sabato 13 aprile 2013

Associazioni antimafia: una casa comune per contare.

LA REPUBBLICA-PALERMO
12/4/2013 - PAG. I
Anche l'antimafia è rimasta senza casa
Francesco Palazzo
 
Il progetto di una casa comune delle associazioni antimafia palermitane esiste da tempo. Durante le due legislature degli anni novanta dell'attuale sindaco, si arrivò anche a trovare un luogo. Se ricordiamo bene il cosiddetto palazzo Barone di via Lincoln, dove sorgono uffici comunali. La cosa non ebbe seguito perché gli spazi offerti non sembrarono adeguati. Nel 2004 l'Osservatorio sulla Partecipazione, una delle tante aggregazioni che durano da Natale a Santo Stefano, cercò invano di arrivare ad un protocollo d'intesa da sottoporre all'amministrazione comunale. Ogni realtà associativa, più che guardare al percorso comune, si limitò a scrutare il proprio ombelico. Nel giugno del 2005 il Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato ha formalizzato una proposta articolata e interessante, chiamando a raccolta associazioni, scuole, università, forze politiche e sindacali. Si proponeva uno spazio polivalente che potesse essere mostra permanente sul fenomeno mafioso e sull'antimafia sviluppatasi in Sicilia, biblioteca emeroteca su mafia e antimafia, con una raccolta di atti giudiziari e di documentazione, casa delle associazioni e laboratorio di nuove iniziative. Nel luglio successivo alcuni consiglieri comunali presentarono una mozione con la proposta di utilizzare per tale finalità Palazzo Tarallo, di proprietà comunale, sito nel quartiere Albergheria. Umberto Santino, fondatore del Centro Impastato, su questo giornale, nel 2006, si chiedeva che fine avesse fatto quella mozione. Palazzo Tarallo è stato restaurato e riaperto nel dicembre 2012 con due mostre riguardanti l'arte contemporanea e la fotografia. Per la verità una proposta alternativa dell'amministrazione comunale c'era stata. Ai Centri Impastato, Terranova, Pio La Torre e alla Fondazione Costa era stata messa a disposizione Villa Pantelleria per realizzare la Biblioteca della Legalità. Ma i sodalizi associativi si sarebbero dovuti occupare delle ingenti spese di restauro. Insomma, l'aspirazione ad una casa comune dell'antimafia è tutt'oggi all'anno zero. Nei due decenni che ci separano dalle stragi del biennio 1992/1993 tanto lavoro, teorico e pratico, si è fatto nel mondo dell'associazionismo, ma ciascuno per conto proprio, senza la possibilità di fare sintesi e di sommare i percorsi anziché disperderli in mille rivoli. Il progetto di una casa comune dell'antimafia e della legalità poteva e potrebbe essere un solido e duraturo punto di riferimento per andare oltre l'emotività dei grandi fatti di sangue e dell'emergenzialismo che ne è sempre seguito. Siamo ancora alla ricerca di un'antimafia in grado di fare tesoro dei tanti carismi e dei molti saperi che una lunga storia di lotta ai poteri mafiosi, iniziata sul finire dell'ottocento ci ha tramandato. Ciò porta a sottovalutare e a non combattere, in quanto comunità che riesce a fare fronte comune, prescindendo dalle azioni della magistratura e dalla debolezza della politica su questa tematica, la forza che Cosa nostra è ancora in grado di esercitare. E si tratta di aspetti finanziari internazionali, di inserimento nell'economia pulita visto che i capitali sporchi in un momento di crisi di liquidità s'impongono più facilmente e di controllo del territorio che non disdegna il ricorso alle armi, come anche accaduto recentemente pare per il commercio di droga. Senza contare che un'antimafia sociale polverizzata contribuisce a isolare, di fatto, quanti sono in prima fila a investigare sulle cosche e sui loro rapporti con il potere politico ed economico. La pianificazione dell'attentato contro il sostituto procuratore Nino DI Matteo può essere, in questo senso, più di un campanello d'allarme. Speriamo di non doverci ritrovare nuovamente nelle condizioni di chi si mobilita, collettivamente, sempre un minuto dopo.

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