martedì 2 luglio 2019

La paura del governo e la protesta come unico orizzonte del riformismo debole.


La Repubblica Palermo
2 luglio2019
Lo spauracchio riformista
Francesco Palazzo

Bisognerebbe capire perché, non dico tutti ma quasi, coloro che andranno oggi in piazza a Palermo sui fatti di Lampedusa, hanno mitragliato un governo, quello guidato da Renzi, che sull’immigrazione ha assunto posizioni più a sinistra di Papa Francesco. Mi chiedevo la stessa cosa, pensando ai diritti civili, l’altro giorno al Pride palermitano. Nella stragrande maggioranza composto da persone che hanno indicato come il nemico pubblico numero uno colui che con le unioni civili ha fatto come nessuno mai in Italia nella storia repubblicana. E questo è ciò che riguarda il modo come viene trattato dall’esterno, anche al di là dei risultati su tematiche importanti, il maggiore partito riformista italiano. Ma c’è pure la battaglia interna. Limitandoci alla Sicilia, prendiamo atto che a fronte di un segretario regionale che sta promuovendo diverse azioni politiche, l’ultima sulla Sea Watch, c’è nel partito chi non perde giorno e occasione per sparare sul proprio quartiere generale. In generale, ci si scorda che la realtà si può cambiare con le politiche che poni in essere, soprattutto, se non esclusivamente, quando governi i processi. Altrimenti si fa testimonianza in piazza. E forse molti che hanno paura quando si governa, con tutte le contraddizioni e le asperità che ciò comporta, vogliono fare solo questo. Senza spostare un solo granello di sabbia elettorale a proprio favore. Ma non si può stare sullo scenario politico italiano, con la forza che ci vuole, se azzoppi in 20 anni tre governi riformisti. Pure con gli esecutivi Prodi 1 e 2, prima si fecero cadere e poi si andò tra le strade impauriti. Il centrosinistra dovrebbe superare questa fase adolescenziale. Magari mettendosi in mano, capendolo, qualche buon libro di storia italiana contemporanea. Ma temo che non lo farà. Nemmeno gli esempi e la memoria di chi va via lo smuovono. La scomparsa di Simona Mafai, ad esempio, fa venire meno un punto di riferimento, attuale, non situato nel passato, della vita politica di ciò che possiamo definire, con termine ormai forse poco significante, la sinistra palermitana. Che, dal punto di vista partitico identifica le formazioni che sono state il punto di riferimento degli ultimi anni dell’ex senatrice, pur da non iscritta. Solo che quei partiti, il PD e ciò che c’è alla sua sinistra in Sicilia, non costituiscono più da tempo una sintesi politica e umana. «Mi manca molto quella comunità», mi diceva a Villa Niscemi, durante il funerale, un consigliere comunale dei tempi in cui, negli anni ottanta, la fondatrice di Mezzocielo era capogruppo dei comunisti a Sala delle Lapidi. Il centrosinistra palermitano, ancor più quello siciliano, sfilacciato e in continua guerra fratricida, non ha, nel momento in cui altri si organizzano, nessun progetto per l’isola e il suo capoluogo. Ecco, mentre vanno via delle figure importanti, quella che rimane è la plastica assenza di una comunità politica che viene da un passato solido ma che non ha un presente. La lezione di Simona Mafai è quella di un coraggioso e moderno riformismo che guarda alle tante ragioni di un percorso comune tra simili, agganciato a saldissime radici non nostalgiche ma con ancoraggi nell’oggi. L’ultima sua significativa esperienza è il movimento Prendiamo la parola. Promosso da donne con diverse iniziative, l’ultima per le recenti europee. Dovrebbe riprendere parola il centrosinistra, a cominciare dalla Sicilia, e provare ad essere nuovamente una comunità riformista. A maggior ragione in un momento di risorgente bipolarismo. Ma non sembra vi siano i presupposti affinché ciò possa accadere nel tempo presente e nel futuro più vicino. Ciascuno sta nel proprio fortino a difendere quel poco, in certi casi quasi nulla, che rimane. Ma la vita non smette mai di sorprenderci e dunque vedremo.


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