LA REPUBBLICA PALERMO – MERCOLEDI’ 18 LUGLIO 2007 – PAG. XI
Quel grido di Borsellino e l´allarme del procuratore
FRANCESCO PALAZZO
Quel grido di Borsellino e l´allarme del procuratore
FRANCESCO PALAZZO
Alla vigilia dell´anniversario in cui si ricorderanno Paolo Borsellino e la sua scorta, Francesco Messineo, procuratore della Repubblica di Palermo, ossia il vertice dell´ufficio giudiziario più esposto in Italia nella lotta a Cosa nostra, viene sentito dalla commissione Antimafia nazionale, in visita in città. Non da quella regionale, perché ancora, a più di un anno dell´insediamento dell´Ars, è ingiustificatamente inesistente. L´alto magistrato dice, senza giri di parole, che tra qualche mese il suo ufficio potrebbe essere decapitato. La causa è una norma transitoria contenuta nel nuovo ordinamento giudiziario in fase d´approvazione, che prevede la variazione d´incarico per quei magistrati che prestano servizio da più di otto anni nelle stesse funzioni. Una previsione molto preoccupante proprio perché fondatissima. Il giorno dopo ci si aspetterebbero prese di posizione a raffica, almeno dello stesso tenore di quelle che hanno accompagnato l´esilarante e innocua, a dire il vero, battuta siculo-pakistana del ministro dell´Interno. Invece silenzio, tranne una vaga rassicurazione dai membri della commissione Antimafia. Non è la prima volta che da Palermo giunge un segnale di questo tipo. Proprio Paolo Borsellino, il 20 luglio del 1988, da procuratore di Marsala, lanciò un allarme fortissimo sul fatto che c´era il pericolo di una demolizione del pool antimafia istituito da Rocco Chinnici e poi perfezionato e portato alle sue massime potenzialità da Antonino Caponnetto. «Ci sono tentativi seri - rivelò il magistrato a l´Unità e a Repubblica - per smantellare definitivamente il pool antimafia dell´ufficio istruzione e della Procura di Palermo. Stiamo tornando indietro come dieci o venti anni fa». L´intervista suscitò scalpore in tutto il Paese, e Borsellino rischiò pure un procedimento disciplinare. Ci volle un intervento del presidente della Repubblica per aprire una procedura d´approfondimento su quanto stava accadendo o rischiava di succedere all´interno degli uffici giudiziari palermitani. Poco prima di morire, il 25 giugno del 1992, alla Biblioteca comunale, nel suo ultimo incontro pubblico, Borsellino spiegò perché aveva rilasciato quell´intervista: «Rischiai conseguenze professionali gravissime. E forse questo lo avevo messo nel conto. Mi dissi che l´opinione pubblica almeno doveva sapere e conoscere. Il pool doveva morire davanti a tutti». Sono trascorsi quasi vent´anni da quegli eventi, ricordarli oggi serve non tanto per giudicare il passato ma per guardare al presente. Quasi due decenni addietro, davanti a un forte monito lanciato da un magistrato, si mosse tutta l´Italia sino al capo dello Stato. Palermo faceva notizia. Oggi il procuratore capo di Palermo può affermare tranquillamente che tra alcuni mesi il suo ufficio sarà costretto a fare a meno di quasi tutte le professionalità più significative, e ciò "scatena" solo qualche riga di cronaca sui quotidiani e non smuove dalla quiete tombale la cosiddetta società civile. le istituzioni e le formazioni politiche d´ogni risma e colore. I tempi che cambiano, si potrebbe dire. Evidentemente non in meglio. Per finire, una banale considerazione. Che la commissione Antimafia venga a Palermo è un evento sicuramente positivo. Un po´ meno lo è la circostanza che senta soltanto il bisogno di verificare il lavoro degli apparati giudiziari e investigativi. Ma una commissione che nasce dal Parlamento, e che quindi è espressione a tutto tondo della politica, non doveva in primo luogo prendere perlomeno un caffè con i vertici della politica regionale e con i rappresentanti dei partiti? Perché così non facendo dà l´errata impressione che la lotta alla mafia sia circoscrivibile all´azione giudiziaria e a quella delle forze dell´ordine. Mentre invece è la politica che una simile commissione deve centrare sempre più nel mirino. Sarà per la prossima volta.
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