Francesco Palazzo
Forse la sintesi di un delegato della provincia che usciva dall'Assemblea Regionale de PD, svoltasi ieri, può dire bene quello che è successo. “Eravamo venuti per bastonare e siamo stati bastonatì”. E non si riferiva tanto alla lite vera e propria, quasi sfiorata all'inizio della discussione, per il voto che si voleva vietare a due deputati regionali. Ma proprio al fatto che molti delegati erano venuti convinti di votare la sfiducia a Lupo, e invece se ne sono andati abbastanza delusi. Il segretario, entrato nell'assise come un vaso di coccio tra vasi di ferro, ne esce molto rafforzato. Insomma, l'ex cislino l'ha svangata. Sarà pure un compromesso al ribasso, ma in un partito allo sbando, è probabilmente l'esponente che riesce ad avere un minimo di lucidità in più di tutta la truppa. Sì, ci sarà l'ufficio politico che lo coadiuverà, ma è appena un dettaglio concesso a chi già aveva evidentemente tirato i remi in barca sin dalla mattina. Giuseppe Lupo ha evitato, da un lato, la votazione della mozione contro, che a quanto pare alla fine aveva pochi numeri a favore (“Quattro amici al bar”, secondo Crisafulli), dall'altro il commissariamento di Roma. Che, peraltro, a sentire l'uomo mandato da Bersani a Palermo, è stato prospettato senza molta convinzione, sperando di tenersi fuori dalla palude siciliana. Il risultato alla fine è che ne esce fuori un partito “malato e spaccato, sfasciato in tutta la Sicilia”, come afferma più d'uno. I democratici si proiettano adesso verso le elezioni regionali, ma ci arrivano davvero in condizioni disperate e confuse. “Neanche Foderà ci può”, sentenzia un delegato catanese, ricordando un grande luminare che aveva fama di risolvere anche i casi impossibili. L'impressione, in effetti, è che il PD, si è impegnato sino allo spasimo a sfaldare il centrodestra alla regione, ma levando, uno dopo l'altro, i pilastri che tenevano in piedi quella granitica struttura di potere, si è dimenticato di uscirne un attimo prima che tutto gli cascasse rovinosamente addosso. A livello nazionale è accaduto qualcosa di diverso. Lì il PD ha contribuito a mandare a casa Berlusconi, ma a perderci è stato soltanto il PDL, mentre i democratici sono stati l'unico partito a tenere nella recente tornata amministrativa. Allo stato dell'arte, quindi, il partito siciliano rischia di essere nuovamente, soprattutto se si proietta il ragionamento sulle politiche del prossimo anno, il punto debole della catena, il luogo che, ancora una volta, potrebbe portare meno consensi alla causa del centrosinistra, più o meno allargato. Intanto, c'è la montagna delle regionali. Si ripete il copione palermitano. Quello che doveva essere il vincitore annunziato della tornata elettorale, a 150 giorni dalle urne, non sa cosa fare e, soprattutto, con chi. Tanto che uno degli intervenuti alla direzione regionale si chiede “se il PD è la soluzione dei problemi della Sicilia, o se, oggi, è esso stesso il problema”. C'è ancora in circolo, e non potrebbe essere altrimenti, tutta l'adrenalina della campagna elettorale appena conclusasi. Soprattutto il risultato palermitano condiziona gran parte delle reazioni. La botta è stata forte. Non soltanto per la bassa percentuale, ma per i tanti che non ce l'hanno fatta a strappare il biglietto per Sala delle Lapidi. In un partito senza orientamento, i destini dei singoli contano più di quelli dell'insieme. Ora alcuni sodalizi si sfalderanno e molti cercheranno di trovare altri posizionamenti. E anche di questo si è avvantaggiato Giuseppe Lupo. Ma lo stato di malessere di questo partito in Sicilia, è solo in parte spiegabile con quello che è accaduto nel capoluogo e in altri centri più o meno piccoli dell'isola. Nell'ultima domenica di maggio la sensazione è quella di un partito sfiduciato, composto da tante squadre che seguono ognuna il proprio capitano, che però cambia idea da un momento all'altro. Lasciando disorientate le retrovie. Che seguono la linea, ma sempre con maggiore sofferenza e stupore. Insomma, questa legislatura regionale finisce come era iniziata per il PD. Era diventato un partito di lotta e di governo. Ora non ci sono più né l'una né l'altro. I bersaniani mollano la sponda del governo regionale e non vedono l'altra riva. “Siamo rimasti con il cerino acceso in mano”, sentenzia un onorevole dell'ARS. Ma, soprattutto, i democratici siciliani sembrano ormai all'opposizione di se stessi. E non è una buona notizia per la Sicilia che va alle urne.
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