La
Repubblica Palermo – 14 novembre 2020
“Chiusura
sì, ma non a casa mia”. I veti corporativi che aiutano il virus
Francesco
Palazzo
Quello che si
sviluppa, in epoca di chiusure e divieti, è la difesa delle varie categorie. Andrebbe
studiata a fondo. Intanto perché capovolge la famosa locuzione che farebbe vedere l’erba del vicino sempre più verde. Stavolta no, il giardino mio è
pulito e tutto disinfettato, ci potete mangiare, quello degli altro no, lì vi
beccate il virus. Allora abbiamo siti dove si dispensano cultura, arte,
spettacoli, istruzione, supersicuri, sui luoghi di culto potete metterci tutte
e due le mani sul fuoco, sulla ristorazione manco a dirlo. E l’elenco potrebbe
proseguire, sia chiaro. Vogliamo per caso trascurare la sicurezza dei luoghi
dove si fa sport? Possiamo mai dubitare dei mercati rionali? Appena provi a
imbastire un discorso di buonsenso ti becchi la foto della spiaggia di Mondello
o della passeggiata, indubbiamente di massa, lungo l’asse che a Palermo va da
via Libertà a via Maqueda attraverso via Ruggero Settimo, ma la stessa cosa
succede un po’ ovunque. Vogliamo del resto negare alcune vasche di passeggio
nei fine settimana mentre impazza il coronavirus? Non sia mai. Magari i
sindaci, sino a quando non saremo in acque meno perigliose, e per ora sono in
tempesta, farebbero meglio a non concedere le isole pedonali. Perché sono dei
catalizzatori di folla, stazionante o meno ha poca importanza, visto che si
passeggia a stretto giro di gomito. Perché il punto è proprio questo. Inutile
girarci attorno. Le persone vanno tenute il più possibile a casa. E non
perché ci siano ambiti non sicuri, dove non vengano rispettate le procedure. Ma
per il fatto che mettere il naso fuori dalle mura domestiche significa aumentare
esponenzialmente la socialità. E non possiamo permettercelo. A meno che non
vogliamo andare a finire dentro il baratro accusandoci a vicenda sulle altrui
falle. La verità è che non abbiamo saputo, voluto, e non ci riusciamo ancora,
rispettare delle minime regole, quasi da asilo nido, su mascherine,
distanziamento e lavaggio delle mani. Non si può permettere una pur guardinga
socialità a persone, non tutte ma una bella fetta di umanità, che non riescono
a fare cose elementari. E allora hanno poco senso i corporativismi. Non hanno
mai senso, per la verità, ma ora meno che mai. Non so se ricordate il detto:
«Sono tutto casa e chiesa, è il tragitto che mi frega». Ecco, tra un capo
all’altro delle nostre buone intenzioni, siamo tutti in teoria bravi e additiamo
gli altri come brutti, sporchi e cattivi. In realtà forse dovremmo guardare
meglio ciò che abbiamo davanti e quanto possiamo fare nel quotidiano per
riprendere il filo di una matassa sin troppo ingarbugliata. Ricordandoci,
soprattutto adesso che ci avviamo verso il periodo delle feste di fine anno,
che la norma ci dice cosa non possiamo fare, l’intelligenza ciò che non
dobbiamo nemmeno concepire. A meno che non pensiamo che ci sia qualche capro
espiatorio, che magari si presta alla perfezione all’uso, nei confronti del
quale puntare le nostre fiches di salvezza. Ma così facendo potremo
forse portare a casa indenne il nostro precario circuito mentale. Ma poco
faremo, come singole esistenze, al fine di contribuire a neutralizzare la
pandemia.
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