La Repubblica Palermo – 15 aprile 2020
Il vizio del giustificazionismo, dalla mafia
alle arrustute
Francesco Palazzo
Nella vicenda delle arrostute fuori ordinanza nei
quartieri popolari, Sperone, Zen o altri luoghi (ma ci sono state pure le
silenziose riunioni familiari sotto i tetti o in ville esclusive di famiglie
borghesi), registriamo il giustificazionismo avanzato da più parti. Storia
vecchia, che ci ritroviamo servita pure in tempo di pandemia, tra una fetta di
cassata, un pezzo di salsiccia e un bicchiere di vino. Insomma, ci risiamo. La
gente dei quartieri periferici e/o popolari, mischina, lo fa sempre
per necessità. Gli strati popolari sono innocenti per definizione. E invece,
visto il momento di frontiera che stiamo vivendo, occorre ragionare. Sine ira
et studio, senza simpatia e pregiudizio, come dicevano i latini. Capiamoci. Il
filone è stato ampiamente visitato pure su una tematica più decisiva di alcune
semplici, ma potenzialmente contagiose, grigliate di gruppo. Ad esempio, nei
confronti degli atteggiamenti che si tengono verso Cosa nostra. Da una parte
abbiamo la colpevole borghesia mafiosa, la sua parte connivente e complice dei
mafiosi, che secondo lo schema in uso non ha attenuanti. Dall’altra il popolo
dei quartieri che appoggia, parliamo sempre di una parte, le cosche perché
minacciato e povero di poderosi strumenti culturali ed economici per tentare
una contrapposizione. Scuserete una divagazione personale. I miei nonni sono
nati a Brancaccio e hanno sempre lavorato spaccandosi la schiena. E tanti della
zona come loro. Mio padre, che non era professore universitario, ma lavorava la
terra e commerciava in frutta e verdura, nato e vissuto a Brancaccio, si alzava
alle 4 e tornava dal lavoro alle 21. E tanti come lui. Io sono nato a
Brancaccio, come tanti di diverse generazioni. Non ci siamo mai sentiti
giustificati di nulla. Nessuno nasce giustificato. Se cominciassimo a fare
mente locale su questo, anche in un momento d’emergenza, forse ci troveremmo
tra le mani una chiave di lettura diversa di Palermo, per costruire il dopo
coronavirus. Magari abbattendo gli angusti e obsoleti steccati tra centro e
periferie, dirigendoci verso una moderna città multicentrica. E chissà quando
sul decentramento amministrativo si passerà dalle parole ai fatti. Il
giustificazionismo è secondo me fondato su una questione. Negare che i
comportamenti delle persone, allo Sperone o in altri posti, siano coscienti.
Non ritenere che le persone possano essere in grado di capire ciò che fanno è
per me davvero guardare gli altri dall’alto in basso. Forse si tende a
considerare alcuni strati sociali non in grado di autodeterminarsi perché così
si può reiterare all’infinito "l’aiuto" compassionevole. Occorre
ammettere che, in Via Libertà, allo Sperone, dove abita tanta gente perbene,
colta e onesta, o in qualsiasi altro posto a Palermo, si possono mettere in
campo, attraverso modalità palesi o discrete, giusti o errati comportamenti
deliberati e consapevoli. Va detto, infine, che occorre evitare l’altra faccia
del giustificazionismo, che è il colpevolismo ad ogni costo. L’approccio deve
essere diverso. A tutti i cittadini e le cittadine di Palermo devono essere
riconosciute le capacità di contribuire a modellare una città sempre migliore.
Cercando di abbandonare i pulpiti dai quali si pretende d’insegnare, fornendo
magari alibi perniciosi che diventano montagne, a esseri umani che capiscono
molto bene.
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