mercoledì 14 ottobre 2015

Palermo: la politica dei cinque minuti pagati a peso d'oro.

Repubblica Palermo
13/10/2015 - Pag. I
La politica lontana dei gettoni d'oro
Francesco Palazzo

Centocinquantasei euro per cinque minuti per i consiglieri comunali più pagati d’Italia. Fanno trentuno euro e venti centesimi al minuto, cinquantadue centesimi al secondo. Al mese arriviamo all’iperbolica cifra di 1 milione trecentonovantaduemila settecentosessantotto euro. All’anno siamo a quasi sedici volte di quanto prende a stagione l’attaccante di punta del Palermo. Sono queste le quote d’ingaggio per gli abitanti di Palazzo delle Aquile affinché una loro, seppur fuggevole, presenza in commissione sia pagata per intero.  In nessuna attività lavorativa, pubblica o privata, è permesso un simile stato di cose. Ce li vedete un banconista di un bar, una commessa, un operatore di un call center, un operaio edile, un impiegato di banca, e non proseguiamo l’elenco perché sarebbe interminabile, che si assentano giornalmente dopo pochi minuti per poi pretendere l’intero ammontare delle giornate lavorative? Sarebbero licenziati, a ragione e con fondati motivi riconosciuti dalla legge, nel giro di niente. Quando si parla, a volte qualunquisticamente, ma spesso con fondati motivi, della distanza che c’è tra la politica e la vita normale delle persone, s’intende esattamente questo baratro, questa incolmabile distanza tra gli abitanti delle assemblee elettive e i normali cittadini. Come si può pretendere dai componenti di una comunità il rispetto delle regole se poi alle latitudini istituzionali valgono prassi, incredibilmente consentite dalla legge, che fanno a pugni con qualsiasi concetto di produttività? Senza contare che vi sono casi in cui l’elezione a uno scranno comunale coincide, ancora più assurdamente, con il miracoloso materializzarsi di un posto di lavoro super retribuito, dove il lauto stipendio viene posto a carico delle amministrazioni pubbliche, ossia grava sulle tasche di tutti noi. Ci troviamo, così, a pagare due volte una politica la cui efficienza, in molti casi, è tutta da dimostrare. Oltre il danno, la beffa. Non solo paghiamo i cinque minuti a peso di diamante, ma dobbiamo pure farci carico di attività lavorative che devono essere rimborsate alle aziende di appartenenza dei sin troppo fortunati eletti dal popolo. E’ difficile, così stando le cose, non dare fiato alle trombe del disinteresse dei componenti di una comunità verso ciò che appartiene a tutti. Perché, potrebbe dire un palermitano, io che mi sudo sino alla fine il mio magro stipendio, dovrei interessarmi del benessere collettivo se c’è chi guadagna più di centro cinquanta euro per cinque minuti di “lavoro”? Volete dargli torto? Ma è proprio impossibile immaginare che un consigliere comunale di una città come Palermo abbia soltanto un mensile (bastano due mila euro? Sono molto di più di quanto prende un insegnante a fine carriera, il quale non se ne può uscire allegramente dalla classe dopo cinque minuti piantando in asso lezione e alunni) per tutta l’attività che pone in essere sia in aula che nelle commissioni in cui è impegnato? Credo che sia più che possibile e chi può dovrebbe porre in essere delle modifiche normative, in modo che non vi sia quest’oceano di differenze tra chi vive di politica e i comuni mortali. E’ possibile che se faccio il consigliere comunale di una grande città possa prendere solo quanto mi spetta senza che la mia azienda, che magari mi assume miracolosamente un minuto dopo la mia elezione, abbia un solo centesimo? I costi della politica sono davvero un buco nero. Dentro il quale è possibile trovare una buona parte di quello che occorre per sanare i conti.  Basta puntare lo sguardo sulle più di cinquemila società partecipate in mano agli enti locali. Secondo la Corte dei Conti pesano in Italia per 26 miliardi. Realtà che talvolta paghiamo due volte, nel loro normale funzionamento e quando, in crisi, devono essere rimboccate dal pubblico con ulteriori finanziamenti. Ma questo è un tema più complesso. Nell’immediato ci si potrebbe accontentare di superare la filosofia dei “cinque minuti”, ricostruendo un rapporto di parità tra la politica del palazzo e la vita di tutti gli altri. Che giornalmente scorre su altri binari. 

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