lunedì 9 luglio 2007

CENTONOVE DEL 6 LUGLIO 2007 - Pag. 38

L'omosessualità e la scuola in castigo
di Francesco Palazzo



A bocce ferme è forse utile tornare sul caso dello studente palermitano, punito dalla professoressa perché ha offeso e discriminato un compagno etichettandolo come omosessuale. Se bastasse far scrivere come castigo “sono un deficiente” su un quaderno, come accaduto in questo caso, per risolvere i problemi della scuola, e di conseguenza quelli della società, avremmo fatto tutti un passo in avanti dopo l’assoluzione della docente. Quest’ultima era stata accusata dai genitori del ragazzo, pensiamo un tipo abbastanza normale, che tanti se ne possono incontrare fuori e dentro gli istituti scolastici. Ragazzi che, pur volenterosi nello studio e magari anche rispettosi dei propri simili in quasi tutti i contesti esistenziali, si lasciano andare in alcuni momenti a parolacce e insulti quasi per gioco, volendo in questo imitare gli adulti, che consegnano loro esempi di deficienza a palate. Volendo contestualizzare l’argomento specifico, terreno dell’offesa del ragazzo al suo compagno, ossia l’omosessualità, come non dire di quanto la tematica sia, in tutti gli spaccati sociali, oggetto di battutine e derisioni feroci, soprattutto da parte del settore mascolino dell’umanità siciliana? Quante ammissioni di deficienza dovrebbero essere trascritte fuori dalle aule scolastiche? Non basterebbero i quaderni di tutte le cartolerie presenti nella regione. E come non rilevare che la stessa chiesa cattolica ha un atteggiamento di biasimo nei confronti degli omosessuali? Nel migliore dei casi addolcito con sospirata misericordia, come se ci si trovasse di fronte a degli appestati da capire e compatire. Deficiente anche la chiesa? Se ne può discutere. Chissà se mai troverà qualche insegnante che la metta per questo dietro la lavagna. Possiamo fortemente dubitare che ciò accadrà e se si verificasse già si possono immaginare le critiche che pioverebbero addosso ad un simile atto pedagogico, altro che la solidarietà espressa nei confronti dell’insegnante in questione. Con i forti è più conveniente essere deboli e chinare la testa. Più agevole per l’opinione pubblica mettere al centro un ragazzo, l’ultimo anello, il più debole della catena, sul quale quindi si può essere forti. In fondo, definire bullo un adolescente è la cosa più facile di questo mondo, ormai è quasi una moda, praticata in massa perché mette tutte le cosiddette agenzie educative con la coscienza a posto. Prendersela con i genitori è poi ancora più semplice. Immaginate, però, se vostro figlio tornasse a casa con un quaderno pieno di “sono un deficiente”. Parola che significa anche lacunoso, carente, d’accordo, ma nel linguaggio comune, come sappiamo, vuole dire principalmente cretino. Volendo, comunque, prescindere dal caso specifico, ci pare che, nella sostanza e nella forma, si potrebbero approntare metodi diversi per affrontare vicende simili. Sulla sostanza si è già detto prima. Non si può far pagare ad un ragazzo tutta la cultura omofobica che pervade la società e l’istituzione religiosa più rappresentativa del paese. Per quanto riguarda la forma si dovrebbe, invece di procedere a interventi sanzionatori diretti, individuali e bruschi, attivare tutti i meccanismi collettivi e democratici interni alle scuole. Nel rapporto con i ragazzi non si può pensare che i fini giustifichino i mezzi. Fini e mezzi devono essere condivisi il più possibile da tutta la comunità scolastica, comprese ovviamente le famiglie. Perché se il mezzo è sbagliato, e far scrivere cento volte la frase “sono deficiente” lo è, il fine della convivenza civile difficilmente si potrà raggiungere. Il ragazzo, se proprio è una sua convinzione, continuerà a ritenere che un gay non possa entrare nel bagno degli uomini (torna alla mente l’uguale divieto, brandito per motivi opposti, contro l’onorevole Luxuria alla Camera dei Deputati). L’adolescente oggetto dell’insulto, la prossima volta, in assenza di regole certe e solo in presenza di reattive azioni personali, non saprà a che santo rivolgersi. La fine auspicabile di questa storia, se ci pensiamo bene, doveva essere quella di far riavvicinare i due adolescenti in modo che si potessero parlare e, se possibile, chiarire. E questo si può sempre fare, ed è compito della scuola e delle famiglie impegnarsi in tal senso. Per il momento si brinda ad una sentenza d’assoluzione che, pur corretta in termini di diritto e condivisibile in quanto al buon senso, non permette a nessuno di fare anche un minimo passo in avanti.

1 commento:

  1. Caro Francesco, non sono d'accordo con te sulla analisi effettuata circa il fatto in questione. Secondo me la professoressa ha giustamente punito il ragazzo e probabilmente in un modo anche troppo "soft". Non che dovesse essere impiccato, ma alla fine penso che scrivere "sono un deficiente" (anzi "un deficente" come ha erroneamente scritto), possa essere stato un modo come un altro per fare riflettere lui e i suoi compagni sull'inutilità e la inciviltà del suo gesto. I suoi genitori hanno fallito nell'educazione del ragazzo e, a dirla tutta, mi fanno un poco pena. Infine, spesso leggiamo fatti di cronaca dove il debole e/o il diverso vengono insultati, maltrattati e derisi. Se passa l'idea che la professoressa ha sbagliato, per favore, non facciamo gli ipocriti indignandoci.

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