LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 04 LUGLIO 2012
Pagina I
Se assessori e consiglieri pagassero il
biglietto
Francesco Palazzo
Quando si vuole apportare
una piccola modifica nella vita amministrativa di una città,
mettendo in discussione prassi consolidate - che a latitudini diverse
si chiamano semplicemente malcostumi - ecco che si alzano alcuni,
magari tra quelli che hanno usufruito di prebende che assomigliano a
pratiche feudali, i quali ci fanno sapere che non è così che si
risolvono i problemi di una comunità. Che ben altro occorre per
uscire dal tunnel. C’è chi lo afferma apertamente e c'è chi lo
bisbiglia, ed è una reazione istintiva di autoconservazione crediamo
abbastanza trasversale agli schieramenti politici. Nel caso in
questione, ci riferiamo alla proposta avanzata dal segretario
provinciale di Italia dei Valori, Pippo Russo, di non fornire più
biglietti gratuiti ai consiglieri comunali per l'accesso allo stadio
e ai teatri Massimo e Biondo. Ci sembrerebbe un provvedimento di
semplice convivenza civile. Se i nostri cinquanta consiglieri
neoeletti amano il calcio, la prosa e la lirica, guadagnano
abbastanza, e certamente più di tanti che pagano ogni anno centinaia
di euro in abbonamenti, per mettere mano ai portafogli e soddisfare
le proprie inclinazioni sportive e culturali.Ci rendiamo conto che da
noi certi cambiamenti si tingono di aspetti rivoluzionari, mentre
altrove ci sono ministri che vanno in bicicletta. Come accade in
Danimarca. E non solo. Tutti abbiamo avuto modo di vedere sul web la
foto del sindaco di Londra, che non è esattamente un piccolo
paesino, recarsi in bicicletta al lavoro di primo cittadino. Così
come abbiamo ammirato il sindaco di New York, un'altra città non
proprio periferica, che viaggia in metropolitana. Sono piccoli grandi
gesti di civiltà che valgono più di mille discorsi. E, qualcosa, ma
siamo solo all'inizio, sta già accadendo pure da noi. Infatti, ci
sembra che parta con il piede giusto il nuovo assessore alla mobilità
nell'annunciare che non saranno più concessi agli inquilini di
Palazzo delle Aquile e agli assessori permessi per posteggiare
ovunque e scorrazzare nelle corsie riservate ai mezzi pubblici, a
quelli di emergenza o ai portatori di handicap (quelli veri,
ovviamente, non taroccati).Certamente ricorderete, come si fa a
dimenticarle, le feroci polemiche nelle due passate legislature
palermitane ogni qual volta si voleva limitare il diritto degli
eletti di fare per strada ciò che a un normale cittadino non è
permesso. Pure il parcheggio sotto il palazzo di città volevano. La
scusa era che per espletare il mandato non potevano perdere tempo nel
traffico. Vivevano quasi come un'offesa la sola idea di doversi
cercare un posto per la propria auto, come fanno tutti i comuni
mortali. Ora la diatriba si riaccende più infuocata di prima.
Vedremo se si saprà passare stabilmente dalle parole ai fatti. Se è
possibile azzerando, se ve ne fossero ancora, altre piccole sacche di
incomprensibile arroganza di chi è mandato nelle istituzioni per
servire la città e non per incanalare la propria vita in una
dimensione che poco ha di servizio e molto somiglia alla ricerca di
benefici vari. Da estendere, perché no, al folto esercito
clientelare che pressa. Per il quale, anche il tagliando per un
concerto di serie B, è un segno tangibile che il pezzo grosso ti è
vicino e che hai fatto dunque bene a votarlo. Insomma, saremmo molto
contenti nel vedere i consiglieri comunali acquistare i biglietti per
il teatro, scorgerli negli autobus che parlano con le persone,
attendendo come tutti alle fermate. O che, se decidono di ricorrere
sistematicamente ai mezzi privati non abbiano nessun vantaggio sul
resto dei palermitani. Stesso discorso vale per gli assessori e per
il sindaco, compatibilmente con i meccanismi di sicurezza di cui
taluno dispone. Sono cose che non serviranno, da sole, a salvare
Palermo. Ma almeno ci aiuteranno, oltre che a stimolare in altri enti
locali e nella stessa amministrazione regionale uno spirito di
emulazione, a non scavare di qualche altro centimetro al giorno la
fossa del baratro civile sul quale siamo seduti da troppo tempo.
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