venerdì 9 dicembre 2011

Samuele e la città che si sveglia un attimo dal torpore.

LA REPUBBLICA PALERMO - VENERDI' 9 DICEMBRE 2011
Pagina I

La pietà per Samuele il silenzio per gli altri

Francesco Palazzo

E sì che è facile dare solidarietà al piccolo Samuele. Di più, amore disinteressato da parte di chiunque si avvicini a questa storia di sofferenza. Ed è, allo stesso, modo, automatico esprimere disprezzo per chiunque abbia ridotto il suo corpicino in quello stato. Ricordate quella madre che anni fa lasciò una bambina appena nata in un cassonetto di un quartiere periferico di Palermo? Centro storico ora e un quartiere marginale allora. Come si vive in questi posti? Male. E quelli che ne pagano il prezzo più alto sono i bambini. No, non penso a Samuele. Forse lui si salverà. La violenza estrema che ha subito è riuscita a squarciare il velo del silenzio e la pietà dei tanti è accorsa al suo capezzale. Perché una città che non è più, da tempo, una vera comunità, ha bisogno di questi episodi per risvegliarsi un attimo dal torpore. E poi tornare a dormire. Perché se questa metropoli fosse quello che da tanti anni non è, appunto una città che si riconosce in se stesa e sa curare in tempo i propri mali, o che almeno ci tenta, saprebbe che tanti Samuele vivono, più o meno, così. Questi, la città che non è più città, non li vede. Se gliene capita qualcuno soffocante tra i piedi, allora spuntano i peluche. Siamo pure vicini a Natale. Il quadretto è completo. Cinicamente, Palermo risolve tutto in maniera scontata. Non vedendo gli altri Samuele, prima che abbiano i fegati distrutti o le faccine tumefatte. E non vedendo neanche i loro genitori. Sì, perché ci sono anche loro. Vittime e carnefici nello stesso tempo. Non si tratta, qui, di fare del pietismo o del sociologismo a buon mercato. Le colpe sono sempre individuali, nelle comunità che sono tali. Ma in una città che non è più una città, chi può scagliare la prima pietra? Onestamente, nessuno lo può fare. In primo luogo non ne ha titolo una moltitudine di cittadini che si è ridotta a vivere la propria casa come il massimo della vivibilità e a depredare tutto quello che può per sé dal territorio e dalle relazioni che in esso s´instaurano. Non può dire niente la politica. Quella che in questi ultimi dieci anni non ha amato neanche se stessa, quel minimo di dignità che tutti dovremmo sentire verso le cose che facciamo. E non può dire niente quella che scalda i motori per conquistare il palazzo del potere. A volte, abbiamo l´impressione, il potere per se stesso. Basta vedere cosa è diventata, da una parte e dall´altra, la corsa per ricoprire la poltrona di primo cittadino: una specie di concorso tra prime donne a lame sguainate. Ma cosa può dire o dare questa politica ai Samuele di Palermo? Se proprio si presentano moribondi, un peluche e retorica a tonnellate non si negano a nessuno. Fanno fare bella figura e sono politicamente corretti. Cosa può dire e dare ai loro padri e alle loro madri, prima che alzino il braccio più del solito e diventino mostri della cattiva coscienza altrui? Niente di niente. Li ha persi di vista da tempo. In una città come questa, dove ormai sopravvivi se hai i mezzi per farlo, se appartieni alla tribù giusta, dove si è persa la dimensione di una collettività che abbia qualche scopo comune, a qualche Samuele può toccare per caso di riemergere fortunosamente dal buio. Per gli altri niente da fare. Almeno sino a quando non toccherà al prossimo.

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