La Repubblica Palermo – 25 luglio 2020
La storia del ragazzo arrestato ma
innocente ci insegna che il garantismo non è una malattia
Abbiamo letto ieri su questo giornale
l’intervista al ragazzo che era ai domiciliari per la rissa avvenuta a
Mondello. È riuscito a dimostrare, ricorrendo alla posizione del suo cellulare,
e grazie a un bravo difensore, ma non è detto che ogni ragazzo sia nelle
condizioni di trovare quello adeguato, che quella sera non era a Palermo.
Adesso è libero. Vale la pena soffermarsi, al di là del fatto specifico, su
alcuni aspetti legati a queste circostanze. Collaterali per gli osservatori
esterni, molto meno per gli interessati, com'è facile intuire. Abbiamo letto
nomi e cognomi dei maggiorenni tirati in ballo, visto il filmato che li ritrae,
conosciuto le zone o vie di residenza. Tutto si sarà svolto nel pieno rispetto
delle regole. Quella che espongo è una sensazione personale. Ogni volta che
vedo i trasferimenti all'uscita dei luoghi di primo accesso degli indagati
(ricordiamolo, indagati, non condannati ancora da nessuno), mi chiedo se tali
sfilate aggiungano un senso più compiuto, più vero, più pregnante, alla parola
giustizia. Guardiamoci negli occhi. Sappiamo molto bene che queste cose
massaggiano la parte della nostra testa che ormai trova alimento nei social.
Dove in cinque minuti si arriva sino in cassazione e qualche volta pure oltre. Ma
dovremmo chiederci un po’ tutti, pure chi veicola informazione, se non si può
fare diversamente. Magari fornendo le identità e i volti in una fase
processuale più avanzata, un rinvio a giudizio o una condanna di primo grado.
Tanto, quello che inizialmente c’importa sapere sono i fatti, come si sarebbero
svolti in relazione a chi li avrebbe commessi, senza rivelare immediatamente
tutti i dati personali, e i luoghi dove si sono appalesati. Questa è la fase di
riscaldamento. Poi c’è la partita e occorrerà verificare le ipotesi accusatorie
nei diversi gradi di giudizio. Che gli indagati abbiano immediatamente nomi e
cognomi, determinate facce, soprattutto se si tratta di persone non note, non
ci dice nulla in più di quanto in quel momento è necessario sapere. Anzi, come
vediamo nel caso in questione, possiamo pure essere fuori strada. Sia chiaro,
se prendiamo il grande e conclamato super latitante, è successo tante volte, la
questione è diversa. Se il personaggio è una star scatteranno altri meccanismi.
Anche perché probabilmente sarà lui stesso a esporsi. Capisco che parliamo di
aspetti delicati e non voglio farla più facile di come in effetti è. Però
ecco, dovremmo ricordarci come popolo, nel cui nome è celebrata la giustizia,
che il garantismo non è una malattia. Si sostanzia nel chiedere vera giustizia
e non altro. Anche perché poi capitano casi come quello di cui parliamo e
allora uno pensa a quante possibilità abbiamo che a noi stessi o qualche nostro
familiare possa accadere. Quando le cose diventano personali, si comprende
molto meglio tutto. Allora forse è meglio porsi di fronte alla persona indagata
come se fosse nostro fratello o un congiunto. Parola intorno alla quale in
tempi di Covid abbiamo avuto modo di ragionare a lungo.
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