La Repubblica Palermo – 12 maggio 2020
Come sfruttare la tecnologia quando finirà
l’emergenza
Francesco Palazzo
Tutti sentiamo la necessità di una
vita con ritmi diversi e nuove consapevolezze. Non possiamo proseguire
come se la pandemia non ci stesse interpellando nel profondo. La tecnologia, in
questo passaggio storico, è una fondamentale alleata. Sarebbe, ad esempio, non
comprensibile se ritornassimo alla vita lavorativa con i vecchi arnesi. Stiamo
scoprendo, ma in fondo lo sapevamo già, che si può lavorare dalle nostre
dimore. Per le pubbliche amministrazioni questo vorrebbe dire, pensando al
dopo, se ben gestito, un aumento della qualità del lavoro e un risparmio di
risorse. I bilanci sono ingessati da spese correnti, legate anche al
funzionamento delle strutture. Lo smart working consentirebbe di avere notevoli
abbattimenti in termini di possesso e mantenimento di tali luoghi. Rendendoli
più snelli e liberando fondi da destinare allo sviluppo. Si dovrebbe procedere
a una riorganizzazione del lavoro. Siamo in emergenza, ma successivamente si
potrà pianificare meglio il lavoro agile, sfruttando a pieno regime reti,
piattaforme, software e processori, al fine di rendere più agevoli e veloci
servizi ai cittadini. Anche l’aspetto spirituale ha mutato forma. Grazie a
dispositivi sempre più sofisticati, che ormai pure i nostri anziani maneggiano
bene, abbiamo visto che la religiosità può essere vissuta pur nel
distanziamento fisico. Prendiamo atto che la Chiesa cattolica, la quale con le
chiese vuote è riuscita a parlare al mondo meglio di prima, anche a coloro che
non le frequentano, si sta mettendo al sicuro tornando il 18 maggio alle
celebrazioni, legittime e necessarie per i credenti, sia chiaro, nei templi con
i fedeli. In un momento, però, in cui nessuna assemblea pubblica è autorizzata
e non attendendo dunque che tutto il popolo fuori dalle sagrestie sia nelle
stesse condizioni di agibilità. A parte la forma, c’è sostanza sulla quale
riflettere. Tornare a chiudersi nelle chiese è uno schema vincente? Sarebbe più
conducente aggiungere altre dimensioni più orizzontali nel rapporto
Chiesa-mondo, tema centrale del Concilio Vaticano II. Un sacerdote, in questi
mesi, ha mandato messaggi segnalando le letture domenicali da meditare nello
stesso momento e poi commentare condividendo i pensieri. È un modo, tra i
tanti, per rendere la vita delle comunità cattoliche sempre meno legata alle
gerarchie clericali. Un altro settore toccato dall’impossibilità di stare
insieme è quello della scuola. Limitandoci alle superiori e alle università,
perché per i più piccoli il ragionamento sarebbe complesso, si è visto che
l’insegnamento e l’apprendimento possono essere validati senza l’interazione
fisica. Che non va eliminata, ma tarata secondo criteri che non siano "io
parlo e voi ascoltate", perché si può fare pure da casa. Risparmiando,
pure in questo caso, soldi pubblici, da investire sempre nella scuola, per
utilizzare al meglio le tecnologie e consentirne a tutti l’accesso. Chiedevo
l’altro giorno a mio nipote se i video delle lezioni rimangono memorizzati per
approfondire meglio in seguito. No, la cosa finisce, da quello che ho capito,
col bello della diretta. Il dopo-coronavirus dovrà farci ricalibrare pure le
istituzioni scolastiche, la didattica, i modi con i quali viene proposta e
probabilmente molti suoi contenuti. Il tutto va riconsiderato più a misura di
chi apprende, pensando che può farlo in tanti modi e che i banchi e le
cattedre sono soltanto un approccio. Lavoro, spiritualità e scuola sono tre
aspetti. Altri ne potremmo introdurre, sempre parlando del dopo, su ambiti non
meno importanti, come salute e cultura rispetto alle conquiste tecnologiche che
permettono accessi dalle proprie abitazioni, per citare altri due soli settori.
Accanto a questi percorsi da remoto, occorre poi costruire in tutti gli ambiti
rinnovati momenti di contatto fisico, sviluppando più la qualità che la
quantità. Il Covid ci ha fatto mettere il piede sull’acceleratore dell’innovazione.
Sarebbe non saggio, quando tutto sarà finito, che scendessimo dall’auto
ripercorrendo a piedi all’indietro le nostre passate orme.
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