venerdì 6 maggio 2011

Tabella H: cambiare nome ma non abitudini

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
6 maggio 2011
Pag. 46
Se la Tabella H cambia nome
Francesco Palazzo

Quando non si possono, e non si vogliono, cambiare le cose, si cambiano le parole. Se non ci si vuole neanche sobbarcare la fatica di mutare i vocaboli, basta utilizzare qualche altra lettera dell'alfabeto. E il gioco è  fatto. In fondo è abbastanza semplice. Uno strumento di spartizione, ad personam e ad associazionem, che prima si chiamava tabella H, è stato chiamato tabella B. Un balzo all'indietro di ben sei caselle nel gioco dell'oca alfabetico, per quella che comunque, e chissà per quanto tempo ancora, si continuerà a chiamare tabella ex H o direttamente H. Ma è solo un gioco di prestigio. Uno dei tanti a cui ci ha abituato il parlamento più vecchio d'Europa. La sostanza è sempre la stessa. Piccioli mansi, soldi facili, da spendere più o meno allegramente. Pare che dietro ad ogni finanziamento, a questa o quella realtà associativa, certo con qualche eccezione, si possa pure mettere la fotografia sorridente di questo o quel deputato. Ogni sodalizio ha un big sponsor, i più importanti ne hanno più d'uno. Chi non riesce a trovare un santo in paradiso, che in questo caso coincide con gli scranni dell'ARS, è tagliato fuori dalla suddivisione della succulenta torta. Perché, diciamolo chiaramente, tanti ci provano ad entrare nel circo del finanziamento facile. Tuttavia. per molti, pur sforzandosi al massimo, è più facile passare dalla cruna dell'ago che entrare nel regno dei salvati. Come si legge nel vangelo di Matteo, “molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”. E non ci riferiamo ai novanta onorevoli dell'ARS, che invece sono tanti e dei quali occorre placare i diversi appetiti, talvolta, come abbiamo visto ultimamente, graziosamente contemplati pure dal codice penale, ma proprio a coloro che accedono a questo tipo di finanziamenti. Che non si pongono il problema di modificare questo osceno mercato delle vacche. Grasse. E non se lo pongono perché chi è dentro il sistema ha raggiunto il suo scopo e chi non c'è tenta di entrarci con gli stessi criteri. Qualcuno si oppone. Conosco un solo caso, il Centro siciliano di documentazione Impastato, che scrive nella homepage del sito: “Il centro è autofinanziato perché contesta le pratiche clientelari di erogazione del denaro pubblico”. Ma è talmente isolato, anche se autorevole, che non da alcun fastidio al meccanismo ben oleato che ogni anno si mette in moto con scientifica precisione. Poi, magari, così va la vita, ci tocca di assistere a lezioni di moralità, e di richiamo alla buona politica, proprio dalle stesse realtà che ricevono i soldi, pubblici lo sottolineiamo ancora, seguendo una prassi che è giusto chiamare con il nome corretto: clientelare. Né più, né meno. Si tratta, poi, di contributi con molti zeri, a fondo perduto. Non si capisce come si fa, in tempi di crisi, con le casse regionali in quasi bancarotta, quando a molti si chiede di tirare la cinghia, a scucire cinquanta milioni di euro in questo modo. Anni addietro, proprio per garantire risorse a chi ne ha veramente bisogno, si era avanzata la proposta che, ove possibile, la regione fornisse esclusivamente beni e servizi, garantendo controlli serrati nelle rendicontazioni. Ovviamente, non se ne fece niente. Il perché è possibile comprenderlo da un frangente della seduta dell'ARS di giovedì 28 aprile. A un certo punto, un deputato, agitando la lista con la rimodulazione dei fondi, ha esclamato: “qui c'è la prossima campagna elettorale”. Ogni tanto un po' di verità è possibile rintracciarla pure negli atti parlamentari.

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