LA REPUBBLICA-PALERMO
12/4/2013 - PAG. I
Anche l'antimafia è rimasta senza casa
Francesco Palazzo
Il progetto di una casa
comune delle associazioni antimafia palermitane esiste da tempo.
Durante le due legislature degli anni novanta dell'attuale sindaco,
si arrivò anche a trovare un luogo. Se ricordiamo bene il cosiddetto
palazzo Barone di via Lincoln, dove sorgono uffici comunali. La cosa
non ebbe seguito perché gli spazi offerti non sembrarono adeguati.
Nel 2004 l'Osservatorio sulla Partecipazione, una delle tante
aggregazioni che durano da Natale a Santo Stefano, cercò invano di
arrivare ad un protocollo d'intesa da sottoporre all'amministrazione
comunale. Ogni realtà associativa, più che guardare al percorso
comune, si limitò a scrutare il proprio ombelico. Nel giugno del
2005 il Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato ha
formalizzato una proposta articolata e interessante, chiamando a
raccolta associazioni, scuole, università, forze politiche e
sindacali. Si proponeva uno spazio polivalente che potesse essere
mostra permanente sul fenomeno mafioso e sull'antimafia sviluppatasi
in Sicilia, biblioteca emeroteca su mafia e antimafia, con una
raccolta di atti giudiziari e di documentazione, casa delle
associazioni e laboratorio di nuove iniziative. Nel luglio successivo
alcuni consiglieri comunali presentarono una mozione con la proposta
di utilizzare per tale finalità Palazzo Tarallo, di proprietà
comunale, sito nel quartiere Albergheria. Umberto Santino, fondatore
del Centro Impastato, su questo giornale, nel 2006, si chiedeva che
fine avesse fatto quella mozione. Palazzo Tarallo è stato restaurato
e riaperto nel dicembre 2012 con due mostre riguardanti l'arte
contemporanea e la fotografia. Per la verità una proposta
alternativa dell'amministrazione comunale c'era stata. Ai Centri
Impastato, Terranova, Pio La Torre e alla Fondazione Costa era stata
messa a disposizione Villa Pantelleria per realizzare la Biblioteca
della Legalità. Ma i sodalizi associativi si sarebbero dovuti
occupare delle ingenti spese di restauro. Insomma, l'aspirazione ad
una casa comune dell'antimafia è tutt'oggi all'anno zero. Nei due
decenni che ci separano dalle stragi del biennio 1992/1993 tanto
lavoro, teorico e pratico, si è fatto nel mondo
dell'associazionismo, ma ciascuno per conto proprio, senza la
possibilità di fare sintesi e di sommare i percorsi anziché
disperderli in mille rivoli. Il progetto di una casa comune
dell'antimafia e della legalità poteva e potrebbe essere un solido e
duraturo punto di riferimento per andare oltre l'emotività dei
grandi fatti di sangue e dell'emergenzialismo che ne è sempre
seguito. Siamo ancora alla ricerca di un'antimafia in grado di fare
tesoro dei tanti carismi e dei molti saperi che una lunga storia di
lotta ai poteri mafiosi, iniziata sul finire dell'ottocento ci ha
tramandato. Ciò porta a sottovalutare e a non combattere, in quanto
comunità che riesce a fare fronte comune, prescindendo dalle azioni
della magistratura e dalla debolezza della politica su questa
tematica, la forza che Cosa nostra è ancora in grado di esercitare.
E si tratta di aspetti finanziari internazionali, di inserimento
nell'economia pulita visto che i capitali sporchi in un momento di
crisi di liquidità s'impongono più facilmente e di controllo del
territorio che non disdegna il ricorso alle armi, come anche accaduto
recentemente pare per il commercio di droga. Senza contare che
un'antimafia sociale polverizzata contribuisce a isolare, di fatto,
quanti sono in prima fila a investigare sulle cosche e sui loro
rapporti con il potere politico ed economico. La pianificazione
dell'attentato contro il sostituto procuratore Nino DI Matteo può
essere, in questo senso, più di un campanello d'allarme. Speriamo di
non doverci ritrovare nuovamente nelle condizioni di chi si mobilita,
collettivamente, sempre un minuto dopo.
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