mercoledì 14 marzo 2007

Il rito elettorale del codice antimafia

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ, 14 FEBBRAIO 2007
Pagina I
L´ANALISI
Il rito elettorale del codice antimafia

FRANCESCO PALAZZO

In vista di ogni tornata elettorale c´è una tappa obbligata nella quale soffermarsi, una sorta di stazione di transito dove la coscienza politica scende un attimo per «rinfrescarsi» se non le idee almeno l´anima, per poi ripartire come se nulla fosse. Le amministrative di primavera si prestano bene a quello che già si preannuncia come il solito coro trasversale allo schieramento politico. E siccome è un dovere quasi istituzionale, ascoltiamo l´ennesimo appello - ieri lo ha lanciato il senatore Carlo Vizzini di Forza Italia - sul codice etico di autoregolamentazione che i partiti dovrebbero darsi. Per evitare che nelle liste dei candidati finiscano personaggi che hanno legami con il potere mafioso o siano, come più spesso accade negli ultimi anni, direttamente espressione delle cosche. Sappiamo che il problema più da vicino riguarda le regioni meridionali, ma fermiamoci alla nostra regione. Ricordando intanto che a quasi un anno dall´inizio della nuova legislatura l´Assemblea regionale non ha avuto il tempo e la voglia di istituire la commissione regionale Antimafia. Si dice che per com´era strutturata e quello che è stata capace di fare non servisse a niente. E siccome il nulla è amico del niente, ecco che i partiti del centrosinistra, invece di farne una battaglia parlamentare e sociale, ne chiedono addirittura la soppressione. Così siamo tutti più contenti. Il centrodestra siciliano, dopo qualche dichiarazione d´obbligo, ha finito per non parlarne più e la cosa sembra per il momento archiviata. Diciamo che la strada gli è venuta in discesa. In tale contesto parlare in Sicilia di una procedura di autoregolamentazione antimafia per le elezioni prossime appare veramente un´esagerazione. Entrando poi nel merito della questione, non si capisce bene cosa dovrebbe esserci scritto in questo benedetto codice per mutare il corso delle cose. Scartiamo l´ipotesi più immediata, cioè quella di non candidare soggetti sorpresi armi in pugno a commettere omicidi o persone colte mentre incassano il pizzo dai commercianti e dagli imprenditori. Per queste fattispecie di reati c´è già il codice penale. Forse ai partiti potrebbe bastare che una persona, a cui è stato notificato un avviso di garanzia per mafia, possa fermarsi un giro? Certamente no, in questo caso i garantisti imbraccerebbero la scimitarra della civiltà del diritto e si opporrebbero al codice. Allora si può prendere, così, per puro dileggio dialettico, in considerazione l´opportunità di non mettere in lista gente che è stata rinviata a giudizio per mafia, cioè soggetti la cui posizione è comunque già passata a un primo giudizio della magistratura. Ma come si fa, pensiamo noi, a ragionare intorno a un simile scenario e poi difendere durante i comizi proprio gli stessi politici sotto processo? Anche questa opzione non è molto percorribile. Restano i condannati per mafia. Qui forse potrebbe essere più semplice. Vediamo, però, che essi vengono regolarmente candidati ed eletti. E notiamo anche che si ritiene ammissibile frequentare riunioni politiche pubbliche con i suddetti condannati ad arringare i possibili elettori. È accaduto a Palermo alle ultime elezioni politiche. Non è un reato, ma se un parlamentare non ritiene di disertare autonomamente luoghi del genere o se ci va e si astiene dal denunciare pubblicamente l´ingombrante presenza, quale codice potrà mai prescrivergli di fare il contrario? Del resto, anche le stesse sentenze definitive, passate cioè dalla Cassazione, si prestano a interpretazioni le più benevoli per chi fa finta di non capire e sentire. Quale codice politico potrà mai essere più cogente di una sentenza della massima Corte? I lettori, a questo punto, potranno rimproverarci di aver fatto solo riferimento a questioni giudiziarie. A nostra parziale giustificazione possiamo dire che i partiti, gli uomini e le donne che li compongono, se ne infischiano di inutili codici politici scritti sulla sabbia. Altrimenti la storia della Sicilia, che dall´Unità a oggi ha visto frequentemente la commistione del potere istituzionale con quello mafioso, potrebbe bastare più di qualsiasi norma. E se non bastasse la storia, forse il sangue versato per le strade della nostra regione potrebbe segnare un utile punto di riferimento. Ma se dopo tutto ciò si possono ancora, nel 2007, rivendicare e far passare per buone frequentazioni più che ambigue e accettabili fatti politicamente gravissimi e più che concreti, quale codice può modificare l´esistente? Allora è meglio non perdere tempo ulteriore, ognuno candidi chi vuole, perché questo poi è quello che avviene. Lo sappiamo e lo vediamo. Sarà il corpo elettorale poi a decidere. Se la maggioranza dei siciliani e delle siciliane un giorno deciderà di votare chi si oppone veramente alla mafia, vorrà dire che la politica e la società saranno riusciti a cambiare qualcosa. Senza codici di carta approntati qualche minuto prima che si aprano i seggi e poi cestinati. E soprattutto senza ipocrisie.

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