CENTONOVE
Settimanale di Politica, Economia, Cultura
3 maggio 2013
Pag. 38
UN ESERCITO DI SINDACI E MAESTRI
Francesco Palazzo
"Cosa
nostra continua a influenzare e condizionare pesantemente le strutture
politiche locali verso le quali ha un interesse spiccato". Questo
il commento sintetico del procuratore capo della Direzione Distrettuale
Antimafia di Palermo, uomo di poche ma significative parole,
in occasione dell'ultima operazione antimafia in provincia. Una fotografia
che, pur con tutte le lotte antimafia fatte negli ultimi decenni, ci
trasferisce un'istantanea che fa capire quanti passi in avanti in effetti
abbiamo fatto su uno spaccato fondamentale del problema. Ossia i rapporti
tra mondo criminale e ceto politico. E non parliamo degli enti maggiormente
in vista, quali i grandi comuni o la stessa regione, dove è forse più
semplice mettere in atto azioni di contrasto. Ma a quanti dei trecentonovanta
comuni di cui è composta la nostra regione si può applicare l'amara
constatazione del dottor Francesco Messineo? Tolte, appunto, le più
grandi municipalità e alcune comunità di media grandezza, nelle quali
magari ci sono interessi concreti delle cosche, ma questi non assumono
le caratteristiche belluine e predatorie che invece contraddistinguono
i comuni minori, possiamo ipotizzare che c'è un tessuto molto esteso
di democrazia siciliana che è gravemente malato all'origine. Non possiamo
sperare di debellare il rapporto mafia politica se trascuriamo questo
aspetto fondamentale della vita istituzionale della nostra regione.
Ciò deve far riflettere sul metodo, diciamo così deduttivo, sinora
applicato. Viene, infatti, facile pensare che immettendo dei semi legalitari
nelle macrostrutture istituzionali poi questi debbano attecchire, quasi
come un implicito e assodato automatismo, nella realtà piccole e piccolissime.
Non funziona così se è vera, come è vera, la riflessione, basata
su dati di fatto e non su astratti sociologismi, sui quali spesso ci
attardiamo, del procuratore capo del capoluogo. Lo scrittore Gesualdo
Bufalino diceva che per liberarsi dalla mafia basterebbe un esercito
di maestri. A lungo termine, suggerire di lavorare sui bambini, sulle
nuove generazioni, può essere un giusto e ineliminabile approccio.
Ma se a questo versante educativo dei piccoli non si associa un cambiamento
nelle teste e nelle azioni degli adulti, a breve e a medio termine,
non si va molto lontano. E allora, oltre che un esercito di maestri
e maestre, occorre un altro esercito, che in parte è già in campo,
nutrito e coraggioso, di amministratori locali, sindaci, assessori,
consiglieri comunali, funzionari che facciano procedere correttamente
la cosa pubblica nei luoghi dove non arrivano i riflettori dell'opinione
pubblica. A meno che non vengano accesi a giorno, per poi spegnersi
subito dopo, da indagine e arresti. Ma a quel punto non rimane che prendere
mestamente atto che il danno è stato fatto. E' questo, d'altra parte,
il lavoro delle forze dell'ordine e della magistratura. Il resto tocca,
o toccherebbe, alla politica e alla società che contribuisce a formarla
con il consenso elettorale. Quasi sempre siamo interessati dai macrosistemi.
Chi doveva essere eletto alla presidenza della Repubblica? E per Palazzo
Chigi, quale sarebbe stata la scelta migliore? Chi vincerà a Catania?
E a Palermo che accade? Sulle amministrazioni regionali che si succedono,
poi, il dibattito non conosce sosta. Tutto giusto, per carità. Ma quello
che si perde di vista, interessandosi per grandi linee e per massimi
sistemi al destino dei pubblici poteri, è che la robustezza del tessuto
democratico, e quindi il vero contrasto alle consorterie criminali,
si decide in massima parte, giorno per giorno, direi ora per ora, su
un'altra dimensione. Quella che vive all'ombra dei gonfaloni di centinaia
di piccoli comuni siciliani. Che piaccia o no, è lì che si gioca tutto,
o quasi tutto.
Ottima analisi: concordo sulla diagnosi e la terapia.
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