venerdì 26 febbraio 2010

Ponte sullo stretto: no, sì, forse.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 8 del 26/2/2010
Pag. 55
Ponte, non parliamo di fondi
Francesco Palazzo

Sulla realizzazione del ponte sullo stretto di Messina, di cui si cominciò a discutere nel secolo diciottesimo, si sono catalizzate nel tempo varie prese di posizione. Se cercate sulla rete ne troverete una rassegna infinita. C'è chi sostiene che il ponte rimarrebbe chiuso per lunghi periodi dell'anno ai treni, c'è chi addirittura afferma che, a causa dei venti, la chiusura sarebbe totale per almeno tre mesi l'anno. Non manca chi sottolinea una grande spaccatura tettonica proprio sotto la zona dove sorgerà uno dei pilastri portanti. Si potrebbero aggiungere tanti altri punti interrogativi, più o meno attendibili. Ma, per qualsiasi certezza assoluta, troverete una spiegazione esattamente opposta, un qualcuno che bolla come incompetente qualcun altro. Mi guardo bene, da assoluto inesperto in questioni tecniche, dal prendere posizione su tematiche davvero di ardua comprensione e di così accesa disputa. Forse qualcosa si potrebbe chiosare riguardo ai costi. Pare che alla fine, ma non mi impiccherei sulla notizia, lieviteranno molto rispetto a quanto inizialmente preventivato. Non è questione da poco. Dopo le autostrade d’oro, gli ospedali di diamante, non vorremmo avere il ponte di platino. Anche su questo, agli esperti delle contrapposte tifoserie, l'ardua sentenza. Ciò che da profano mi da un certo fastidio, ma cercherò di sopravvivere pure a questo, è l'assoluta divergenza su tutto senza che si arrivi a un punto di vista comune. E non parliamo mica di metafisica, ma di argomenti sui quali qualche punto fermo dovremmo averlo. Su due aspetti più generali, però, azzardo qualche opinione. Il primo accarezza un vecchio pretesto ideologico, ormai logoro e inutile. Si dice, da più parti, che al posto di quest’opera si potrebbero realizzare tante altre infrastrutture di cui la Sicilia e la Calabria risultano gravemente carenti, ove non del tutto sprovviste. Questo tipo di argomentazione, al di là del contesto in cui viene utilizzata, mi ha sempre convinto decisamente molto poco. Se la Sicilia e la Calabria navigano in brutte acque anche sul versante delle infrastrutture strategiche, cosa indubitabile, non è stato certo per la mancanza di fondi, che nei decenni precedenti non sono affatto mancati. Forse sono stati spesi male, dilapidati. Togliamo il forse. Ma questo chiama in causa, più che il ponte, la classe dirigente meridionale, di ieri e di oggi. I soldi che lo stato spenderà per il collegamento in questione c’entrano ben poco. Per dire. Che fine hanno fatto in Sicilia i fondi europei di agenda 2000? E quale sarà il destino di quelli relativi al periodo 2007/2013? Parliamo sempre di miliardi di euro. Con i quali si potevano realizzare e si potrebbero fare cose strabilianti. Altro che chiacchiere. Se a questi finanziamenti sommiamo quelli che hanno raggiunto e raggiungeranno la Calabria, ci rendiamo conto che il problema non è avere i quattrini, ma saperli spendere nel verso giusto. Dire, allora, dateci i soldi del ponte per altre opere urgenti e prioritarie, a volere essere onesti, non è proprio una buona argomentazione. Il secondo aspetto su cui è possibile intervenire, pur non essendo esperti di niente, è quello ambientale. Molti pongono, legittimamente, problemi di carattere paesaggistico sulla realizzazione dell’opera. Ma qui va detto che le grandi opere, in tutte le parti del mondo dove sono state costruite, hanno generato le veementi proteste, rispettabilissime, di quanti preferiscono lasciare invariate le condizioni che gli eventi naturali hanno disegnato per noi. Va aggiunto, tuttavia, che anche la natura, che muta come tutto ciò che ci circonda, ha un suo decorso storico, è situata nel divenire, non è mai uguale a se stessa nei tempi lunghi. Dunque, si può senza dubbio suonare l'allarme su quello che oggi è il concetto di natura sullo stretto di Messina e sull'impetto ambientale che avrebbe il ponte sullo scenario paesaggistico che abbiamo imparato a conoscere tra Scilla e Cariddi. Ma non può sfuggire che i concetti di natura, di ambiente, di salvaguardia, si inseriscono in un codice culturale dinamico ed evolutivo, mai uguale a se stesso una volta per tutte. Insomma, anche sull'impatto ambientale si può discutere. Senza maledire coloro che, sempre tenendo conto dell'ambiente e della natura, ritengono il ponte qualcosa in grado di migliorare l'habitat complessivo, e l'economia, della zona in cui sorgerà.

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