lunedì 1 agosto 2011

Borsellino, le scomode parole dimenticate dalla classe dirigente che lo commemora il 19 luglio.

LA REPUBBLICA PALERMO - DOMENICA 31 LUGLIO 2011
Pagina X

IL METODO BORSELLINO
Francesco Palazzo


«L´equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice che quel politico era vicino al mafioso, però la magistratura non l´ha condannato quindi quel politico è un uomo onesto. E no, questo discorso non va». Sono le parole di un giustizialista, di un esponente di estrema sinistra, di un forcaiolo, di un antimafioso da salotto? No, sono parole di Paolo Borsellino. Era il 26 gennaio 1989, doveva ancora cadere il muro di Berlino, e il magistrato si rivolgeva così agli studenti di Bassano del Grappa: «La magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, però siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri poteri dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituivano reato, ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati dati perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza». Sono trascorsi più di ventidue anni da quella conferenza, diciannove da via D´Amelio, eppure siamo sempre allo stesso punto. Queste riflessioni di Paolo Borsellino, non un giustizialista, non un forcaiolo, non un esponente di estrema sinistra, ma un uomo delle istituzioni, sono ancora più che mai valide. Dovrebbero ormai costituire solo memoria. Come mai, da allora, nei fatti, oltre la retorica, non si è fatto alcun passo in avanti, anzi si è, per certi versi, come tornati indietro? I partiti sono ancora lì, trepidanti e afasici, che discettano, ogni volta che se ne presenta l´occasione, sui tre gradi dell´ordinamento giudiziario, sui rinvii a giudizio. Mai che riescano ad intervenire prima. Salvo poi mischiare, confusamente, politica e giustizia. Spaccando in quattro, a secondo di come conviene, il capello della cronaca e dei fatti, per trovare un cantuccio, sempre più piccolo e buio, dove ripararsi e aspettare che passi la piena. In attesa che il giudice entri in aula per leggere la sentenza, che una Procura compia un atto, in un verso o in un altro, che si vada o meno a processo. Ecco qual è il vero uso politico della giustizia. Non sono le toghe che invadono il campo, ma è la politica che vuole utilizzarne, per propria interna incapacità ad autodeterminarsi, l´operato. Troppi, al cospetto delle parole limpide e senza sconti di Borsellino, sembrano tanti azzeccagarbugli del fatuo. Che affogano, nel bicchiere del potere, le parole semplici che dovrebbero pronunciare e che non sanno o non possono dire, se non quando è ormai troppo tardi per evitare gli schizzi di fango. E cioè che non importano i giudizi dei tribunali sui singoli, ma i loro comportamenti sulla scena pubblica e privata. Che talvolta emergono da circostanze acclarate e dalle stesse dichiarazioni dei protagonisti. Ma, insomma, si può ancora sostenere in buona fede, nel 2011, che si possono stringere tutte le mani e che non ci s´impiccia più di tanto della caratura criminale delle persone con le quali si viene a contatto? Chi non è in grado di distinguere tra una crocerossina e un criminale, seppure incravattato e profumato, non può ambire ad occupare ruoli istituzionali.




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