domenica 13 ottobre 2013

Il Beato Pino Puglisi e la religiosità popolare.

Repubblica Palermo
Sabato 12 Ottobre 2013
Pag. XII

Se portassimo in processione don Puglisi

Francesco Palazzo
 
Avere un beato nuovo di zecca e portare in giro il simulacro del solito santo. Ho pensato questo quando, recentemente, ho visto a Brancaccio la statua di S. Gaetano. Sbucata dalla chiesa dove visse l'ultima parte della sua vita don Puglisi. Magari, come testimoniano coloro che lo hanno conosciuto, don Pino era allergico a processioni e reliquie. Adesso pare che la curia palermitana stia facendo circolare tra le parrocchie proprio una reliquia del novello beato. Eppure, non sono così sicuro che un segno corporeo del martire antimafia che giri tra le famiglie possa avere lo stesso effetto di quello rappresentante, con tutto il rispetto, Padre Pio. Sino a quando sono San Gaetano, Santa Rita, Cosma e Damiano, madonne piangenti, cristi morti e via elencando, a essere condotti in processione, si tratta di storie e biografie così slegate dalla contemporaneità, da essere commestibili per qualsiasi versione del credo cattolico. Anche per quella dei mafiosi. Che infatti, ancora oggi, come ci conferma una delle ultime operazioni di polizia in uno storico quartiere palermitano, non disdegnano d'infilarsi nelle confraternite per confermare il possesso del territorio pure in tali occasioni. Si correrebbe lo stesso pericolo se fosse la statua di Padre Puglisi a girare per le vie del quartiere dove è stato ucciso, per le strade dei rioni palermitani e in altri contesti della nostra regione? La caratteristica peculiare di 3P è stata quella di incarnare una chiesa dalla quale la criminalità mafiosa si mantenne ben distante. Perché la comunità cristiana, attraverso quel piccolo prete, mostrava un volto irriconoscibile ai componenti del consorzio criminale. Sino a spingerli a farla finita una volta per tutte. Molto si è detto e scritto sulla scomunica da comminare a coloro che sono condannati per reati di mafia. Ma resta il fatto che gli stessi mafiosi, siano o meno messi all'indice formalmente o a parole, continuano a chiedere sacramenti e sentirsi a loro agio dentro le mura ecclesiastiche. Sino a quando, però, qualcuno, e sinora se ne contano pochi, non mette in campo un certo tipo di chiesa dalla quale gli stessi mafiosi si tengono lontani. Se così è, non sono tanto convinto che portare in giro la statua di Puglisi, o una sua reliquia, ne depotenzi il messaggio profetico e lo riduca a innocuo santino, come molti temono. Perché c'è devozionismo e devozionismo. E' possibile immaginare le congregazioni che portassero avanti il culto del prete ucciso per mano mafiosa il 15 settembre 1993, infestate dagli appartenenti a cosa nostra? Perché una cosa è reggere sulle spalle, come succede ad esempio a Catania, il fercolo di Sant'Agata (ma la stessa cosa si potrebbe dire per Santa Rosalia a Palermo), cioè la rappresentazione scultorea di una persona nata quasi mille e ottocento anni addietro, che non interessa e non coinvolge più di tanto la vita delle persone, tranne i giorni in cui si festeggia. Un'altra è fare camminare l'effige di un contemporaneo santificato contro i meccanismi perversi e violenti della mafia. Poi è così vero che Puglisi nutrisse antipatia verso questa forma di religiosità che nasce dal basso? Voleva soltanto, e ci provò sia a Godrano che a Brancaccio con la confraternita legata al nome di San Gaetano, riempirla di autentici percorsi di fede e di spiritualità. Per dirla tutta, più pernicioso del pericolo che Puglisi venga ridotto a santino, scorgo quello che sia il santo di una piccola minoranza che si restringerà sempre più con il passare del tempo. Tanto che, parlando di don Puglisi a Catania o a Messina, ho appurato che della sua vicenda si ha una conoscenza molto limitata già nella stessa terra di Sicilia. Mentre, invece, anche celebrandolo all'interno della religiosità popolare, con tutto quello che ha voluto dire la sua vita e il modo come è morto, lo si farebbe entrare veramente nel vivo della comunità cattolica siciliana.

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