La Repubblica Palermo – 21 luglio 2019
Ma è giusto che l’antimafia esca dai
recinti
Francesco Palazzo
Il 19 luglio, nel chiostro della questura,
si è svolto un dibattito ricordando la strage di via D’Amelio. Il tema era il
contrasto ai mafiosi e la sensibilizzazione delle nuove generazioni al rispetto
di regole e istituzioni. C’erano volti conosciuti. Gero Riggio, Sasà Salvaggio,
Gigi D’Alessio e Beppe Fiorello, intervenuto con un video. Le polemiche non si
sono fatte attendere. Gonfiate dai social network, luogo in cui ogni testa è
più che un tribunale e dove le reazioni seguono la corrente e lisciano il gatto
per il verso del pelo. Cosa c’entra questo o quel personaggio con la memoria di
una strage di mafia? L’arena di facebook ha fatto pollice verso. Non così i
giovani presenti anche per il big della canzone. Che non sarebbero andati
magari ad un convegno dove spesso le stesse persone parlano alle medesime
facce, o ad appuntamenti sul filo dell’ortodossia antimafiosa. Non capisco
francamente dove stia il problema. Perché non utilizzare, anche, canali
comunicativi più immediati e coinvolgenti? Le reazioni di chiusura mi sembrano
il segno, uno dei tanti, forse troppi a questo punto, di un’antimafia che non
sa fare un passo in più rispetto allo stretto recinto del già visto e detto. Un’antimafia
che si riduce ad un piccolo orto coltivato da sacerdoti, con il crocifisso e il
vangelo della verità branditi come sciabole, che sembrano dire: « Noi sappiamo
tutto da sempre e per sempre e voi non rappresentate nulla » . Verrebbe da
rispondere a questi atteggiamenti con Francesco (non il papa ma Guccini). Nella
canzone Libera nos domine mette in guardia dai fondamentalismi. Dei
quali, chi non ha peccato scagli la prima pietra, qualche volta c’innamoriamo.
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