La Repubblica Palermo – 3 aprile 2020
Cosa insegna la quarantena a noi e a chi
amministra
Francesco Palazzo
Molto interessante la riflessione sulle città
post epidemia di Maurizio Carta, pubblicata su queste pagine. In queste
settimane vedo un frammento di Palermo da una finestra che guarda una grande
piazza, in genere è caotica, disordinata, piena di smog. Adesso è lineare,
silenziosa, pulita, percorsa dai mezzi che hanno davvero necessità di essere su
strada. La stessa cosa, penso, si possa dire di altre parti del capoluogo e
della Sicilia. Ci sono le foto che impazzano sui social a dimostrarlo. E allora
ti fai due domande. Ci voleva un impercettibile virus per farci vivere in
maniera più ecologica, rispettosa del territorio, di noi stessi e degli altri?
La risposta al primo quesito è semplice e dolorosa. Più creativa può essere la
reazione alla seconda domanda. Cosa possiamo fare come palermitani (ma simili
riflessioni si possono avanzare per ogni parte del pianeta tenendo conto delle
specifiche differenze), per non tornare a come eravamo prima, portandoci
appresso le, poche, virtù, e lasciando per strada i, tanti, vizi? Ci sono due
dimensioni che si intrecciano. Una legata alla vita personale, familiare,
sociale e l’altra alle dinamiche che possono innescare le amministrazioni
cittadine, centrale e circoscrizionali. Ecco, una prima cosa che si potrebbe
mettere in campo da parte del consiglio comunale è quella di portare finalmente
a compimento il decentramento. Che significa municipalità e capacità più
attente e tempestive di intervento sui territori. Perché dobbiamo ricordarci
che una città, a maggior ragione una metropoli, è fatta di tante realtà, tutte
bisognose di cure e interventi differenti. Un altro aspetto che ci possiamo
portare nel bagaglio amaro, drammatico, di queste settimane, che forse saranno
mesi, è che c’è bisogno di più controllo del territorio. Se è possibile
metterlo in campo in un periodo d’emergenza, si può continuare a farlo pure
dopo. Un altro punto che l’amministrazione di questa città deve continuare a
curare, come si fa in questo periodo attraverso i video, è il dialogo costante
con le persone, i cittadini. Anche attraverso, quando recupereremo la
socialità, assemblee pubbliche nelle varie zone della città. Per raccontarsi
questo brutto frangente e capire come ripartire. Insieme e meglio. Dicevamo che
c’è pure una dimensione personale, familiare, sociale che il virus ci impone di
rivedere non soltanto adesso. Innanzitutto l’uso scriteriato dei mezzi privati.
Dopo tutto questo dovremmo imparare a chiederci se tutti i nostri spostamenti
inquinanti sono sempre necessari. Ma anche nell’uso del territorio, nel quale
ciascuno fa ciò che vuole, dovremmo portarci appresso qualche fermo immagine
delle strade come sono ora. Senza seconde o terze file, senza mezzi davanti
agli scivoli o sulle strisce pedonali. Comportamenti che a Palermo sono la
norma. Un terzo ambito, tra i tanti sia chiaro, ciascuno faccia la sua analisi,
su cui sostare bene dopo, a prescindere dai divieti, è il concetto di
divertimento. Che non può essere selvaggio, predatore e non rispettoso delle
altrui esigenze di vita. Proviamo dopo a mettere in campo una movida gentile e
non selvaggia. Una vita relazionale, anche diurna, improntata all’empatia, alla
comprensione che non siamo da soli e non possiamo salvarci da soli ma
attraverso un’ordinata vita comunitaria. Dovremmo curare l’esterno come
facciamo con le nostre case. Anche collaborando a segnalare sia ciò che non va
che i comportamenti sbagliati. Come facciamo adesso. Non è fare le spie. E’ costruire civiltà. Ma prima di
fare tutto ciò, di vedere la speranza in fondo al tunnel, di uscire fuori da
esso e respirare a pieni polmoni, dobbiamo fare in modo, altrimenti chissà
quando rivedremo la luce, di mettere in sicurezza, per tutto il tempo che
occorre, chi ci sta aiutando, ossia il personale sanitario. Se cadono coloro
che ci vengono in soccorso, che non sono eroi, ma professionisti che devono
essere messi in condizione di svolgere al meglio il loro lavoro, avremo molte
difficoltà a riveder le stelle, come scrive il sommo poeta alla fine
dell’inferno. E di conseguenza a immaginare e vivere un futuro migliore del
tempo che ha anticipato la venuta del coronavirus.
Sottoscrivo.
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