domenica 11 settembre 2011

E se provassimo a essere molto meno speciali e un po' più normali?

LA REPUBBLICA PALERMO - DOMENICA 11 SETTEMBRE 2011
Pagina I
L´analisi
La democrazia bloccata dallo Statuto
Francesco Palazzo

La visita del presidente della Repubblica a Palermo ha evidenziato, con coro di voci unanimi, l´occasione perduta dell´autonomismo regionale e la necessità di una sua futura attuazione per garantire sviluppo alla Sicilia. Non è la prima occasione solenne, anzi è l´ennesima, in cui si ascoltano simili parole. Ogni volta è un piagnisteo irrefrenabile e, francamente, non più sostenibile. Interpretato, in primo luogo, dai massimi rappresentati pro tempore della politica siciliana e dai siciliani che siedono nei due rami del parlamento. Mai che qualcuno di loro, fosse ministro, presidente di commissione parlamentare, presidente dell´Ars o governatore, ci dicesse dove è stato sino a questo momento e cosa ha fatto lui affinché lo statuto non fosse soltanto un pezzo di carta stropicciato, dentro il quale nascondere le incapacità della classe dirigente locale e di chi, di volta in volta, l´ha votata. Mai che ci fosse un´assunzione di responsabilità circoscritta, un mea culpa specifico e soggettivo, quanto meno riguardante il partito che si rappresenta. L´autonomia non ha funzionato e la colpa è di nessuno, perché pare sia di tutti e quindi la prossima volta, in occasione di un altro evento ai massimi livelli, risentiremo le stesse stanche e abusate frasi buttate al vento. L´altra teoria di parole che ci tocca ascoltare è che per far funzionare il regime autonomistico ci volevano, e ci vorrebbero, le riforme. L´unica vera riforma, adatta non a far funzionare un assetto istituzionale speciale, ma la normale democrazia rappresentativa e decidente, coincide con il «correggere profondamente la gestione dei poteri regionali e degli enti locali». Sono parole di Napolitano, riprese da Sebastiano Messina nell´editoriale di ieri. Quello che ci vorrebbe, e che non abbiamo, è far funzionare correttamente le assemblee rappresentative e gli organi di governo negli enti locali e alla Regione. Siccome, al contrario, la gestione del potere politico in questi decenni è stata dissennata, ecco il motivo per cui non lo statuto siciliano inattuato, ma la politica in Sicilia ha creato sottosviluppo, clientele, malaffare e, quando è andata bene, qualche leggero passo in avanti. Travestito subito, però, da propaganda sfrenata e populismo di bassa lega. Queste prerogative statutarie regionali, delle quali si favoleggia la completa applicazione, questo continuare a dirsi che Roma e il Nord non hanno fatto quanto era necessario per la Sicilia, sono solo degli appigli che tentano, miseramente, di nascondere che volevamo essere speciali e non siamo riusciti nemmeno a essere normali. E poi c´è lo strumento in sé da considerare. Se qualcosa non funziona per più di 65 anni, oltre i limiti della classe dirigente e di chi l´ha eletta, sopra accennati, vuol dire che quella cosa non è buona, non serve. Per dirla con una frase molto eloquente, utilizzata da Gianni Puglisi davanti al Capo dello Stato, il privilegio si è trasformato in castigo. E forse lo era sin dall´inizio. Era una sberla ed è sembrata una carezza. Un castigo per tutti i siciliani e un´opportunità di nascondersi, ancora chissà per quanto tempo, per coloro che ancora tracciano non credibili disegni di rilancio della particolarità sicula. Senza contare che lo statuto autonomistico è stato il propulsore che ha determinato in Sicilia, dal dopoguerra a oggi, una sorta di democrazia bloccata. Sino all´inizio degli anni Novanta ha governato la Dc, nel ventennio successivo ha sempre vinto il centrodestra. Tanto che l´alternanza, e vale anche per la maggioranza che oggi sostiene il governo cosiddetto tecnico, si è sempre raggiunta, quelle poche volte in cui è stato possibile, attraverso colpi di palazzo, manfrine e trasformismi di varia natura. E mai come conseguenza di libere elezioni. Noi vi diamo lo statuto bello infiocchettato, questo l´implicito patto, e voi ci garantite lo status quo, tranne qualche variazione sul tema. Se questo è vero, inutile chiedersi perché il Trentino ha un rating finanziario da tre A e la Sicilia no. La risposta è semplice. Lì lo sviluppo è venuto prima del particolarismo, quando già avevano imparato ad essere efficienti. Da noi si è pensato, al contrario, che siccome non ce la facevamo da soli a raggiungere, non diciamo la sufficienza, ma la mediocrità, ecco che un pezzo di carta, avente rango costituzionale, con scritto dentro tutto e di più, potesse servire alla bisogna. Così non poteva essere e così non è stato. Come si dice, non è l´abito che fa il monaco. Ma, oggi, nel 2011, quel sontuoso vestito pieno di inutili medaglie va messo in soffitta. Provando, appunto, ma a quanto pare è una fatica immane, ad essere un po´ più normali e molto meno speciali.



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