CENTONOVE
Settimanale di Politica, Economia, Cultura
N. 13 - 6 Aprile 2012 - Pag. 12
Palermo, rigori e autogol
Francesco Palazzo
A un certo punto si cominciò a parlare del famoso rigore a porta vuota. Metafora un po' spinta, a dire il vero, perché il calcio dal dischetto non è mai a rete sguarnita. Scarso per quanto possa essere, c'è sempre un portiere che ci prova a catturare il pallone. Ma poi quali sarebbe stata la genesi, il principio, il brodo di coltura, di questo tiro a rete avversaria abbandonata? Nel centrosinistra, a Palermo, si erano convinti che bastava una doppia sindacatura indescrivibile del centrodestra per diventare magicamente maggioranza. Così, per incanto, senza nemmeno sudare tanto. Fesseria col botto, ovviamente. Il centrosinistra, diciamo della foto di Vasto o di qualsiasi altra istantanea, in città non vale più del 35 per cento. Neanche Santa Rosalia, impegnandosi a fondo, ci può a farlo andare più in alto. E raggiunge tale numero, sia chiaro, solo quando è messo bene in salute e in forma smagliante. E non è il nostro caso. Dalla convinzione, errata, che si avesse già la vittoria in tasca, si è cominciato a fare melina, annacamenti vari, giri a vuoto. Tanto la palla era sul dischetto e bastava tirare. E che ci voleva. Pure un brocco ci poteva riuscire, mica occorreva arruolare un fuoriclasse. Che poi vallo a trovare, a Palermo, un fuoriclasse, un campione vero. E siccome il gioco era una storia semplice, ciascuno ha pensato bene di cominciare a spartirsi il bottino della vittoria prima ancora di averlo conquistato. Tanto era soltanto una pura formalità. Il pallone era lì, fermo e immobile da due lustri, la porta vuota, il portiere avversario chissà che fine aveva fatto, la folla acclamante, gli avversari, in grande difficoltà, facevano pure la ola. Questo fermo immagine, che era più un prodotto della mente che l'effettiva realtà, a un certo punto è diventato una specie di dogma irremovibile. Uno si poteva pure distrarre un po'. Prendersi una vacanza. Pure lunga. Tanto la cosa era fatta. Poi bastava tornare davanti allo schermo mentale per rassicurarsi e rassicurare. Dischetto, pallone, portiere (anzi no, il portiere non c'era, perché nella rappresentazione del centrosinistra palermitano il rigore è a porta vuota), arbitro con il fischietto in bocca sempre più spazientito pronto a dare il via all'esecuzione, tifosi in delirio, avversari sempre più boccheggianti, stramazzati e inermi ai bordi del campo. Tutto pronto. Sì, tutto pronto. Tiri tu o tiro io? Aspetta, e che fretta c'è! Non è giusto vincere facile, che poi uno che figura ci fa. Si sfoglia la margherita. Primarie sì, no, forse. Il tempo è ancora tanto, la sfera rotonda adagiata sul campo. Passano mesi. E meno male che lo slogan era Palermo è ora. Primarie sì. Partiti e movimenti, dopo essersi vomitati addosso di tutto, fanno un patto di non belligeranza in un albergo con le pistole sotto i tavoli. Si presentano quattro allenatori, due donne e due uomini (pardon giovani, che fa più trendy), per fare un mini torneo aziendale e ammazzare il tempo. Così, in amicizia. Scappano pure diversi cazzotti e qualche mitragliata. Ma serve solo per provare meglio gli schemi. Poi la conta ai gazebo è stata la festa dell'impossibile ma vero. Pure le schede elettorali da collezione abbiamo visto. E mi sa che quanto non abbiamo visto, e che forse un giorno sapremo, è anche peggio. Ora i gazebo sono stati disfatti e qualcuno è riuscito a trovare finalmente il pulsante per interrompere il fermo immagine. Non c'è più il pallone nel dischetto, non si vede nemmeno la porta, si è costretti a fare catenaccio in difesa, come sempre del resto, la squadra contraria ha trovato qualcosa negli ultimi giorni di mercato e i tifosi si sono divisi in due squadre e, quando sono calmi, si prendono a calci sugli stinchi, male parole su facebook e sputi in faccia. C'è chi dice che così si raccolgono più voti. Vedremo. Ma noi, in compenso, siamo più tranquilli e rilassati. Perché il rigore a porta vuota, effettivamente, non l'avevamo mai visto e non lo vedremo. Mentre questo epilogo lo conosciamo a memoria.
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