CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 42 del 5/11/2010
Pag. 40
Pastorale di frontiera cercasi
Francesco Palazzo
Che la chiesa cattolica in Sicilia lanci anatemi contro la mafia, è certamente un fatto positivo. L'hanno fatto i vescovi nella sessione autunnale della conferenza episcopale siciliana, conclusasi il 27 ottobre. Il punto di domanda è capire se si riesce, finalmente, a fare qualche passo in avanti rispetto a quella che rimane soltanto una, peraltro datata, petizione di principio. Per dirla tutta, affermare, oggi, che la mafia è antievangelica è come sfondare una porta aperta. Anzi, un portone. E non tanto e non solo per noi, ma per gli stessi vescovi. Dal sito http://www.chiesedisicilia.org/, nella sezione dedicata alla CESI, appunto la conferenza episcopale siciliana, rintracciamo un importante documento, firmato da tutti i vescovi di Sicilia e rivolto a laici, sacerdoti, diaconi e religiosi, datato pasqua 1994. Il titolo è “Nuova evangelizzazione e pastorale – Orientamenti pastorali per le chiese di Sicilia”. Si tratta di sedici pagine molto interessanti, contenenti una parte titolata “Mafia, mentalità e comportamenti mafiosi”. Ebbene, in tale documento, sulla mafia viene “ribadita la denuncia, altre volte espressa, circa la sua assoluta incompatibilità con il vangelo”. Le stesse parole che ascoltiamo oggi. Anzi, si dice di più. “La mafia appartiene, senza possibilità di eccezione, al regno del peccato, e fa dei suoi operatori altrettanti operai del maligno”. Più chiaro di così non si può. Eravamo a pochi mesi dell'uccisione di Pino Puglisi e a quasi un anno dal grido di Giovanni Paolo II ad Agrigento. Il bisturi viene infilato ancora in profondità, denunciando la strumentalità della devozione di taluni soggetti, sottolineando che richiedere o cercare qualsiasi intermediazione tramite ambienti mafiosi, rientra nella fattispecie della collusione. Contro tutto ciò la chiesa, nel 1994, oppone la forza del vangelo che è sì “rivolta alla persuasione, alla promozione e alla conversione delle persone, ma è nello stesso tempo intransigente nel non autorizzare sconti o ingenue transazioni per ciò che concerne li male, chiunque sia a commetterlo o a trarne profitto”. Pure in questo caso parole tombali. Il paragrafo si conclude con il riferimento a Pino Puglisi e alla necessità di una pastorale di frontiera. Che però, ecco il punto, non c'è mai stata. Dopo sedici anni da allora ascoltiamo la stessa reprimenda contro il potere mafioso, l'uguale avvertimento ai mafiosi a non utilizzare simboli sacri, l'identico appello a combattere non soltanto l'esercito di cosa nostra, ma anche il clientelismo e la cultura mafiogena. Allora, a volere essere obiettivi, dobbiamo dire che la presa di posizione odierna della conferenza dei vescovi siciliani non è una notizia, anche se ha conquistato le prime pagine. Il neocardinale Paolo Romeo ha annunciato che sono in cantiere diverse iniziative che dovrebbero muoversi sul solco dei messaggi contro la criminalità organizzata lasciati in terra di Sicilia dagli ultimi due papi. Vedremo di che portata saranno. Ma possibile che, dal 1994 ad oggi, per non dire da prima, non si sia messo in cantiere nulla di cui oggi si possa fare un bilancio? L'argomento, come è a tutti evidente, non è di stretta pertinenza clericale o confessionale. Se davvero la chiesa cattolica scegliesse di scendere in campo contro Cosa nostra, andando oltre le dichiarazioni d'intenti, darebbe un contributo notevolissimo e, forse, decisivo. Proprio per questo non si può sempre ripetere, senza mai passare alle azioni conseguenti, il monito antievangelico contro i mafiosi e farlo passare continuamente come una novità. Cosa che è avvenuta tante volte. Basta ripercorrere lo spazio temporale che va dalla storica omelia del 1982 di Pappalardo, su Sagunto/Palermo espugnata, alla pronuncia dei vescovi di questi giorni. Sulle parole, dunque, ci siamo. Bisogna, una volta per tutte, cominciare ad andare oltre. Restiamo, pertanto, in attesa di queste annunciate iniziative concrete. Sperando di non ritrovarci, tra qualche anno, a risentire il successivo anatema, sempre più roboante, di avversione alle cosche. Se davvero si vuole che santini e bibbie siano visti come avversari dai devoti che fanno parte dell'esercito di Cosa nostra, dalla cattolicissima classe dirigente che si nutre copiosamente a quella fonte, dal popolo credente delle borgate che tuttora riserva ai singoli mafiosi coperture materiali e ideologiche, si deve sfogliare il primo capitolo, e poi gli altri successivi, di un libro del quale, sino a ora, non possiamo che condividere solo il titolo e l'introduzione.
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