lunedì 10 febbraio 2014

Testimoni di giustizia. Qualche spiraglio e una vita difficile.

La Repubblica Palermo

9 Febbraio 2014

I TESTIMONI DI GIUSTIZIA E I RITARDI DELLO STATO

Francesco Palazzo

Grazie all'associazione nazionale dei testimoni di giustizia, i quali quasi sempre vivono lontani dalla loro terra — e già questa è una sconfitta per tutti — che non hanno voluto più essere rappresentati da nessuno se non da loro stessi, è stata approvata la legge numero 125, di conversione del decreto legge 101 del 2013. Il percorso è stato favorito da pezzi di politica sensibili all’argomento. L’articolo 7 consente ai testimoni di lavorare negli uffici pubblici. Parliamo non di mafiosi pentiti, anche se per lungo tempo sono stati trattati allo stesso modo, ma di semplici cittadini che hanno deciso di non girare la testa dall'altra parte quando si è trattato di rivelare fatti o denunciare i loro estorsori. Le crude storie di abbandono, raccontate il 20 gennaio scorso in un programma RAI (Presa Diretta) a loro dedicato, parlano da sole e sono disarmanti. Soprattutto perché ben conosciute dalle istituzioni e dalla politica. Del resto, che questo ultimo passaggio, ossia l’arruolamento tra le file della pubblica amministrazione, sia stato atteso da più di vent’anni, la dice lunga su come sono stati trattati questi cittadini e cittadine che hanno semplicemente deciso, da incensurati, di fidarsi dello stato. Attualmente non superano le cento unità. La norma, che va a modificare una legge del lontanissimo 1991, dispone che queste persone, in analogia a quanto già in atto per i familiari delle vittime di mafia e terrorismo, anche se non più sottoposte al programma di protezione, ma non per questo non più in pericolo, possono accedere a un percorso di inserimento nei pubblici uffici, rispettando titoli di studio e professionalità posseduti. Ora si attendono i provvedimenti attuativi, in particolare, sembra, un decreto che il Ministero degli Interni dovrebbe inviare al Ministero della Funzione Pubblica. Un buon risultato, dunque. Che rischia di risultare problematico nella sua applicazione.
Secondo alcuni osservatori si dovrebbe rivedere nella parte in cui non permette di arruolare gli aventi diritto in soprannumero. Cioè, il tutto è subordinato al fatto che le amministrazioni dovranno prima comunicare i buchi nei loro organici. Che, però, normalmente sono affetti proprio da gigantismo. Possibile che per sole 100 persone non si riesca a trovare un percorso più sicuro e immediato, quando in questi decenni, e con numeri industriali, non ci si è fatti alcun problema a rinfoltire sino all’inverosimile di precariato via via stabilizzato i quadri dell’impiego pubblico? Un disegno di legge simile, nato da una proposta di un testimone di giustizia, viaggia nel parlamento siciliano. Speriamo che presto veda la luce all’Ars. Conoscendo le esperienze, devastanti, di quasi tutti i testimoni di giustizia, non ci voleva molto a capire che approdare ad una realtà lavorativa, assicurata dallo Stato, era il perno fondamentale da assicurare per consentire loro un futuro meno logorante. In tutti questi anni, creando un terribile vuoto di sicurezza in queste persone, si è implicitamente comunicato ai testimoni che forse era meglio non fare tale scelta e soprattutto non si è incoraggiato quanti potevano compierla. Ciò ha dato, al di là delle parole e dell’antimafia talvolta tutta chiacchiere e distintivo, un segnale preciso alle mafie. Le quali hanno avuto la certezza matematica che questo fenomeno dei testimoni di giustizia, fondamentale nella lotta alle cosche, non assumesse, come realmente avvenuto, contorni numerici troppo minacciosi. Basti pensare che, dal 1990, anno in cui Pietro Nava permise di risalire agli esecutori del delitto Livatino, pagando un prezzo altissimo, si è dovuti arrivare al 2001 affinché la figura dei testimoni di giustizia venisse riconosciuta per legge. Lottare la mafia è una questione di tempi. Se ci stai undici anni per riconoscere lo status giuridico di soggetti che hanno avuto l’unico torto di denunciare i loro aguzzini o di rivelare quanto avevano visto o appreso, e ben ventitré (ma bisogna vedere come finirà) per riconoscere il loro ingresso nei ranghi della pubblica amministrazione, dai un vantaggio alle mafie, che eseguono subito i loro programmi criminali, poi difficile, se non impossibile, da colmare.


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