CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 3 - Pag. 13 - 22/1/2010
Quelle virtuose taroccate
Francesco Palazzo
Una delle prime notizie di quest'anno ha sorpreso un po' tutti. Se eravamo ad aprile si poteva pensare al classico pesce che tradizionalmente apre il mese. Ma è tutto rigorosamente vero. I conti del comune di Palermo e Catania, riferiti al bilancio del 2008, sono tra i più virtuosi, come certificato da un decreto ministeriale. Si tratta di un provvedimento che notifica dei bonus di spesa che il governo ha ricevuto dall'Europa in deroga al patto di stabilità. Opportunità che Roma ha trasferito ai comuni. Stilando una graduatoria su chi può spendere più e chi può farlo in misura minore. Vediamo di ragionarci su un attimo. Le valutazioni sui bilanci degli enti pubblici, come dimostrano le proteste dei sindaci di Reggio Emilia e Bergamo, premiate incredibilmente, insieme a Firenze e a Bolzano, in misura minore rispetto a Catania e a Palermo, risultano, almeno nel caso specifico, abbastanza controverse. Pare che, infatti, ad esempio, il comune palermitano si sia classificato ai primi posti perché gli è stato consentito di non inserire le somme stanziate per i tremila precari stabilizzati. Ma, in ogni caso, così come le classifiche sulla qualità della vita, che spesso ci penalizzano, e che commentiamo in tal senso, pur esponendosi anch'esse a valutazioni critiche circa i parametri utilizzati, anche quest'ultima graduatoria va presa per come ci si presenta. Comprendiamo, quindi, il fatto che l'amministrazione del capoluogo di regione, (e possiamo supporre anche quella catanese), sia contenta di tale attestazione. Ma lo sono allo stesso modo i palermitani? Domanda non oziosa. Visto che chi guida l'amministrazione ha dovuto ammettere che, a fronte di improbabili virtuosismi sui numeri, “le nostre disponibilità finanziarie ci hanno costretto a ridurre i fondi destinati alle attività sociali, alla cultura, alle manutenzioni”. Cioè il comune di Palermo si trova talmente messo male in quando a disponibilità finanziare che è stato costretto a penalizzare quelli che sono i tre motori principali di ogni ente locale. Scommettiamo che a Bergamo, Reggio Emilia, Bolzano e Firenze ciò non è avvenuto? Se i tre ambiti vengono sacrificati, la comunità soffre nelle fasce più deboli, non cresce quel bene immateriale, ma fondamentale, che è la cultura, in qualsiasi forma si possa essa intendere, e non si mette mano, per come si dovrebbe, a interventi ordinari di manutenzione. I conti dei bilanci, più o meno taroccati, e quelli della politica dovrebbero procedere di pari passo. Se c'è un allineamento tra i primi e i secondi, allora c'è ragione di essere contenti della propria azione. Ma se si butta a mare la politica, cioè se si mortificano aspetti essenziali della comunità che si governa, i conti non tornano più. Nel senso che se il comune di Palermo avesse tenuto il livello delle attività sociali, di quelle culturali e delle manutenzioni, per tacere d'altro, in una posizione non diciamo eccellente, ma appena discreta, ecco che i conti della politica avrebbero affogato nella disperazione i conti di carta. Può essere che questa sia un'ipotesi di lavoro utile anche per il comune di Catania? Se io ho solo qualche euro al giorno per campare, e non spendo nulla neanche per nutrirmi, per paura di rimanere completamente al verde, posso ben dire di avere i conti a posto, ma posso anche candidarmi per occupare un bel loculo al cimitero. A questi ragionamenti è legato un altro problema politico, che, pur essendo basilare, non trova posto nel dare e avere dei bilanci. Palermo e Catania sono metropoli in cui, nell'ultimo decennio, è tornata a prevalere la sommatoria, confusa e predatoria, di tanti egoismi personali. Non c'è un'idea condivisa di città. Se un visitatore prova a farsi una passeggiata, nei vari salotti dei due centri, così come nelle tante periferie, vedrà tanti soggetti che si riconoscono solo in se stessi. Ora, chi governa deve indicare quale città ha in mente. Deve trasmettere questa idea e farla capire a tutti. E', questo, un contributo importante affinché un insieme indistinto di persone diventi una comunità viva, unita. Anche, e soprattutto, in questo si misura la presenza di quanti sono chiamati ad amministrare. Possiamo essere ragionevolmente sicuri che a Reggio Emilia, Bolzano, Firenze e Bergamo i conti della politica e quelli finanziari vadano di pari passo. E che non si cerchi di apparire in regola con i bilanci a scapito dei diritti elementari di cittadinanza. E che, soprattutto, nelle città citate esiste un tessuto di condivisione urbana collettiva che è il vero identikit di una comunità. A noi rimane soltanto, quando ci riesce, tappare, attraverso equlibrismi di bilancio o piani di rientro, le falle di una spesa pubblica in perenne bolletta. E' quello che ci resta. Perché i buchi della politica, ormai, sono talmente compromessi che neanche li mettiamo più nel conto.
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