La Repubblica Palermo
3 dicembre 2022
Caro don Corrado, il Sud deve aiutare gli
ultimi ma anche darsi la spinta per cambiare
di Francesco Palazzo
Ho letto la profonda riflessione pubblicata oggi a
firma dell'arcivescovo di Palermo, don Corrado Lorefice. Così come fece nel
momento del suo insediamento a Palermo in piazza Pretoria (e la cosa colpì
positivamente), don Corrado ha giustamente utilizzato la seconda parte
dell'articolo 3 della Costituzione repubblicana. Non è banale ripercorrerla
integralmente. "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e
sociale del Paese". Un passaggio bellissimo che i nostri madri e padri
costituenti ci hanno voluto regalare. Il problema, come sempre, risiede nel
passaggio dalle parole, autorevolissime in questo caso e scolpite sulla pietra,
e i fatti quotidiani. Qua ci possono essere più chiavi di lettura. A me pare
che spesso ci si sistemi dentro itinerari che danno per scontato che il Sud sia
per definizione un ambito di sola marginalità. Dove ciò che resta da fare è
curare le ferite. Ma è davvero così? Non è, quella dell'assistenzialismo, una
lettura sulla quale, potremmo dire dall'Unità d'Italia, si sono basate tutte le
politiche riguardanti questa parte di Paese, evidentemente di corto respiro e
senza sbocchi, se siamo ancora a questo punto? Dobbiamo continuare? Oppure,
proprio per proteggere i fragili e i giovani, dei quali scrive don Corrado (la
stragrande maggioranza dei secondi peraltro va via a studiare e a lavorare
fuori), occorre parlare di progresso, istruzione, cultura, infrastrutture,
lavoro, sviluppo dell'impresa privata?
L'arcivescovo cita il cardinale Zuppi,
presidente della Conferenza episcopale Italiana, che è pure arcivescovo di
Bologna. Cioè di una realtà, inserita in una regione locomotiva del Paese, dove
sia la storia economica che quella sociale hanno preso un'altra direzione. E
non perché sono stati da un lato loro fortunati e noi, dall'altro, percorrendo
il solito luogo comune, sfortunati o trattati male da tutti. Dobbiamo ammettere
che non abbiamo fatto abbastanza affinché il nostro non continuasse a essere un
luogo su cui chinarsi con l'assistenzialismo senza futuro. Anzi, proprio i
fragili e i giovani, al Sud, se finalmente diventassero padroni del proprio
destino, potrebbero essere strutturalmente garantiti. Non dalla carità che cura
le ferite, ma dallo sviluppo, dalla ricchezza, economica e sociale, che farebbe
stare meglio tutti. Che questo accada dipende solo ed esclusivamente da noi. E
lo aveva capito pure don Puglisi, che l'arcivescovo cita. Il suo percorso non
era quello di dire alla gente: "Siete marginali e qualcuno deve pensare a
voi". Al contrario, avendo svolto un'analisi attenta del territorio e legandosi
a cittadini che volevano conquistare diritti e non chiedere mera assistenza,
mise in atto una pastorale che guardava alla promozione degli abitanti di
Brancaccio. Resta da capire se tale metodo puglisiano, a quasi trent'anni
dall'omicidio mafioso, sia adottato in tutte le parrocchie. Ossia se vi sia una
pastorale diocesana che in ogni comunità di fede applichi davvero ogni giorno e
lucidamente il ruvido metodo di 3P. Del resto, don Pino, essendo un esperto di
pastorale vocazionale, invitava ciascuno a scoprire la propria vocazione, cioè
a divenire artefice del proprio destino e non soltanto spettatore pietoso che
deve essere soccorso perché magari non ne vuole sapere di sbracciarsi. Tutti
gli attori delle nostre società del Mezzogiorno, piuttosto che discettare di
politiche che si limitano a fotografare la situazione senza spostarla veramente
in meglio di un solo millimetro, devono costruire insieme, come comunità che la
smettano finalmente con il piagnisteo, gli strumenti per essere protagonisti e non
vittime bisognose di cure pietose all'infinito. Ovviamente, tutti dobbiamo
farci carico di chi non ce la fa. Questo vale ovunque. Ma non può più
costituire questo aspetto l'onnicomprensiva biografia di un'intera parte del
Paese. Che non può più essere così e deve essere altro. Non perché qualcuno
questo altro ce lo deve dare. Ma perché lo si deve conquistare con l'impegno
quotidiano di tutti.
Caro Francesco. Le tue belle parole, sono precise e dirette. Ma, credi che tutti possano capire cosa significano? "A parte il fatto che, non credo, perdano tempo a leggere". La nostra Brancaccio è destinata ad essere per sempre discriminata e sottovalutata, a causa di molte persone "inutili" che non hanno nessuna volontà a far valere la nostra borgata. È soltanto il parere di una donna di 74 anni, che ha vissuto la sua vita, sperando che Brancaccio, tornasse ad essere come una volta. Buona giornata 🌹
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