si sa bene cosa siano,
più stati d'animo che frutto di pianificazione. Tutti i palazzi del
centro sono curati, a Palermo, basta guardarne alcuni in zone
centralissime, che viene da piangere. Impietoso il confronto tra i
mezzi di trasporto. L'Amat fornisce un servizio sempre più carente. A
Trieste vengono indicati, e rispettati, in centro e in periferia, gli
orari in cui passeranno i bus. Che hanno una frequenza lontana anni
luce dalle nostre eterne attese alle fermate. Non parliamo dell'accoglienza turistica. Nella città di Svevo puoi comprare, anche
online, una card a prezzi contenuti e usufruire di circa novanta
offerte in tutta la regione. In un posto così, rivedi qualche
provinciale convinzione. A Trieste, che non ha il clima di Palermo, non
c'è un gazebo. Solo ombrelloni e qualche sottofondo musicale sino ad
un certo orario. E i locali non chiudono, ma sono pieni. Una delle cose
che ti comunicano certe città è il gusto della pulizia. Aiuole
spartitraffico profumate e ricche di vegetazione dappertutto. Non si
vedono sacchetti d'immondizia. Lì i musei sono ben tenuti e sempre
aperti non perché pienissimi, ma in quanto l'investimento culturale
viene curato a 360 gradi. Ciò che non guadagno dal museo torna indietro
in termini di ricchezza. E nessuno che cerca di fregarti. In albergo
un distributore erogava bevande a prezzi modici. In un ospedale
palermitano una lattina l'ho pagata quasi il doppio. Non devi
mendicare gli scontrini fiscali, come sovente a Palermo. Non vedi, del
resto, il professionista pagare ottanta euro dal pescivendolo e
andarsene allegro senza ricevuta. Di posteggiatori abusivi neanche l'ombra. Non esiste il concetto di abusivismo. Neppure nella scelta dei
colori esterni delle abitazioni. Che presentano un cromatismo simile. A
Palermo ognuno realizza il proprio pezzo di mondo a sua immagine. Il
confronto potrebbe proseguire. Ma è meglio fermarsi. A Trieste,
chiunque sia al governo, lo sanno veramente fare da sempre. Tutti i
giorni. A Palermo ci vogliono quasi due anni per arruolare degli
ascensoristi per i sovrappassi di Viale Regione e ancora di più per
approvare il mitico e ancora assente piano urbano del traffico. Una
città può essere un punto di riferimento culturale se fonda la propria
vita su decennali e costanti pratiche di buona amministrazione. Senza
politiche virtuose di lunga durata, che devono vedere in campo sia gli
amministratori che gli amministrati, non si è capitali di nulla.
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