La
Repubblica Palermo
19
settembre 2018
LA
CONVERSIONE DEGLI INDIFFERENTI
Francesco
Palazzo
Ora che l’entusiasmo per
una giornata particolare si è posato sulla quotidianità, torniamo su alcuni
messaggi lanciati dal Papa. Facciamolo guardando don Puglisi, riferimento della
visita. Partiamo dall’uso del termine populismo, fatto al Foro Italico durante
l’omelia. Si indica un populismo cristiano al servizio del popolo, senza grida,
accuse e contese. Il populismo è arnese delicato. Ce ne sono modelli virtuosi?
Può essere. Ma non dimentichiamo che Puglisi, a Brancaccio, non liscia il gatto
per il verso del pelo. È un segno di contraddizione. Grida, anche dal pulpito
negli ultimi tempi, accusa i mafiosi, suscita contese, pure in parrocchia, dove
trova contrapposizioni. Arriva in solitudine a quel colpo di pistola alla nuca.
Più che col populismo si pone come il Gesù dei Vangeli. Sferza la sua gente, la
mette di fronte a se stessa, non ne asseconda ogni tendenza. Un altro tema
lanciato da Francesco è quello della conversione rivolta ai mafiosi. In
cattedrale però, davanti ai suoi, affronta, parlando della religiosità
popolare contaminata talvolta di mafiosità, il vero tema. Che è quello del «convertiamoci
» più che del « convertitevi » . È un aspetto che andrebbe declinato meglio,
visto che è l’ambito decisivo nella lotta alle cosche. I mafiosi che in questi
ultimi decenni si sono pentiti non sono pochi. Più difficile il ravvedimento
dei non mafiosi. Il « convertiamoci » vuol dire rendersi conto che, se la
criminalità organizzata ha toccato sino a oggi tre secoli, il problema — più
che dai mafiosi da redimere — è costituito dai non mafiosi. Quasi sempre
battezzati. E che hanno permesso tutto ciò, fatte le dovute eccezioni, con
l’indifferenza o una larvata connivenza. Il «Se ognuno fa qualcosa allora si
può fare molto » del beato, la cui eredità è difficile da raccogliere, va
proprio nella direzione del « cominciamo a convertirci noi » . A 25 anni dalla
scomparsa di Puglisi, è consapevolezza di pochi nella Chiesa. Un altro spunto
proveniente dal Pontefice è l’ormai abusata affermazione su padre Pino prete
non antimafioso. Sì, non faceva certo retorica o proclami a vanvera. Ma è
stato ucciso per la frontale contrapposizione alla mafia, dall’altare e sul
territorio. E quando diciamo che le manifestazioni e gli appelli antimafia non
servono più, ricordiamoci che Puglisi va allo scontro finale con la mafia del
rione promuovendo, a maggio e a luglio del 1993, a Brancaccio e non in via
Libertà, due grandi manifestazioni antimafia, riprese con evidenza dai media.
Inoltre mette la firma sulla richiesta del Comitato Intercondominiale Hazon di
intitolare a Falcone e Borsellino una via di Brancaccio. Don Pino era, se non
all’inizio della sua vicenda a Brancaccio certamente alla fine, un prete dalla
esplicita connotazione antimafiosa. Che la Chiesa non voglia riconoscere tale
aspetto, perché difficile da replicare, non lo cancella. Questi ragionamenti
possono mettere a frutto criticamente le ore vissute con il Papa. Altrimenti
rimarrà un bel sabato di sole, speso accanto a un uomo straordinario,
da inserire nell’album dei ricordi.
Nessun commento:
Posta un commento