martedì 11 febbraio 2020

Il maxiprocesso, il dopo stragi e la mafia ancora tra noi.

La Repubblica Palermo – 11 febbraio 2020
Il maxiprocesso 34 anni dopo, ma la mafia non ha ancora perso
Francesco Palazzo


34 anni fa, 10 febbraio 1986, iniziava a Palermo il maxiprocesso alla mafia nell'aula bunker costruita in brevissimo tempo. Durò quasi 6 anni, sino alla pronuncia della cassazione nel gennaio 1992. Gli uomini d’onore alla sbarra, condannati sino all'ultima sentenza, anche se speravano, viste le collusioni e le contiguità, di farla franca ancora una volta. Due rappresentanti della magistratura, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che lo Stato, tutti noi, non abbiamo saputo proteggere, si misero in evidenza per i loro meriti e non per un’antimafia caricata a salve, o di cartone, che negli ultimi anni abbiamo avuto la sventura di conoscere. Sembrò mutare tutto in quel momento storico. Il verde di quell'aula, somigliante a un’astronave calata sulla Sicilia, pareva annunciare una mafia quasi all'ultimo miglio. Ma non fu così. O era un miraggio quel traguardo oppure da qualche parte si alzò il piede dall'acceleratore. Ci attendevano anni tremendi, due stragi, l’uccisione di un prete e gli attentati stragisti in continente. Segno, come abbiamo veduto, di una mafia con le tende ben piantate oltre lo stretto. Dopo la stagione delle bombe, sulla quale non si è fatta piena luce nei suoi aspetti più oscuri ed inquietanti, e ciò è veramente incredibile, abbiamo avuto una fase di sommersione dei mafiosi. Che non ha voluto dire fare meno affari durante la reazione di alcuni apparati statali. Alcuni pezzi, perché quando diciamo Stato, e considerato che Cosa nostra ha attraversato tre secoli, non ci è difficile immaginare che non tutti i vari settori delle istituzioni, così come non tutti noi, anzi una minima parte di società, abbiamo combattuto questa battaglia di libertà e di civiltà. Poi, sino ad oggi, un ingresso sempre più largo nell'economia legale e finanziaria da parte delle cosche, non lasciando da parte, come ci dice l’ultima relazione della DIA, il classico traffico di droga, che va di pari passo nei quartieri con il ritorno della vendita, alla luce del sole, controllando così meglio i territori, delle sigarette di contrabbando. Inoltre, c’è la persistente suddivisione in mandamenti e il ritorno del baricentro a Palermo, vecchie coppole storte, come prima dell’ultima guerra di mafia. Che continua a comandare nei territori, soprattutto nei quartieri popolari, incassando ancora un discreto consenso. Allora, a 34 anni da quel febbraio del 1986, quando vivevamo gli ultimi anni della prima Repubblica, la situazione potrebbe essere la seguente. È come se si vedesse in campo una mafia che viene braccata solo militarmente da indagini, arresti, sequestri e confische (beni che però lo Stato non sempre ma spesso porta al fallimento gestendoli malamente). È un grande passo in avanti, che però traccia un orizzonte limitato e destinato a spostarsi continuamente. Si è forse, rispetto a quando sembrava possibile, sia ai tempi del maxiprocesso che dopo le stragi, rinunciato di fatto a eliminarla completamente dalla scena sociale, politica ed economica, la mafia e i suoi compari?

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