martedì 26 maggio 2020

Il virus mafioso che non dobbiamo più nutrire nella vita quotidiana.


La Repubblica Palermo – 26 maggio 2020
I gesti quotidiani che servono a battere la mafia
Francesco Palazzo
Quest’anno il 23 maggio è stato diverso. Palermo ha chiamato l’Italia al balcone. Non tantissimi i lenzuoli nei prospetti palermitani, nonostante i ripetuti appelli sui social di personaggi noti, molto pochi in Sicilia oltre il capoluogo e nel resto d’Italia. E qualcosa vorrà pur dire. Stanchezza, disincanto, sottovalutazione, timore? La giornata è stata dedicata, oltre a chi ha lottato contro i sistemi criminali mafiosi, pure a chi durante l’emergenza Covid si sta spendendo per senso del dovere e spirito di servizio. Che fu la risposta data da Falcone a chi gli chiedeva chi glielo facesse fare. Lenzuoli a parte, siamo sempre chiamati a ragionare intorno all’ordinario senso del dovere che ciascuno mette in campo nel contrastare le mafie. Non ci sono scorciatoie. Questa è l’unica strada. Si può supporre che in diversi contesti, sia popolari che borghesi, il quotidiano consenso, tacito o esplicito, verso la criminalità organizzata sia ancora in agenda? Dovrà in qualche modo essere così se la mafia ce la troviamo spalmata nell’arco di tre secoli, sofferente ma viva e destinataria di un certo gradimento. Come ci mostrano le operazioni antimafia, sino all’ultima. Estorsioni a tappeto senza denunce, imposizioni di materie prime agli esercenti, in qualche caso addirittura obblighi sugli orari di apertura e su cosa vendere. E ciò accade pure nei quartieri residenziali. Per consistenti strati di borghesia, il pizzo, praticato sotto diverse forme, è ancora un costo sostenibile. Il contagio zero, a 28 anni dalle stragi del 1992, a 40 anni dall’uccisione di un presidente di Regione, a quasi 27 anni dall’eliminazione di un prete, e potremmo proseguire in questa via crucis, è ancora distante. Molto vicina a noi è invece la gara febbrile tra chi ce l’ha più blasonato, il medagliere, nel campo dell’antimafia militante. Professionistica, dilettante o mistificatoria che sia. Non abbiamo più bisogno di paladini ma della consapevolezza sempre più matura di un intero popolo. C’è dunque questo trinomio, mafia, popolo e antimafia. Due a uno, partita vinta di poco, ma sempre i tre punti portati a casa. Così sarebbe stato da tempo se oltre la mafia, che fa la mafia, ci fossero stati in campo un popolo che in ogni sua propaggine avesse fatto il proprio dovere e un’antimafia che non si fosse spesso distratta. Col coronavirus stiamo facendo il possibile, in pochi mesi, per fargli il vuoto attorno. Mentre di tempo, soprattutto nel mezzogiorno, ne è trascorso parecchio senza riuscire a recidere questo legame perverso con le cosche. Cosa nostra non ha bisogno della crisi sanitaria per operare, l’habitat dove vive le consente di essere pervasiva con o senza pandemia. Questa colpevole sudditanza, che spesso non diminuisce con i titoli di studio posseduti, ce la porteremo appresso ancora per chissà quanto. E non basterà nessun 23 maggio, 19 luglio, 15 settembre o 6 gennaio, date insieme alle altre in cui ci si batte il petto per commemorare persone che hanno dato la vita per liberarci dal pizzo eretto a sistema di vita da un consistente numero di cittadini, carnefici della loro stessa libertà, per venirne fuori. A meno che non si decida finalmente, emulando proprio le persone che contro il coronavirus stanno dando tutto, ad affrontare Cosa nostra, e le altre mafie, come se fossero, e in effetti lo sono, una grande e strutturale patologia endemica criminale, politica, sociale, economica, esistenziale e culturale. Che non viene però da posti lontani questa volta. Ma che abbiamo creato nella nostra terra e che continuiamo a nutrire. La mafia c’è oltre le ricorrenze, dentro le quali, oltre la genuinità di tanti, cresce forte la foresta della retorica. La vigilia del 23 maggio la RAI ha ritrasmesso il film sulla mamma di Peppino Impastato. Occorre avere, nel quotidiano, giorno per giorno, la tenacia, la forza, il coraggio, la lucidità, gli argomenti, in qualsiasi ambito ci troviamo, di Felicia Bartolotta e di coloro che l’aiutarono nella ricerca della verità. Di tanti veri impegni come il suo è fatta la strada che può portarci alla fine della pandemia mafiosa.


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