domenica 16 febbraio 2020

Baby gang, quartieri da leggere bene e i ritardi e gli errori della politica.



La Repubblica Palermo – 15 febbraio 2020
Baby gang e non solo, le occasioni perdute nei quartieri di periferia
Francesco Palazzo


Sulla vicenda del ragazzo senegalese fatto oggetto di violenza a sfondo razziale, abbiamo letto di baby gang provenienti dai quartieri Sperone e Brancaccio. Il rischio della generalizzazione è altissimo, dobbiamo cercare di tenerlo lontano. Non ci fa capire il problema e non ci consente di apportare i necessari rimedi. Una premessa. Si dice che Palermo è una pacificata città multietnica. Forse su questo versante faremmo bene a togliere qualcuno dei tanti punti esclamativi di soddisfazione, sostituendolo con qualche domanda. C’è in questo momento, e Palermo non è un’isola felice, un odio sociale e social che va ben al di là delle baby gang. Sulle quali è corretto ragionare. Dunque, i quartieri Sperone e Brancaccio. Allo Sperone diversi decenni fa si è proceduto ad una massiccia installazione di edilizia popolare, con pochi servizi, in un posto che aveva una sua storia. Il risultato di queste scelte è scontato. La stessa cosa sarebbe accaduta se tale insediamento fosse stato impiantato nel quartiere Libertà. Ricordando però che allo Sperone ci sono tantissime famiglie che mandano regolarmente i figli a scuola. Su Brancaccio l’analisi va fatta chiedendoci, innanzitutto, cosa ne è dell’operato di don Pino Puglisi a 27 anni dall’omicidio. Egli cade perché impegnato a risollevare socialmente un centinaio di famiglie che erano state deportate in alcuni stabili, che da residenziali diventarono in parte popolari. Contemporaneamente 3P lavora con gli adulti residenti in quella zona proprietari di appartamenti, i quali avevano dato vita al Comitato Intercondominiale Hazon. Persone che avevano iniziato un percorso di protagonismo civile che dava fastidio alle cosche e alla malapolitica. Il restante tessuto sociale, dal punto di vista della scolarità, complessivamente non era e non è molto differente dai quartieri centrali di Palermo. Basti pensare che, oltre l’ottimo lavoro pastorale svolto da alcuni parroci con i giovani, don Puglisi trova pure un luogo di cultura in parrocchia. Tanti ragazzi e ragazze del luogo, nel 1989, avevano dato vita, con un atto costitutivo e turni di apertura, alla biblioteca Claudio Domino, con oltre tremila volumi presi dalle case degli abitanti di Brancaccio e in parte regalati dalla Facoltà Teologica, che fornì gli scaffali espositivi. Ora, a 27 anni dalla scomparsa di Puglisi, la situazione è più o meno questa. Nella zona di Via Hazon il contesto si è ancora di più deteriorato e non c’è più traccia di un movimento di adulti che si occupi di politica territoriale. Inoltre, si è ghettizzata un’altra parte storica del quartiere mettendo un muro al posto di un passaggio a livello. Va detto che Puglisi viene fatto fuori non perché lavora anche con i bambini, ma per la circostanza che si muove all’unisono con degli adulti che chiedevano diritti a schiena dritta e non favori attraverso le clientele politiche. Cosa che per la verità era iniziata prima di don Pino. Nella seconda metà degli anni ottanta, piena primavera politica, vi furono diverse riunioni della giunta comunale a Brancaccio. Gli abitanti del quartiere non avevano alcuna paura a schierarsi con chi faceva apertamente antimafia, prima che divenisse uno sport sin troppo facile. Ne uscì fuori un opuscoletto, Ricostruire Brancaccio, dove si elencavano le opere programmate nel quartiere e le nuove proposte. Perché, capite, tutti i nostri ragionamenti atterrano sempre nella pista della - buona o cattiva politica. E allora, perché a Palermo, finalmente, non si manda un segnale verso i rioni, soprattutto periferici, dando vita e compimento al decentramento dopo 40 anni? Delle piccole municipalità, lavorando con le realtà locali, potrebbero occuparsi meglio dei territori e della qualità della vita che in essi si svolge. Intervenendo, se dotate di poteri e soldi, tempestivamente e preventivamente. Le baby gang pongono a tutti domande, non sono un palcoscenico per facili risposte. Ciascuno, soprattutto i livelli istituzionali, risponda al meglio delle sue possibilità e delle proprie prerogative.

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